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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando la chiesa della Santissima Trinità andò in testa-coda

Costruita su resti paleocristiani del IV secolo, è il più antico centro di culto forlivese, anteriore persino a San Mercuriale. Nel corso del radicale restauro concluso nel 1788, la chiesa ha subito addirittura un’inversione dell’assetto. “La facciata che si apriva sulla riva del fiume (in via della Ripa) ora si apre dal lato opposto, su quello che è stato per secoli un piccolo cimitero”

La chiesa della Santissima Trinità non ha certo bisogno di presentazioni: sorge nel cuore dell’urbe a due passi da corso Garibaldi, la “main street” forlivese, e dalle dimenticate vestigia del ponte romano dei Morattini. Costruita su resti paleocristiani del IV secolo, è il più antico centro di culto forlivese, anteriore persino a San Mercuriale. Secondo lo storico Paolo Bonoli, vissuto nel Seicento, la chiesa per qualche tempo fu cattedrale, tant’è vero che al suo interno trovò sepoltura il proto-vescovo della città. L’ipotesi è però smentita da studi recenti, secondo cui la Trinità ha sì sostituito il Duomo di Santa Croce, ma solo in situazioni di temporanea inagibilità di quest’ultimo.

Quello che incuriosisce del monumento è il testa-coda subìto alla fine del XVIII secolo. Fra il 1782 e il 1788, l’arciprete don Francesco Quartaroli la rifece in stile barocco, a navata unica con quattro altari per lato, arrivando ad invertirne persino l’assetto. La nuova facciata è costituita da un portale con timpano inserito in un grande arco impostato su semicolonne. “L'attesa è finita – si legge nelle cronache del tempo, alla data del 19 aprile 1788 - domani la consacrazione. Il vescovo Mercuriale Prati inaugurerà la nuova Chiesa della Trinità. Nuova per modo di dire. E' una delle chiese più antiche della città, presumibilmente la prima cattedrale di Forlì sorta sulla riva del ramo del Montone che si insinuava nell'abitato di Schiavonia, e che a poche decine di metri era sormontato dal ponta romano dei Morattini.

Sei anni di lavori ne hanno modificato radicalmente l'impianto. La facciata che si apriva sulla riva del fiume (in via della Ripa) ora si apre dal lato opposto, su quello che è stato per secoli un piccolo cimitero”. L’interno, presidiato da un sofisticato sistema antifurto e antincendio, è ricchissimo e, sol che se ne abbia voglia, ha tutte le carte in regola per attirare in città il turismo di massa. Tra le tante opere, oltre alle tele “Madonna Addolorata” di Giacomo Zampa e “Eterno Padre e Santi Mercuriale, Valeriano, Grato e Marcello” di Francesco Menzocchi, si può osservare un crocifisso ligneo del ‘400 e i monumenti funebri a Giovanna Galli e Domenico Manzoni, quest’ultimo eseguito nel 1817 nientemeno che da Antonio Canova, autore della celeberrima “Ebe” conservata al San Domenico. Ma c’è anche il reliquiario d’argento del 1575 con la testa di San Mercuriale, opera di Bernardino Maiani da Sala, posto sopra l’altare della seconda cappella a destra, senza dimenticare una lapide attestante la sepoltura del grande pittore rinascimentale forlivese Melozzo degli Ambrogi (fu il primo a praticare lo scorcio dal basso), da cui il nome della suggestiva piazzetta antistante l’edificio.

Nel primo altare di sinistra è stata rinvenuta parte di un pregevole affresco dei primi del '400, raffigurante un trittico con Gesù Cristo e figure di Santi. Una pala d'altare di Giacomo Zampa, che rappresenta il Beato Torello, nasconde il dipinto. La tela, recentemente restaurata, è stata montata su un telaio, in modo da consentire la vista dell'opera ritrovata. Nel corpo della chiesa fa la sua figura lo slanciato campanile in stile romanico lombardo risalente al ‘300. Per almeno sei secoli è apparso tozzo e anonimo, sullo stile di quello di Fornò andato distrutto nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Nel 1938, in occasione delle celebrazioni di Melozzo degli Ambrogi nel cinquecentesimo dalla nascita, si dispose il restauro della chiesa con la “ricostruzione” delle cinque cuspidi del campanile. Una delle campane fu intitolata a Fulceri Paulucci Di Calboli: madrina della cerimonia di inaugurazione della Santissima Trinità recuperata, tenutasi il 30 novembre di quell’anno, fu Rachele Guidi, consorte del capo del Governo Benito Mussolini.

L’ultima “chicca” della Trinità, custodita da don Enrico Casadei Garofani, che è anche parroco di Schiavonia, è la Madonna del Giglio. Si tratta di una tela risalente al XVII secolo, la cui storia è strettamente legata alla torre dei Quadri. In viale Salinatore, allo sbocco della via Battuti Verdi e quasi poggiante sull’argine del fiume Montone, resta parte del manufatto, chiamato dei Quadri per via dei blocchi marmorei della base, di chiara origine romana. La torre era detta anche del Giglio, per merito della soprastante celletta della Madonna, che a sua volta aveva preso il nome da monsignor Marc’Antonio del Giglio, vescovo di Forlì dal 1578 al 1580. Nelle cronache del ‘900 si fa menzione della disputa insorta in città alla decisione delle autorità comunali di distruggere anche quella chiesetta, colpevole solo di essere inglobata nelle mura. Quando, nel 1905, anche la Celletta del Giglio dovette soccombere al piccone, l’immagine che vi si venerava fu recuperata dal parroco di Schiavonia don Nicola Cicognani, per essere accolta nella sua chiesa.

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