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Forlì ieri e oggi

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A cura di Piero Ghetti

Quando a Forlì demolirono la chiesa della rivelazione di Sant’Antonio al mondo

Proprio nei giorni in cui la comunità forlivese innalza Benedetta Bianchi Porro fra i beati della cristianità, in pieno centro storico non si stempera l’eco dei prodigi di uno dei più grandi santi della storia

Proprio nei giorni in cui la comunità forlivese innalza Benedetta Bianchi Porro fra i beati della cristianità, penultima tappa prima della definitiva ascesa agli altari, in pieno centro storico non si stempera l’eco dei prodigi di uno dei più grandi santi della storia, Antonio da Padova. Gli agiografi sono concordi: l’evento che ha rivelato al mondo la levatura spirituale di Fernando Martins de Bulhões, è avvenuto a Forlì.

Uomo di straordinaria cultura, Fernando nasce nel 1195 a Lisbona da famiglia benestante e aristocratica. Nel 1210 entra a far parte dei Canonici regolari della Santa Croce, per poi aderire nel 1220 all’ordine francescano col nome di Antonio. Nel 1221, diretto sulle coste africane “per convertire i Mori”, viene trascinato in Sicilia da un fortunale, che di fatto gli salva la vita e lo porta a partecipare al Capitolo Generale di Assisi, dove conosce di persona il fondatore della sua regola, San Francesco. Terminato il capitolo, Antonio è inviato dallo stesso Poverello d’Assisi a Forlì. Da qui, frate Graziano, superiore dei francescani in Romagna, lo manda in servizio a Montepaolo, sulle colline dovadolesi. Nel settembre 1222 scende a Forlì con la sua comunità per assistere ad un’ordinazione sacerdotale. Venuto a mancare il predicatore ufficiale, gli viene chiesto di sostituirlo.

Dopo l’inevitabile incertezza iniziale, come per una folgorazione inizia a parlare sulle Sacre Scritture con tale padronanza di linguaggio e contenuti, che “ai francescani e domenicani colà convenuti - scrive Gilberto Giorgetti in “Foto di Famiglia Forlì Ieri e Oggi” - apparve chiaro l’intervento soprannaturale”. Il prodigio con tutta probabilità avvenne nello scomparso convento francescano adiacente la chiesa di San Pietro in Vinea Abatis, all’angolo tra le attuali vie Antonio Fratti e Francesco Nullo. Nel 1250 i francescani iniziarono la costruzione della nuova chiesa di San Francesco Grande nel lato occidentale dell’odierna piazza Cavour, scomparsa in età napoleonica. A San Pietro subentrò la Confraternita dei Battuti Grigi, che vi eresse un ospedale. La chiesa venne rinnovata completamente all’inizio del XV secolo.

Nel 1740 il Conservatorio delle Mendicanti dedicato a Sant’Anna si insediò nell’ex convento. Dal 1850 l’Orfanotrofio Femminile, poi traslocato in Via Focaccia (zona Regina Pacis), è stato diretto dalle suore Dorotee. Alcuni locali vennero adibiti a scuola elementare. Dopo il terremoto del 1963, l’intero complesso fu dichiarato inagibile e le varie attività che ancora persistevano in loco, trasferite. Di lì a poco, l’Amministrazione comunale del tempo prese la drastica decisione di abbattere tutto, senza eccezioni. Durante la demolizione della chiesetta, sotto la volta si presentò ancora intatto il soffitto ligneo del XV secolo, con eleganti raffigurazioni pittoriche.

“Sarebbe stato possibile conservarlo - lamenta Gilberto Giorgetti - trasferendolo intero in un locale museo, ma la fretta e una sensibilità storico-artistica puramente epidermica, fecero scegliere il piccone”. Solo la solerzia di mons. Bruno Bazzoli, parroco-abate di San Mercuriale, consentì di salvare alcune tavolette decorate, poi collocate nella sacrestia dell’abbazia del proto vescovo. L’area così liberata fu lasciata a parcheggio e ai banchi del mercato extralimentare fino al 1980. In quell’anno, come scrive ironicamente Giorgetti nell’opera sopra citata, “il decoro artistico della città è stato incrementato con la costruzione delle attuali case a schiera”.

Realizzate su progetto dell’architetto Glauco Gresleri, le case popolari fra le vie Nullo e Maceri hanno dato un tetto a numerose famiglie a basso reddito. “Si tratta – si legge sulla Rivista Sei Gradi Connessioni Culturali - di 53 appartamenti medio-piccoli disposti in quattro stecche (chiamate quadre), accoppiate due a due da un giardino verde in mezzo, a formare quasi due grandi edifici a corte sfondati. A dividerli, una strada pedonale dall’aspetto plastico che ricava anche lo spazio per qualche aiuola”. Anche se appena impreziosite da alcuni “murales” realizzati in occasione del Murali Street Art Festival, promosso dal Comune in collaborazione con il Centro di aggregazione giovanile “Officina 52”, le villette rimangono un doloroso pugno nell’occhio del buon gusto estetico.

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