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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

La lotta per il trono di spade della contrada dei cavalieri

Via delle Torri deve il toponimo alle austere case-torri che la caratterizzarono per tutta l’epoca medioevale

Da sempre al centro di traffici e passeggi forlivesi, non ha mai posseduto la monumentalità dei più lunghi ed articolati corsi principali oggi intitolati a Garibaldi, Mazzini, Diaz e della Repubblica, ognuno dei quali indicatore di quattro distinti momenti di sviluppo storico-urbanistico della città. Via delle Torri, per un certo periodo intitolata a Cesare Battisti, martire irredentista impiccato a Trento dagli Austriaci durante la “Grande Guerra”, deve il toponimo alle austere case-torri che la caratterizzarono per tutta l’epoca medioevale.

Sigismondo Marchesi, scrittore e storico forlivese cronista a tutto tondo del XVII secolo, ribadisce che la strada “era abitata dalla più potente nobiltà cittadina ed era tutta ripiena di torri”. Nulla di trascendentale né d’inarrivabile: erano edifici alti e precari, utili ad ostentare in altezza il blasone di chi l’aveva edificato. Alcune avevano finanche anche un nome: c’era la torre di Manfo e quelle degli Zacconi. Sull’attuale via Pedriali, già via del Sole, rimane tutt’ora la base (il resto è stato rifatto durante il Ventennio mussoliniano) della torre Numai. Più o meno dove ora svetta il Palazzo neo-classicista degli Uffici Statali, che alla fine degli anni Trenta ha “tragicamente” preso il posto dell’antichissimo Palazzo Baratti, c’erano un paio di torri pressochè gemelle. Peccato che durassero ben poco: la lotta fra le famiglie residenti portava al loro crollo e alla conseguente ricostruzione, magari a poca distanza. Non a caso era anche chiamata Strada o Contrada dei Cavalieri, in onore dei molti nobili forlivesi che l’abitavano, gli stessi che entravano in città dall’allora Campo dell’Abate, poi divenuta piazza Saffi, attraversando il ponte a tre arcate sul fiume Rabbi, il cui alveo fu poi utilizzato a partire dal XIII secolo per il “Canale di Ravaldino” o “dei Mulini”.  

I resti del cosiddetto ponte dei Cavalieri furono rinvenuti e fotografati nel 1937, in occasione dello scavo delle fondamenta del nuovo palazzo degli Uffici Statali. Partendo proprio da piazza Saffi con direzione piazza Ordelaffi, via delle Torri, al di là dell’originaria pavimentazione a lastroni di granito inopportunamente rimossa dal “Cantiere del Tempo” dei primi anni Novanta, non presenta evidenze architettoniche degne di menzione. Al civico 14 c’è però casa Manoni, sulla cui facciata campeggia il celebre glicine piantato ad inizio del secolo dai proprietari dell’omonima mesticheria, posta fino ad un paio di anni fa al piano terra dell’edificio. Il vegetale è incredibilmente sopravvissuto al bombardamento alleato del 25 agosto 1944, quando il centro storico fu pesantemente colpito da 23 bombardieri alleati, che causarono la morte di 75 civili e 9 militari (di cui 3 tedeschi), oltre a 150 feriti. Nessuno si aspettava uno scempio del genere: pare si sia trattato di un errore balistico (non era Forlì l’obiettivo), anche se sono ancora molti a ritenere che “quell’anomala e disastrosa incursione sul centro storico della città - scrivono Marco Viroli e Gabriele Zelli nel libro I giorni che sconvolsero Forlì - venne decisa dagli Alleati come atto di ritorsione per la mancata risposta popolare della settimana precedente all’uccisione dei partigiani della Banda Corbari”.

Completata la ricostruzione dell’edificio, la Cav. Giannina Manoni, volitiva patriarca della famiglia, “premiò” il vegetale miracolato con la restituzione di un appoggio anche nella sua nuova dimora. Da un bene che s’è salvato, via delle Torri passa con assai poca disinvoltura ad una distruzione postbellica che si poteva evitare. Sull’area oggi occupata dai giardini pubblici, erano sopravvissuti fino alla fine degli anni ‘60 gli avanzi di palazzo Orselli. Costruito in stile neoclassico nella seconda metà del ‘700 dall’architetto Luigi Mirri e divenuto dal 1924 sede del collegio maschile diretto dai padri Filippini, era rimasto gravemente danneggiato dai bombardamenti dell’ultima guerra. Dopo un tiremmolla durato oltre 20 anni, il Comune ha deciso di demolirlo completamente, costruendovi al suo posto il giardino che, come ricorda Gilberto Giorgetti, “con una buona dose d’ironia, molti cittadini contrari all’iniziativa, storpiando il titolo di un film di Vittorio De Sica molto in auge all’epoca, tratto dall’omonimo libro di Bassani, hanno ribattezzato dei Finzi Cicognini”. 

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