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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

La tragedia di San Biagio rimane una ferita insanabile

Il 10 dicembre 1944, una bomba ad altissimo potenziale cancella per sempre (molto probabilmente per errore) la chiesa quattrocentesca di San Biagio in San Girolamo e 20 povere vite. Il vero obiettivo dell’attacco aereo era l’ex monastero di Santa Chiara, appena divenuto deposito logistico dell’Esercito Britannico. La nuova San Biagio è stata aperta al culto nel 1952

Pomeriggio di domenica 10 dicembre 1944: un aereo tedesco annienta la quattrocentesca basilica di San Biagio in San Girolamo e 20 povere vite. La “Grossladungsbombe SB 1000”, bomba ad altissimo potenziale con spoletta “AZ 55 A” e sviluppo esplosivo orizzontale, anziché “ad imbuto”, per farla esplodere prima dell'impatto al suolo, cancella uno scrigno d’arte e cultura che l’intera nazione ci invidiava, immortalata nel 1938 dallo Studio Alinari in occasione delle celebrazioni per i 500 anni del Melozzo.

Dalle macerie della chiesa, i soccorritori inglesi (che avevano liberato la città da appena un mese) estraggono, privi di vita, 20 poveri cristi, fra cui tre bimbi, il sacerdote salesiano don Agostino Desirello, che aveva appena detto messa e una monaca clarissa, suor Giovanna Zaccheroni. La città si sentiva fuori dalla guerra e molti abitanti stavano rientrando dai luoghi in cui erano sfollati l’indomani dei primi bombardamenti, nel maggio di quell’anno. “Alle 17,15 precise – scrive Antonio Mambelli nei suoi Diari – alcuni aerei tedeschi compaiono improvvisamente sui cieli”. La squadriglia, composta da quattro “Focke-Wulf 190 F8”, era partita dall’avio superficie militare di Verona ed aveva viaggiato quasi a volo radente per non farsi scoprire dai radar alleati. Giunti su Forlì, gli aerei sganciano il loro carico di 2.200 chili di esplosivo su San Biagio e in corso Diaz (nel punto in cui attualmente sorge il teatro Diego Fabbri).

Le altre due bombe, lanciate in periferia, non scoppiano. Purtroppo funziona benissimo l’ordigno piovuto sull’area della ghiacciaia Monti, già monastero di Santa Chiara, appena divenuto deposito logistico dell’Esercito Britannico e dunque il vero obiettivo dell’attacco. Un errore balistico di poche decine di metri provoca un danno irreparabile: l’esplosione polverizza la basilica quattrocentesca con la Cappella Feo, dedicata a San Giacomo Maggiore e i magnifici affreschi di Marco Palmezzano realizzati su cartoni di Melozzo da Forlì.

La cappella era stata aggiunta nel 1498 all’impianto originario della basilica, eretta nel 1433, per volere di Caterina Sforza, signora della città, che aveva inteso così onorare l’amante Giacomo Feo (sposato in segreto), ucciso in una congiura nel 1495 e lì sepolto. Alla distruzione della chiesa scampa giusto un pugno di opere d’arte: il Trittico di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, l’Immacolata Concezione di Guido Reni (molto rovinata ma restaurata a dovere nel dopoguerra), una preziosa acquasantiera in marmo bianco e il sepolcro funebre di Barbara Manfredi, oggi custodito in San Mercuriale.

La bomba in corso Diaz crea invece il vuoto dal cortile di palazzo Prati fino a via Caterina Sforza: in tutto muoiono 40 militari inglesi e 26 civili, fra cui un intero nucleo familiare di 7 persone. “Quasi tutti i fedeli – scrive l’allora direttore dell’oratorio salesiano don Marco Perego – erano usciti dalla chiesa. Si era a cento passi dal portone quando si sentì la contraerea e si vide un aereo nemico sganciare. Ci buttammo sotto il portico fra i camion inglesi. Fu un attimo: un colpo non tanto forte, un cascare di macerie, un polverone che ci soffocava, dissolto il quale San Biagio non c’era più”. Il muro più alto rimasto in piedi, in corrispondenza dell’abside, non superava i due metri: tutto amputato e dissolto.

La parrocchia salesiana di San Biagio viene trasferita al Buon Pastore, dove rimarrà sino al 1952, l’anno dell’inaugurazione della nuova chiesa. In un primo momento si era pensato di erigere un edificio completamente nuovo, visto che del vecchio non rimaneva nulla (giusto le campane, poi montate sul campanile del Duomo, ricostruito nel 1970). Poi, nell’ambito della Commissione ministeriale per la ricostruzione, s’impose Cesare Valle. Il grande architetto razionalista, compromesso col regime fascista ma autorità indiscussa anche nel dopoguerra repubblicano, pretese un progetto di pregio. E così fu. Non è stato riproposto il campanile, ma solo per carenza di fondi. 

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