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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

I tanti voltafaccia di Corso della Repubblica

L’attuale Corso della Repubblica, in precedenza Corso Vittorio Emanuele II e prima ancora Borgo Pio e Strada Petrosa, rimane il signore dei corsi forlivesi

L’origine del toponimo Cotogni è antichissima: Ettore Casadei, nella sua celeberrima guida “Forlì e dintorni”, sostiene derivi da un fondo d’età romana detto “Cotogneto”, per la quantità dei meli cotogni che vi erano piantati. Quel che è certo è che l’attuale Corso della Repubblica, in precedenza Corso Vittorio Emanuele II e prima ancora Borgo Pio e Strada Petrosa, rimane il signore dei corsi forlivesi. Il quartiere Cotogni, sorto ai lati dell’omonima arteria o Borgo, è stato l’ultimo ad essere edificato, andando a soppiantare i vasti orti preesistenti all’interno dei bastioni cittadini. Proprio con riferimento alla sua funzione di vero e proprio serbatoio alimentare per la città, il “Cotogneto” era definito l’orto dell’abate: chiaro il riferimento ai monaci vallombrosiani di San Mercuriale, cui appartenne per secoli.
L’antica Strada Petrosa tradisce facilmente la funzione, prestabilita a tavolino, di arteria da parata e d’ingresso principale alla città. “A differenza degli altri tre assi viari che frazionano il centro storico forlivese, tutti sinuosi, Borgo Cotogni – si legge nella pubblicazione omonima di Almanacco Editore, data alle stampe nel 2009 - è dritto come un fuso dall’inizio alla fine e ha pure un anno di nascita ben preciso, almeno nell’aspetto attuale: il 13 luglio 1828”. Nel 1827, l’indomani della restaurazione pontificia ci fu un momento in cui i dieci abitanti più “danarosi” dell’arteria si ritrovarono d’accordo nel demolire gli antichi portici che caratterizzavano il lato edificato di sinistra della strada, guardandola dal Campo dell’Abate: lo scopo era dare più luce e aria al Borgo nella sua parte iniziale, dalla piazza Grande all’attuale Santa Lucia. Un poco dal portafoglio dei privati, un altro pò dalla classica sottoscrizione pubblica, il resto dal municipio, che alla fine intervenne previa imposizione di un balzello ad hoc: sta di fatto che alla fine i 6.000 scudi preventivati scapparono fuori e si partì coi lavori. Il 13 luglio 1828 si tenne la grande festa per la riapertura ufficiale della strada, dominata niente meno che da una sfrenata corsa di cinque cavalli sino alle mura cittadine.
Fino al 1921, la visuale dell’allora Corso Vittorio Emanulele, per chi proveniva da Piazza Saffi, è stata dominata dall’insegna dell’Albergo del Vapore. Posto nel settecentesco Palazzo Rossini, utilizzando i locali di proprietà della famiglia Zambianchi, l’esercizio, con accesso da via Baratti, praticava prezzi modici e costituì per decenni punto di riferimento per i tanti forestieri, provenienti dalla montagna, che giungevano a Forlì per trattare i propri affari nel sottostante Cantone di Mozzapè, detto anche de “e’ sansêl”. Sull’altro lato di Palazzo Rossini con ingresso da via Bruni, operò l’Albergo del Cappello, rimasto nella storia per un fatto di cronaca nera: nel 1831 vi morì Napoleone Luigi Bonaparte dopo una breve agonia. Figlio dell’ex re d’Olanda, era venuto a Forlì col fratello, il futuro Napoleone III, per cooperare coi cospiratori ai moti insurrezionali d’Italia contro le truppe austro-pontificie. Fra il 1936 e il 1937, lo storico edificio è stato demolito per essere sostituito dall’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale. Progettato da Cesare Valle, il complesso comprendeva gli uffici direzionali dell'istituto, i negozi affacciati sul portico e una ventina di appartamenti con accesso dalle Vie Bruni e Baratti. Valle dotò la costruzione di un portico con le caratteristiche degli acquedotti romani. Oggi, l’edificio razionalista è la sede centrale locale della Banca di Credito Cooperativo ravennate, forlivese e imolese.
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