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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Banca Popolare Forlivese: che crollo!

Un clamoroso fallimento e una lunga agonia: oltre centoventi anni fa chiuse il più importante istituto di credito locale con gravi ripercussioni.

Le cambiali venivano a galla come le canocchie. Con quest'espressione colorita (e, a seconda dei gusti, saporita) si commentavano le attività della Banca Popolare Forlivese nella primavera del 1894. Un tracollo dagli esiti nefasti: era il più importante istituto di credito della Città dal 1872, crocevia degli affari e dell'economia locali. Le trama di questa storia comprende anche un misterioso suicidio, ma si vada per ordine. La Forlì degli anni immediatamente successivi all'Unità d'Italia è una città fervida, con una borghesia spavalda e intraprendente, coraggiosa, spregiudicata e innovativa in diversi campi dei "nuovi ritrovati" del secolo. Entusiasmi positivistici, curiosità, voglia di emergere e di arricchirsi, desiderio sincero di veder prospera tutta la Romagna... Insomma, il clima più o meno doveva essere questo. Ben presto, il centro di irradiazione della vita politica e finanziaria di Forlì divenne una banca, una banca (il cui primo presidente era Aurelio Saffi) che, insomma, confondeva i due piani. Così, fin dall'inizio, erano evidenti gli interessi politici, ci si esponeva in operazioni a vantaggio di questo o quell'amico spesso senza le giuste garanzie, dando a chi non fosse "del giro", l'idea di essere una compagine esclusiva. "Si sa che l'avv. Fortis vi ha circa 140.000 lire di cambiali in sofferenza - si legge nel Diario Forlivese di Filippo Guarini - il signor Livio Quartaroli vi ha affari per oltre 130.000 lire impegnando con firme il signor Attilio Pasini di cui è agente". E via andare, si citano dirigenti repubblicani con debiti ingenti come Andrea Morgagni che "non paga nè sorte, nè frutti", fino a Curzio Camporesi che "ha avuto a prestito 15.000 lire" senza contare gli "innumerevoli" che "ebbero somme piccole, ma non hanno che pagarle". Insomma, un pasticcio: "Per l'elezione di Fortis furono - dicono - spese da 54.000 lire fornite dalla Banca popolare, che qualche anno fa pagò anche un banchetto al quale presero parte duemila repubblicani che si disse avevano speso ognuno del suo". La fonte, il Diario Forlivese, è preziosa perché riporta anche ciò che si diceva per strada. Si tenga poi conto che 100 mila lire del 1894 corrispondono a oltre 440 mila euro odierni. Politica e finanza, intrecciati con interessi privati e, come si dice da queste parti, malghini vari, durarono diversi anni ma dovettero poi capitolare, facendo capitombolare l'economia della Città. 

Sul finire del 1893, la Banca Romana fallisce e con essa altri istituti che erano legati, per affari, alla banca romagnola. Poi si venne a sapere che Primo Sughi, impegato della Popolare Forlivese, era un imbroglione e fu accusato di essere un truffatore, avendo sottratto altresì 200 mila lire. Il Procuratore del Re avviò l'indagine e venne la tremarella un po' a tutti tanto che Fortis volle parlare con Crispi e il Direttore Generale della Banca d'Italia ma l'incontro non sortì alcun esito. La Commissione nominata dal tribunale, composta da rappresentanti della Banca d'Italia, del Banco di Napoli e della Cassa dei Risparmi di Forlì, entrò negli uffici della Popolare Forlivese e vi scovò gravi ammanchi, mancanza di liquidità, crediti inesigibili, forte indebitamento: insomma, il fallimento era inevitabile. Il 18 aprile 1894 la Banca chiuse gli sportelli: la ressa dei risparmiatori si accalcò per ritirare i depositi ma non fu dato niente a nessuno, e allora urla, grida, disperazione. Quella sera, Forlì si scoprì povera e squallida. La storia si trascinò ancora un po' ma il 20 maggio 1896 la Banca Popolare Forlivese, trasformata in forma cooperativa, chiuse del tutto trascinando nel mondo degli incubi i risparmiatori, la piccola e media borghesia locale. Ne risultò castrato il settore economico, le iniziative imprenditoriali manco a dirlo e, in generale, nessun forlivese per un certo tempo riuscì a fidarsi più delle banche.

La triade definitiva della Banca Popolare Forlivese era composta da Giuseppe Brasini, Livio Quartaroli e Alessandro Fortis. Questi nomi furono indicati come responsabili del tracollo della Banca, di una gestione imprudente e/o disonesta (da leggersi secondo le varie angolature politiche). Qualche mese dopo, Brasini (che aveva fondato la filanda di via Orto del Fuoco) dirà che "la coscienza non mi rimorde" perché "io fui vittima di questo scorcio di una luminosa e generosa illusione"; in effetti perderà l'intero patrimonio e morrà indigente. Quartaroli sarà ritrovato venti giorni più tardi morto nel pozzo di una villa forlivese dove si sarebbe gettato l'8 maggio 1894 angosciato dal disastro e accusato dal suo partito. Fu veramente un suicidio o venne "aiutato"? Ancora oggi resta un mistero. Prima della disgrazia era stato un infaticabile esponente repubblicano, un delfino di Saffi particolarmente attivo e autorevole. Dinamico e scrupoloso, si fece ben volere da tutti fino a quando le trame della politica non lo intrappolarono in un viluppo di interessi e consorterie; s'improvvisò banchiere con le conseguenze di cui si è scritto. Fortis si salvò anche perché, rispetto agli altri due, in effetti non avrebbe avuto responsabilità dirette ma il suo nome, a Forlì, ormai risulterà compromesso in modo irrimediabile. Tuttavia vincerà le elezioni politiche dell'anno successivo e prenderà, per oltre dieci anni, la strada per Roma. 

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