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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando la recinzione dei Cantieri Benini impreziosiva il Viale Benito Mussolini

Nel 2010, della vecchia recinzione liberty degli ex Cantieri Benini sul viale della Libertà, sono state recuperate le due porte d’ingresso e lacerti del muro addossato ai due accessi

Alzi la mano il forlivese che non ha mai notato la scritta rossa “Cavalier Ettore Benini” riapparsa nel 2010 in viale Colombo, ad angolo con viale della Libertà, su quella che fu la porta principale d’accesso ai Cantieri Benini. Fino alla chiusura della ditta, nell’immediato dopoguerra, da quell’arco si accedeva ad una delle più vivaci imprese edili nazionali, con commesse in tutto lo Stivale e anche oltre, colonie comprese: Libia, Eritrea, Abissinia, Rodi e isole del Dodecanneso. Già nel 1905 i suoi cantieri arrivarono ad occupare un centinaio di operai e nello stesso anno realizzò la vasca-serbatoio nel torrione dell'acquedotto della città. Da quel momento in poi la sua attività andò espandendosi sempre più attraverso la realizzazione di una vasta gamma di prodotti in cemento armato: tini vinari, capriate, ponti stradali e ferroviari.

La sede del Cantiere Benini, estesa su un'area di 20mila metri quadrati, a quell'epoca era divisa in diversi reparti, destinati alla carpenteria, alla preparazione delle armature metalliche, alle gettate, all'officina meccanica e alla produzione di mattonelle. Nel 1926 contava 500 operai circa a Forlì (tra lavori in cantiere fisso e quelli fuori cantiere) e una massa fluttuante, non inferiore ai 100 addetti, per i lavori che eseguiva fuori Forlì e in Provincia. Fra le sue opere più importanti spicca l’ardito viadotto che unisce tuttora Mestre a Venezia e che tolse dall’isolamento secolare la Serenissima.

Che si trattasse di una ditta di regime, è intuibile dal vertiginoso calo di commesse insorto già l’indomani della caduta di Benito Mussolini. Al punto che, nel settembre 1948, i Cantieri non poterono far altro che alzare bandiera bianca, licenziare le maestranze e serrare i battenti, fino ad essere inglobati dall’industria chimica “Orsi Mangelli”. Solo a Forlì, Benini realizzò la sede Provinciale del Palazzo delle Poste e Telegrafi, in piazza Saffi, progettato da Cesare Bazzani, per non parlare della Fontana Littoria fronteggiante la Stazione ferroviaria e delle palazzine Bazzani poste all’imbocco di corso della Repubblica, stabilmente inserite per originalità stilistica nei principali cataloghi dell’architettura razionalista.

In uno dei due edifici appena citati, il cavalier Ettore insediò nel 1933 la sede amministrativa dell’azienda, mentre nell’altro teneva un ufficio lo stesso Bazzani. L’arco d’accesso principale ai Cantieri Benini era incastonato in un muro perimetrale sorto a partire dal 1930, pressoché in parallelo con la realizzazione del nuovo straordinario Viale della Stazione, all’epoca intitolato a Benito Mussolini. La prima recinzione era costituita da pilastrini e semplici tamponature. “Successivamente – scrive Marino Mambelli in “Novecento forlivese, anzi italiano” – probabilmente nel 1934, per proporsi degnamente al fronte del viale Benito Mussolini, costruì un muro di cinta in pannelli prefabbricati in cemento armato, dal leggero gusto Liberty. La realizzazione seppe reggere con disinvoltura e ambizione il confronto con la monumentalità del gioiello urbanistico del regime”.

Sopravvissuta ai bombardamenti della seconda guerra mondiale che pure infierirono sugli stessi Cantieri e sull’adiacente Fabbrica Orsi Mangelli, la leggiadra recinzione non ha superato la prova della modernità. Della sua sorte se n’è occupato l’accordo di programma stipulato nel 1999 fra il Comune di Forlì e la società proprietaria dell’area ex Mangelli. Nel 2010, della vecchia recinzione perimetrale degli ex Cantieri Benini posta sul viale della Libertà, sono state recuperate le due porte d’ingresso e lacerti del muro addossato ai due accessi, con la demolizione del restante. Mantenerla in piedi nella sua integrità sarebbe costato troppo: tanto valeva salvare le “fasi” più significative. 

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