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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Che fine hanno fatto le mura di Forlì?

Nel 1904 si demolisce la cinta muraria quattrocentesca. Sull'onda dell'entusiasmo della "città aperta", Forlì ha perso una testimonianza importantissima dei fasti del passato. Ora vi sono solo scarse tracce. Dove?

Il 1 luglio 1904 Forlì entra nel Novecento. Come? Segnando una netta cesura col passato. Tra un pacchetto per uscire dal secolo precedente, un passaggio fu ed è piuttosto controverso: l'abbattimento delle mura. In seguito alle riforme daziarie Forlì divenne “città aperta”, quindi porte e barriere non servivano più. Anzi, l'urbe voleva scavalcarle, voleva ingrandirsi. La conseguenza del provvedimento approvato dalla Giunta repubblicana, con l'occhio di chi allora lo volle, fu visto come “un vantaggio economico non indifferente”, ma soprattutto venne notato “l'alto significato liberale e civile”, cioè: “le secolari barriere, triste avanzo del Medio Evo, sono state abbattute per sempre”. Il lavoro fu davvero certosino, tanto che ora non è facile trovare avanzi di mura, non n'è stato lasciato in piedi nemmeno un tratto integrale a mo' di esempio.

Il che non fu facile: si trattava di un esagono dal perimetro di cinque chilometri. Parte dei mattoni finì a edificare il torrione dell'acquedotto in uno stile aggraziato e finto medievale, poi atterrato dall'ultima guerra, molto più appropriato dell'attuale anonimo nei giardini accanto alla Rocca di Ravaldino. Il provvedimento fu aspramente criticato dalle opposizioni, in particolare dai liberali moderati e dai cattolici. Sul giornale La Voce della Libertà si leggeva: “A chi giri intorno alla nostra città par di assistere ad uno spettacolo quasi simile a quello di una città bombardata. Le nostre mura, cui si collegano avvenimenti e vicende consacrate nella storia patria, senza alcuna pietà sono state del tutto flagellate. Si dette mano al piccone demolitore, senza prima aver escogitato un piano stradale di assestamento. Non comprendiamo quale imperiosa urgenza sospingesse tanta ira contro innocue mura!”. Infatti: “Se intento era di facilitare la viabilità, lo scopo si conseguiva egualmente senza che avvenissero tanto sfacelo e tanta dispersione di materiale, aprendo comunicazioni là dove si manifestano necessarie”. In realtà, all’occhio di chi scrive “le mura (si può dire) sono rimaste alla mercé della ragazzaglia e di chi ne voleva trarre profitto”. In poche parole, chiunque poteva rubar mattoni. Senza lungimiranza, tra l’altro, in quanto: “Si è proceduto con deplorevole noncuranza, si è, infatti, impreso a demolire e non si è provveduto a dar sesto alla parte di muro che veniva lasciata come difesa per la viabilità, in guisa che lo spirito dei vandali paesani si esercita man mano abbassando l’altezza della muraglia, ed in alcuni luoghi facendo pericolose aperture”.
E, infine, la critica politica: “Molto danaro è stato speso nella infelice demolizione e poco deve il Municipio averne ritratto nella vendita del materiale”. Si noti che le medesime considerazioni erano state tratte anche dal Lavoro d’Oggi, d'ispirazione cattolica: “Non si vede però l’urgenza di una demolizione completa. In alcuni punti della città p.e. sul fiume, è quasi impossibile. In altre parti porterebbe come conseguenza tanti altri lavori, che il bilancio non permette di affrontare. Basterà bene aprire alcuni punti. Ad ogni modo il materiale non paga neppure la spesa della demolizione”.

Insomma, è andata com'è andata, e oggi cosa ne rimane? Sostanzialmente, il percorso dei viali di circonvallazione che più o meno seguirebbe fedelmente l'ultima e definitiva cerchia muraria completata da Caterina Sforza. Pochissimi i tratti in alzato superstiti, e nemmeno poi così valorizzati né tantomeno conosciuti. Fatta esclusione del complesso della Rocca di Ravaldino e della Rocchetta di Schiavonia, i superstiti sono da cercare in via del Portonaccio (tratto di mura con guardiola quadrata), dalle parti di via Enrico Forlanini (rudere della torre del Pelacano), in viale Salinatore (torre dei Quadri o del Giglio sulla riva del Montone), in via Porta Cotogni (tratto di mura riutilizzate per la costruzione dello sferisterio). Un “muretto” scorre anche nel parco del Campus universitario, forse è ciò che rimane di un tratto antico.

Le mura erano in mattoni, spesse in media un metro ma anche quasi il doppio. Sopra il piede a scarpata, si alzavano verticali per almeno cinque metri e terminavano con merli a coda di rondine. All'interno correva un terrapieno, all'esterno un fossato. Vi si aprivano quattro porte: Schiavonia (occidente), Ravaldino (mezzogiorno), Cotogni (oriente), San Pietro (settentrione). Un'ulteriore, la Valeriana o Liviense, fu murata già in epoca remota. Le mura erano rinforzate con quarantasei torri-guardiole a base rettangolare o circolare. La cerchia abbattuta nei primi anni del Novecento era la più recente della storia della città in continua espansione. Iniziate da Antonio Ordelaffi nel 1438, le mura furono concluse in fretta e furia da Caterina Sforza nel 1499, col fiato del Duca Valentino sul collo. Altri tratti di laterizio che si possono notare lungo i viali di circonvallazione (parcheggio di piazza Montegrappa, viale Vittorio Veneto e viale Italia, e viale Salinatore) non si riferiscono alle mura propriamente dette, ma è ciò che rimane dei muri delimitanti complessi conventuali ora scomparsi. Il primo apparteneva a Santa Maria della Neve, poi Distretto militare, quindi azzerato dai bombardamenti e “ripulito” da ciò che ne restava nel dopoguerra. Il secondo, mozzato da viale Italia e dalla rotonda obliqua, conchiudeva Santa Chiara. Su viale Salinatore, all'altezza della “Fabbrica delle candele” corre un muro, ma anche in questo caso non si tratta della cinta urbana, collocata dal lato opposto della strada. Con grande rammarico, si può constatare che se gli amministratori di allora fossero stati meno “alla moda”, oggi Forlì avrebbe una cerchia muraria decisamente importante e una delle più ampie a livello nazionale.

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