rotate-mobile
Martedì, 16 Aprile 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Sulle tracce della chiesa scomparsa di Santa Maria della Grata

Il silos dell’ex Molino Neri, in viale Italia, ha quella strana forma probabilmente per analogia con l’antico centro di culto che sorgeva in quell’area: la chiesa di Santa Maria della Grata.

Quella sagoma a cuspide proiettata verso il cielo non lascia indifferenti. Da molti anni, il complesso immobiliare di viale Italia, un tempo interessato dall’attività del Molino Neri e poi della Samea, ospita esercizi di vario genere, fra cui una rinomata pizzeria, un centro beauty, un dipartimento universitario e alcuni studi professionali. La svettante torre, che per quasi mezzo secolo ha assolto le funzioni di silos di granaglie e sementi macinate, probabilmente ha quella strana forma per analogia con l’antico edificio che sorgeva in quell’area: la chiesa di Santa Maria della Grata.

Scrive lo storico forlivese Gilberto Giorgetti, dal cui archivio proviene anche la straordinaria foto dei primi anni del Novecento che caratterizza la rubrica odierna: “Di questa chiesa si ha memoria nella Cronaca Albertina nel 1568 e all'interno vi erano affreschi di Francesco Menzocchi”. Costruita tra il 1538 e il 1541, molto probabilmente aveva preso nome dalla “grata” che chiudeva, nel perimetro delle mura, lo sbocco del canale di Ravaldino nella zona del Pelacano. In alcune stampe d’epoca appare l’abside della chiesa incastonata nei bastioni cittadini. Giorgetti continua così: “Già all’inizio del ‘600, l’immagine della Madonna della Grata veniva menzionata fra le più venerate della città. Nel 1774, durante il passaggio delle truppe spagnole, Santa Maria fu sconsacrata ed adibita a polveriera.

Nel 1781 crollò la cupola esagonale a causa di un terremoto”. Altre informazioni si desumono dalle Guide di Forlì Calzini – Mazzatinti e Casadei: alla fine del XVIII secolo, col passaggio di Napoleone, il tempio risulta definitivamente chiuso e ridotto ad usi profani. Gli affreschi conquecenteschi contenuti all’interno erano ormai irrimediabilmente persi a causa dell’umidità. L'intero edificio fu acquistato da tal Giacomo Cicognani, il quale, atterrata anche la torre campanaria (non era particolarmente alta, ma in stile romanico-lombardo tipico del forlivese) lo adattò a magazzino per il legname e mulino. A quest’ultimo, situato al limite settentrionale delle mura, affluivano le acque del Canale di Ravaldino.

L’opificio successivo, il primo “extra moenia” posto sul corso della storica via d’acqua scaturente dalla Chiusa del Calanco, in località San Lorenzo in Noceto, era proprio il Pelacano, tuttora esistente ma dismesso da tempo. Andando a ritroso da valle a monte verso l’origine, il Mulino della Grata nello sfruttamento del Canale era a sua volta preceduto dagli opifici della Ripa, San Biagio, Gualchiera, Faliceto, Rustigliano, Spineto e Bastione Banzole.

Nel 1911, quando la Chiesa di Santa Maria della Grata era ancora riconoscibile, avviene l’ennesimo passaggio di proprietà del complesso, che diviene definitivamente molino su progetto dell’ingegner Domenico Casamorata. Scomparsa la chiesa, il toponimo della Grata rimane appaccicato all’opificio, che subisce ulteriori trasformazioni e cambio di funzioni, fino a divenire fabbrica di concimi artificiali, poi pileria di riso e infine raffineria di zolfo. Negli anni Trenta ritorna un mulino, prima Dell'Omo poi Lino Neri. Nel 1968 passò ai figli “F.lli Neri”, che cessarono definitivamente l’attività nel 1972. Nel 1973 lo stabile fu acquistato dalla Società Alimentare Romagnola.

Si parla di

Sulle tracce della chiesa scomparsa di Santa Maria della Grata

ForlìToday è in caricamento