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Venerdì, 29 Marzo 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Quando le operaie forlivesi sfidarono i nazifascisti

Il sottufficiale in congedo Marcello Scarpellini, l’ultimo residente nell’ex Monastero della Ripa, rievoca il coraggio di centinaia di operaie forlivesi, che il 27 e 28 marzo 1944, subito dopo la morte di 5 giovani renitenti alla leva messi al muro nel cortile posteriore della caserma, si astennero dal lavoro riuscendo ad evitare la fucilazione di altri 10 disertori

Rimaniamo in compagnia del sottoufficiale in congedo dell’Esercito Marcello Scarpellini, l’ultimo residente nell’ex caserma Monti, meglio conosciuta come Monastero della Ripa, la più grande area dismessa del centro storico di Forlì, per approfondire il grave fatto di sangue del 24 marzo 1944. Ancora una volta ci viene incontro Antonio Mambelli col suo Diario degli Avvenimenti a Forlì e in Romagna. “Alla caserma Ferdinando di Savoia, in via della Ripa, ora dedicata ad Ettore Muti (segretario nazionale del Partito Fascista dal 1939 al 1940, ucciso in circostanze misteriose dopo il voto del Gran Consiglio del Fascismo, che il 25 luglio 1943 decretò la caduta di Mussolini, n.d.r.), il tribunale militare ha condannato a morte i seguenti giovani, presunti disertori: Dino Degli Esposti di Primo, nato nel 1922 in Teodorano; Tonino degli Esposti, fratello del precedente, nato nel 1924 a Teodorano; Agostino Lotti di Francesco, nato nel 1925 in Galeata; Massimo Fantini di Luigi nato nel 1922 in Civitella di Romagna; Giovanni Valgiusti di Luigi nato nel 1925 in Civitella di Romagna. L’esecuzione della sentenza avvenne nel cortile posteriore della caserma alle 12 del 24 marzo 1944, lo stesso giorno della strage delle Fosse Ardeatine perpetrata a Roma".

Scarpellini continua la rievocazione di quei tragici fatti. “Durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale, qui dentro si erano insediati un tribunale militare della Repubblica Sociale (Rsi), un piccolo nucleo di militari italiani e un comando di SS tedesche. Alla fucilazione erano presenti 150 civili forlivesi rastrellati. Ho conosciuto un signore che fu testimone della fucilazione: all’epoca aveva 15 anni. Il plotone di esecuzione era italiano e l’ufficiale che lo comandava era un tenentino richiamato, che non voleva farlo. Alla prima salva cadono tutti, però i due fratelli Degli Esposti sono ancora vivi e coscienti. A quel punto il presidente del tribunale ordina al tenente di andare a sparare il colpo di grazia ai cinque fucilati: il milite si mette a piangere e si rifiuta. L’alto ufficiale gli strappa la pistola di mano, lo prende a schiaffi, gli intima gli arresti e va lui stesso a chiudere la sanguinosa pratica”.

Quell’esecuzione efferata suscita una forte indignazione in città e va a toccare soprattutto il cuore delle donne. In tutto, i condannati a morte per renitenza al bando del generale Rodolfo Graziani, ministro della Difesa nella “repubblichina” di Mussolini, erano 15. Il 27 marzo si sarebbe dovuto procedere alla fucilazione degli altri 10, ma accadde una cosa veramente inaspettata. “Il proletariato di Forlì – si legge su L’Unità del 10 aprile 1944 – che con lo sciopero di protesta dal 17 al 19 febbraio scorso aveva impedito la fucilazione di 10 cittadini rastrellati per l’uccisione del federale fascista Arturo Capanni, ha dato una nuova prova della sua maturità politica, insorgendo con uno sciopero di protesta di 48 ore”.

L’organo del Partito Comunista clandestino annuncia con enfasi la partecipazione di ben 6.000 operaie. “Negli anni passati – riprende Scarpellini – ho cercato di ricostruire la reale portata della protesta. Le donne che lavoravano nelle industrie per le esigenze militari, come la Bondi, la Bonavita, la Mangelli, la Forlanini, la Becchi e l’Eridania (gli uomini erano tutti in guerra o alla macchia), la mattina del 27, al fischio della sirena antiaerea delle ore 10, uscirono dalle fabbriche per venire qui, in via della Ripa, sotto le finestre del tribunale militare a protestare. Erano tante, qualcuno dice 300, altri 600, e comunque corsero un rischio incredibile, che poteva condurle a loro volta davanti ad un plotone di esecuzione”.

Il presidente del tribunale si disse disposto a commutare la pena di morte in carcere, purché fossero d’accordo le Autorità civili. A quel punto le scioperanti si diressero in massa verso la vicina Prefettura: La loro azione temeraria riuscì ad impedire le nuove fucilazioni. I 10 renitenti furono consegnati ai tedeschi, che li condussero ai lavori coatti in Germania. Mambelli attesta che anche il vescovo mons. Giuseppe Rolla aveva fatto la sua parte, scrivendo una lettera alle autorità militari per scongiurare ulteriori uccisioni. “Qui fuori – conclude Scarpellini - c’è una lapide che ricorda quei 5 poveri ragazzi trucidati. Il loro sacrificio non è stato vano, in quanto ha ridestato la voglia di libertà di tanti forlivesi, a cominciare dalle donne”. 

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