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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Quando a Ravaldino nacquero le prime case popolari

A Forlì se ne parlava già nel 1861, subito dopo l’avvento del nuovo Stato Unitario Italiano sotto l’egida dei Savoia: il Consiglio Comunale avvertì la necessità di realizzare delle case popolari, in modo da risanare un poco la terribile condizione igienico-sanitaria delle fasce più povere

A Forlì se ne parlava già nel 1861, subito dopo l’avvento del nuovo Stato Unitario Italiano sotto l’egida dei Savoia: il Consiglio Comunale avvertì la necessità di realizzare delle case popolari, in modo da risanare un poco la terribile condizione igienico-sanitaria delle fasce più povere. Gli insediamenti abitativi più degradati, caratterizzati da tuguri fatiscenti e sovrappopolati, senza alcun servizio, erano a Schiavonia e Ravaldino. “Una commissione d'inchiesta municipale – scrive Roberto Balzani in "L'edilizia popolare nel forlivese dall'unità al secondo dopoguerra" - redige un rapporto sulle condizioni igieniche della città. Il quadro offerto dai relatori, circa il patrimonio edilizio e lo stato di vita della popolazione, è catastrofico. Questo avveniva nel 1861. Ma per vari motivi, non ultimo la carenza di fondi, i vari progetti furono rinviati”.

Qualcosa sembra riaccendersi nel 1865: “Il 7 agosto di quell’anno – scrive Elio Caruso in "Forlì, Città e Cittadini fra Ottocento e Novecento" - la città è in apprensione per le notizie che giungono da Ancona, dove un’epidemia di colera ha già ucciso 102 persone. Alla stazione di Forlì è attivato il cordone sanitario, e tutte le persone e le merci che scendono dai treni provenienti da Ancona sono disinfettate”. La paura cresce quando, alcuni giorni dopo, si sparge la notizia di un primo morto di colera a Forlì, nel rione Schiavonia. Per lo sconforto, molti residenti fuggono in campagna. Il dottor Paolo Noemi, medico condotto proprio a Schiavonia, dà alle stampe un opuscolo dal titolo “Cenni sul cholera sporadico o biblico”. Fortunatamente, il cordone sanitario sembra funzionare, tanto che nessun altro caso è segnalato. Ad ottobre, le autorità dichiarano ufficialmente chiuso il problema. Lo scampato pericolo ripone, tuttavia, nel dimenticatoio il dramma dei residenti nelle zone più povere della città. Si giunge così al 19 luglio 1883, allorché in Forlì viene costituita la Società Anonima Cooperativa per le Case Operaie, affiancata, in seguito, dalla Società forlivese per Abitazioni ai più bisognosi. Il 20 ottobre 1884, quando l'intera penisola è in preda all’ennesima epidemia di colera, le autorità sanitarie lamentano i rischi derivanti dai “tuguri” per la sicurezza delle classi subalterne. “La paura del colera - scrive nuovamente Balzani – fornisce la spinta decisiva all'attuazione di una forma di intervento municipale. Il 31 ottobre 1885, dopo appena un anno, furono assegnate una decina di abitazioni fuori Porta Ravaldino”. La notizia viene data alla cittadinanza da un manifesto affisso per le strade di Forlì.

Il conte Antonio Guarini nel suo “Diario” descrive così le nuove case: “Si è già aperto uno dei fabbricati costruiti presso la Porta Ravaldino [...] grandioso è di quattro case con cantine e solai, e dalla forma pare più adatto a locale da affittarsi che abitazione per poveri artigiani”. Dalle parole del cronista, stupito per abitazioni a suo dire più adatte alla classe media che a poveri artigiani, si percepisce la loro qualità. Realizzate su disegno dell’ing. Olindo Umiltà, “erano 4 del tipo grande, 5 del tipo piccolo e una del tipo medio […] fatte apposta per essere cedute ad operai dietro ammortizzazione semestrale a norma dello Statuto Sociale in un periodo di 25 anni […] le case sono tutte fornite di spaziosi cortili per uso comune di tutti gli affittuari e sono pure tutti costruiti i pozzi per l’acqua potabile, che l’analisi chimica fatta dall’egregio professore Cav. Alessandro Pasqualini, giudicò eccellente”. Posti sull’attuale via Duca Valentino, gli edifici sono stati rimodulati alle esigenze abitative sopravvenute. Se oggi sono monofamiliari, a quel tempo erano abitate da più famiglie: i poveri alloggiavano in camera e cucina, o addirittura in un monolocale. Nel 1887 il nuovo corso di edilizia popolare portò all’atterramento delle miserrime abitazioni poste in via Sentieri, divenuta via Trento, onde ampliare il lotto di edifici già realizzati. Sembrava l'avvio di una nuova stagione di trasformazioni urbanistiche, che invece si fermò per mancanza di risorse. 

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