rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Austerità dal Cinquecento

Impoveriti dalle guerre che Francia e Spagna avevano mosso per contendersi i fragili Stati italiani, ai forlivesi, nel XVI Secolo, fu imposta la sobrietà.

Se si leggono le cronache del Cinquecento, si troverà - in linea con la storia di quel tempo - una ripetizione di passaggi di eserciti stranieri, come i 25 mila francesi di Odet de la Foix, visconte di Lautrec, stabilitisi a Forlì per ventun giorni dal 15 aprile 1528. Essi permasero in Città per motivi riguardanti gli equilibri politici delle potenze del tempo. Questo e altri passaggi determinarono "gran carestia et gran peste et moria, nè si trovava carità alcuna, non compassione per aiuto ad alcuno", tanto che l'amministrazione locale sgravò di una tassa, il boarico, tutti gli interessati. Ma questo è solo un esempio di fatti cinquecenteschi, secolo non certo clamoroso come il precedente, ma che in più momenti vede Forlì al centro dei delicati meccanismi, spesso rotti, della politca e degli interessi dell'Europa di allora. Chi ci rimetteva, manco a dirlo, la gente comune. Il perdurare di questo sciame di decenni di conflitti e soprusi chiamati col nome di "Guerre d'Italia", scatenate dalla Francia poi coinvolgendo anche il Sacro Romano Impero, la Spagna, l'Inghilterra e l'Impero Ottomano, nonché gli Stati Italiani, vasi di coccio tra vasi di ferro, rese questi utilizzati più che altro come bottino anche perché disuniti e schierati di volta in volta con l'una o l'altra fazione, come se solo dall'esterno potesse arrivare la prosperità.

Da reminiscenze scolastiche, tutto ciò terminò con la pace di Cateau-Cambrésis (1559) che spartì il Vecchio Mondo ormai proiettato verso le nuove scoperte geografiche. E così l'Italia fu trattata alla stregua di colonia di Parigi o di Madrid mentre l'Austria rimaneva legata all'Emilia, buona parte della Toscana, Monferrato, Genova e Mantova. Il tutto, dunque, volse a vantaggio degli Stati già nazionali, per capire quale di essi sarebbe stato predominante in Europa. Le autonomie italiane ancora in piedi restavano il Ducato di Savoia, la Repubblica di Venezia e lo Stato Pontificio. Innestata stabilmente in quest'ultimo dal 1504, Forlì non scampò dall'essere campo di battaglia o acquartieramento di eserciti di passaggio, con le conseguenze che si possono immaginare. In un clima così provato, i cui strascichi si protrarranno ben oltre la predetta pace, l'amministrazione forlivese, il 16 aprile 1581, emanò la Pragmattica delle Pompe, cioè un decreto che mirasse a contenere il lusso nel vestire, il gusto per bagordi e banchetti, e tutta questa moderatione sarebbe stata voluta per mantenimento della Città.

Un provvedimento simile, e dettagliato, fu emanato nel 1556. In quest'ultimo, tra le altre cose, si leggeva: "Si proibisce a ciascuna persona di qual si voglia sesso, età, ordine, grado, conditione, tanto della Città quanto del Distretto e del Contà di Forlì, portar diamanti, rubini, perle, ogn'altra sorta di gioia, vestimenti di tela o con tela d'oro o d'argento et usare per ornamento di persona sorte alcuna d'oro o d'argento, smalto, battuto, tirato, filato o in qual si voglia modo e materia contesto o lavorato, corone di pasta d'ambra et mischio o d'altre sorte di profumi et similmente ogni sorte di drappamento di seda, ricami, intagli, gibelini et ogni sorte di panno e sagli di coloro di grana, se non ne modo che segue, sotto pena da intercorrersi ipso facto, senza altra sentenza, da chi contra farà in qualunque caso o in qualunque modo de l'escomunicazione e di lire venticinque di bolini, da applicarsi per un quarto a l'acusatore, il qual sarà tenuto secreto, per un quarto a l'esecutore et per l'altra metà a la Comunità di Forlì per la fabrica del Palazzo". Si capisce che il provvedimento è rivolto più che altro alle donne, e che l'austerità imposta ha sullo sfondo pure le vicende tra la Riforma protestante e la risposta della Chiesa con la Riforma cattolica. Nonché, l'intento era quello di richiamo alla coscienza in tempi tanto tribolati e tristi, e per il crescente numero dei poveri. Perfino i funerali dovevano essere nient'affatto pomposi: "Subito che l'anima sarà fuora del corpo et che'l cadavero serà governato, sia posto in luoco da se solo seperato; et se non si potesse in casa, per bisogno di luogo, pongassi nella più vicina chiesa, et venendo l'hora di portarlo a la sepultura, non possano, nè debbano i parenti in modo alcuno accompagnare il corpo morto a la chiesa (...)". Nelle feste non era "licito usare nel dar colatione confettione di sorte alcuna di zuchero". E poi altre norme su come ci si deve vestire, sia che si sia "forestiero", "graduato", "artesano", "cittadino". Come organismo di garanzia fu istituito un Magistrato sopra le Pompe: il Vescovo "o il suo coadiutore", come supplenti il Vicario o il Priore dei XC Pacifici, insieme con una piccola giuria (sempre tra i XC Pacifici) "da estrarsi ogni due mesi" e che ha "piena autorità et facoltà di potere fare di ciò inquisitione et far pagare le pene".

L'ostentazione del lusso, o di una semplice voglia di concedersi qualche sfizio, non cessarono se, appunto, il 16 aprile 1581 (nell'immagine: un particolare de "La Madonna del Rosario" che Pier Paolo Menzocchi dipinse in quegli anni, oggi nella Pinacoteca Civica di Forlì) fu necessario un altro provvedimento sul tema. Con esso, alle donne saranno proibiti gioielli, monili, reti, drappi in oro e argento, anche se falsi, in testa. E poi "pendenti o altra cosa a gli orecchi, perle di qual si voglia sorte, collane, cordoni d'oro, o altro ornamento che passi quaranta scudi di valore, computata la manifattura" e pure, tra le altre cose "pelli di zibellini intiere e spezzate". Era però concessa al collo una "Crocetta o un Agnus Dei", sia alle "donzelle" sia alle "maritate". Gli uomini, per conto loro, avrebbero dovuto rinunciare a "ricami di tutte le sorti, passamano et cordelle d'oro et d'argento, buono o falso, collane d'oro, Brocatelli et ogni sorte di vestimenti e d'addobbo, dove sia oro o argento in qualunque modo". Ai banchetti, sarebbero d'ora in poi stati proibiti "quaglie, tordi, tre sorti di Lesso e tre d'Arosto e due sorti di Selvatiche, purché non siano Fagiani et Pavoni, et due Torte, con antipasti condece et frutti et due sorti di confetti in caso di nozze e una fuor di nozze". I proventi della pena sarebbero andati per metà alla Camera Apostolica, l'altra metà sarebbe stata ripartita tra l'Esecutore, l'Accusatore e l'Ospedale. Inutile dire che ci si lamentò e già poche settimane dopo si discusse "se sia bene dar qualche satisfattione alle donne". Detto, fatto: il successivo 19 maggio la moderazione venne attenuata. 

Si parla di

Austerità dal Cinquecento

ForlìToday è in caricamento