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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

A Forlì c'è la testa di un re

Il culto delle reliquie a Forlì sarebbe un argomento troppo vasto da tratteggiare qui. Ci si limiti a due esempi: un cranio dal passato e delle tavole dal presente.

Stando a quanto scrive lo storico Sigismondo Marchesi, cronista "in diretta" del Seicento e dei tempi a lui precedenti, l'anno 1307 registrò a Forlì un evento memorabile. Infatti, si legge della "Solenne trasportazione del Corpo di San Sigismondo Re dall'antico Oratorio già officiato da' secolari annesso alla nuova Chiesa di Sant'Agostino, terminatasi à questi giorni". Si tratta di un luogo oggi invisibile, un importante complesso religioso tra le attuali piazze Dante e Guido da Montefeltro e via Romanello. La chiesa di Sant'Agostino che, per così dire, dava le spalle a quella di San Giacomo rispetto alla quale doveva essere meno imponente ma con una facciata più ricca. Se il giorno dedicato a Sant'Agostino è da poco trascorso (28 agosto), il 1° maggio si festeggia San Sigismondo (già occupato, nel cuore dei forlivesi, da San Pellegrino). 

Gli agostiniani scelsero di trasferirisi da un precedente convento oltre Porta Schiavonia insediandosi in un quartiere dove stavano già sorgendo grandi complessi monastici o conventuali: San Domenico, San Salvatore in Vico dei camaldolesi (oggi Residenza Zangheri), Santa Caterina (il casermone), San Giovanni Battista in Faliceto (tra via Andrelini, via Romanello e viale Salinatore), Santa Maria in Valverde (tra via Caterina Sforza e via Valverde). Nacque così una delle più importanti chiese di Forlì la cui stabilità fu compromessa, nell'estate del 1781, da un violento terremoto. L'arrivo dei francesi di Napoleone dissacrò il sito fino al suo totale disfacimento nel 1802: la chiesa, cara agli Ordelaffi, fu demolita mentre parte del convento divenne caserma (ora è sede della Guardia di Finanza). Oltre alle opere d'arte, solo in minima parte rimaste a Forlì, non può lasciare indifferenti il curioso evento della solenne trasportazione e del corpo di quell'antico Re dei Burgundi poi patrono della Repubblica Ceca. Sigisimondo era il primo re gallico convertitosi al cristianesimo il cui culto pare unire l'Europa centrosettentrionale alla Romagna (per esempio Rimini, per omonimie malatestiane). Come può capitare quando si tratta di Santi del sesto secolo, se ne trovano reliquie in diverse chiese di differenti Paesi. Marchesi (che ebbe il privilegio di poter entrare in Sant'Agostino) parla espressamente di corpo. Lo stesso storico, riferisce che "nella qual'occasione Rodolfo Vescovo di Forlì, che forse dovette essere assente, diede facoltà a Bonifacio Vescovo Brixiense di consacrare l'Altare del medesimo S. Sigismondo". Gli agostiniani, espulsi da Forlì con la coercizione francese già dal 1797, lasciarono così il loro convento urbano dopo cinquecento anni. Il corpo di San Sigismondo, però, non fu dimenticato: venne spostato in Cattedrale. Ora, nel Tesoro del Duomo è custodito un reliquiario (nell'immagine) contenente il cranio di San Sigismondo Re. Ha la forma di un tempietto a base esagonale sostenuto da uno stelo, è ornato di bifore classiche. Vi si leggono storie di San Sigismondo e figure di santi. In caratteri gotici è impressa la firma degli autori: Nicholaus Magistri Ture et Federichus nepos, e chi è del ramo sa che l'orafo e argentiere Nicolò di Tura, morto nel 1401, lavorò col nipote Federico nella seconda metà del Trecento. Per rendere ancora più fitto il mistero, si segnala che a Imola, nella chiesa di Santa Maria in Regola, vi è un'arca in pietra della fine del Trecento che conterrebbe il corpo di San Sigismondo senza, probabilmente, la testa. Nella medesima chiesa imolese è presente un braccio in un altro reliquiario. 

Al di là della singolare presenza, in Forlì, delle spoglie del santo re, si ricorda che questo è solo un piccolo esempio della preziosità dei reliquiari che il più delle volte rimangono sconosciuti ai forlivesi. Eppure tale culto da sempre caratterizza il popolo: gli umili nelle proprie case, i ricchi nelle cappelle gentilizie. Sono numerosi, infatti, gli esempi di reliquie domestiche. I giovani forlivesi, anche se provenienti da famiglie anticlericali, alla partenza per il fronte indossavano spesso al collo un piccolo reliquiario anche a contatto con la pelle, nelle case di ogni censo si potevano vedere reliquiari domestici a medaglia, a teca, a libretto... In questo tempo di memoria corta o di irritazione quando si parla di radici, ecco spuntare un'iniziativa sorprendente: un artista forlivese ha pensato a una serie di opere che riproduca quel modo di attraversare la caducità con la bellezza; una bellezza, appunto, che va oltre la morte, come opere d'arte erano gli antichi reliquiari contenenti al loro intento il più vero dei moniti: memento mori accompagnato dalla certezza che, chi ha superato la morte in odore di santità, può davvero intercedere, anche solo al tocco di un lembo di un suo resto materiale. La mostra di Cristian Casadei ha trovato spazio a Riolo Terme (nella Rocca fino al 30 settembre), in attesa magari di vederla anche a Forlì, e ripropone, con sensibilità contemporanea, le capselle, reliquiari attraverso i quali si possono vedere i resti mortali: cute, interiora, arti, ossa... Finestre che dispiegano il futuro di chi le guarda: futuro orizzontale, perché così saremo tutti, e verticale, perché diretti verso l'Eterno. E il contatto con esse ha dato e dà forza a generazioni che non negano una relazione che i credenti chiamano comunione dei santi. Sono esperienze che i forlivesi vivono il 1° maggio quando è evidente un grande afflusso di popolo che si premura di sfiorare o toccare la teca che racchiude il corpo di Pellegrino Laziosi, Santo che sembra non passare di moda.

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