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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Il pauroso terremoto del 1870 e la rovina di Porta Ravaldino

Porta Ravaldino è il più misterioso dei varchi principali d’accesso alla città, quando ancora era cinta dalle mura. Fino al XIV secolo, la porta originaria si trovava circa a metà dell'attuale Corso Diaz e recava il nome di Porta Merlonia

Porta Ravaldino è il più misterioso dei varchi principali d’accesso alla città, quando ancora era cinta dalle mura. Fino al XIV secolo, la porta originaria si trovava circa a metà dell'attuale Corso Diaz e recava il nome di Porta Merlonia. Non a caso, durante il Medioevo Borgo Ravaldino era ancora chiamato Borgo dei Merloni. L’archeologo Antonio Santarelli, tra il 1904 e il 1905, scoprì i resti di un imponente muro in via Primavera e di un altro al quale si univa: si trattava delle fondamenta della vecchia Porta Merlonia, davanti a cui scorreva il fossato che delimitava il confine pedemontano della città. L’antica Porta di Ravaldino, a detta del cronista Aurelio Silvestrini, “era costruita come quella di Schiavonia”. Fu rinnovata completamente nel 1494 per iniziativa di Caterina Sforza: la “first Lady” completò il giro dei bastioni e scavò il fossato esterno attorno all’Urbe, “da qui sino alla Torre dei Quadri”, come scrive Gilberto Giorgetti in “Foto di Famiglia, Forlì Ieri e Oggi”. Sergio Spada, nella sua “Agenda Storica di Forlì” del 1996, racconta un episodio risalente al 2 settembre 1587, che ha suo malgrado come protagonista proprio la “nostra” porta: “I mercanti mugugnano. Da una settimana è in vigore l'elenco delle regalie che chi entra in città deve pagare al portinaro di Porta Ravaldino, così come avviene in tutte le altre porte della città, per poter passare. La maggior parte dei pagamenti è in natura, come attesta l'elenco fornito ai responsabili di Ravaldino dai rappresentanti del Sacro Numero dei XC Pacifici. Vediamo qualche esempio: “Per ogni carico di legne grosse, due pezzi - Per ogni carico di cipolle nostrane o forestiere, cipolle 25 - Per ogni soma di pesce, una lira di esso - Per ogni soma di fassine o d'altre legne, una legnetta ovvero un quattrino - Per ogni carro di fieno, di strame o di paglia legata, lire 25 di esse robe”. Diventata pressoché un rudere, subì danni irreparabili per il sisma del 1870. Il 30 ottobre di quell’anno, il territorio di Forlì subì una scossa di terremoto definita da più fonti “rovinosa”. Non si trattò di un episodio isolato, visto che i movimenti tellurici si ripeterono per tutto il mese di novembre.

“Oggi – annota il Conte Filippo Guarini nel suo “Diario Forlivese”, riferendosi al 21 novembre 1870 - è stato uno di quei giorni, che la nostra povera Forlì ricorderà sempre per lo spettacolo di terrore che ha invaso ogni classe di cittadini [...] Il 21 ci sono tre scosse: all'1 e un quarto, alle 2 e mezza e alle 4 e mezza [...] Alle 11,30, poi: violenta scossa di poco inferiore a quella del 30 ottobre, che ha gettato tutti in una generale costernazione e confusione. I contadini che erano in piazza (era lunedì, giorno di mercato) fuggi fuggi generale a cercare spazi aperti [...] ma lo spettacolo più imponente fu alla Stazione, dove parecchie centinaia di persone d'ogni ceto si affollavano per partire, chi senza nulla, chi con una piccola valigia fatta in fretta, chi con l'abito che aveva indosso. C'era chi piangeva, chi urlava [...] si calcola che con i due treni di Bologna e Ancona fuggirono circa 4.000 forlivesi (la popolazione nel 1870 era di 15.170 persone ndr.) [...] Chi non potè emigrare col treno fuggì in campagna. Tutto il giorno fu un via vai di carri che portavano letti e materassi sotto le capanne dei contadini.[...] Per la scossa delle 11 e mezza cadde anche un lato della vecchia Porta di Ravaldino, che dovrà essere abbattuta del tutto”. Forlì divenne un deserto. “Dal 21 novembre – continua ironicamente Guarini - il Diario s'interrompe perchè sono in fuga con i familiari [...] Dirti, buon lettore, che io non ho avuto paura, è cosa che non crederesti. D'altronde, io non ho avuto paura, ma spavento grandissimo, spavento che a raccontartelo solamente mi viene un freddo di ghiaccio per le ossa”. La Porta di Ravaldino, insieme con molti altri edifici, era così malandata che si decise di demolirla completamente, costruendo in sua vece una barriera simile a quelle, già in funzione nei Borghi San Pietro e Cotogni, anche se di proporzioni più modeste. I lavori, iniziati nel 1874 su disegno dell'ingegner Gustavo Guerrini di Bologna, vennero completati nell'anno successivo. La barriera soppravvisse fino al 1928, allorché fu sacrificata al nuovo piano regolatore che, allungando Viale Livio Salinatore e ampliando la circonvallazione, “non poteva tollerare quella strettoia d’ingresso alla città, tecnicamente e logisticamente inutile”. 

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