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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Dante ambasciatore di Forlì

Dante e gli Ordelaffi ovvero Forlì città dantesca. Cosa fece il Sommo Poeta ospitato a Borgo Schiavonia? Che ruolo ha giocato per il "meditullium" della Romagna?

I meno distratti avranno notato che in corso Garibaldi, su Palazzo Albicini, un'iscrizione ricorda che all'interno della facciata austera fu accolto "Dante Alighieri oratore / dei fiorentini di parte bianca proscritti". Qui si estendeva, infatti, la Caxa Granda degli Ordelaffi e fu il polo del potere tra il Trecento e i primi decenni del Quattrocento. In seguito, gli Ordelaffi scelsero di trasferirsi nel Palazzo che ora, dopo cospicui rimaneggiamenti, è sede del Municipio. Il vasto isolato che comprendeva la Caxa Granda fu così sede governativa e, come tale, ospitò Durante detto Dante Alighieri, conosciuto più per la sua passione politica (oratore) che per il talento letterario. Infatti, cosa ci faceva a Forlì? Occorre subito dire che lo troviamo qui più volte tra il 1302 e il 1308. Sarà ancora a Forlì nel 1310-1311 e, chissà, nel 1316. 

Era, quindi, ospite abituale per almeno due motivi: il primo - necessitato - giacch'era stato esiliato da Firenze come guelfo bianco, cioè moderato. Il secondo, in quanto tale, era simpatizzante di Scarpetta Ordelaffi di cui era probabilmente segretario. Le branche verdi, in quegli anni, affileranno gli artigli onde ghermire la Signoria di Forlì per due secoli. Certo, allora la città si presentava in un modo piuttosto diverso: un video realizzato l'anno scorso da Romagna Fulltime tenta di ricostruire con una documentata suggestione ciò che si poteva vedere. Sentire le campane di Sant'Agostino, inginocchiarsi in San Francesco Grande, percorrere strade all'ombra di torri gentilizie sono cose che la storia non ha voluto si ripetessero per i contemporanei. Dante alla corte di Scarpetta è così immaginato dal pennello di Pompeo Randi nell'immagine. Per il Poeta, Forlì è una città novissima: difficile attribuire una definizione chiara all'aggettivo. C'è chi propende per una descrizione edilizia, oppure per un termine di derivazione teologica, come i novissimi cioè le "cose ultime" (morte-giudizio-inferno-paradiso) di cui poi saprà ben trattare. Sarebbe, dunque, "ultima" in quanto prossima ai confini della Romagna: si ricordi che a una manciata di chilometri da San Mercuriale iniziava la Toscana. Doveva apparire come una città lambita dalle acque confuse del Montone "che si chiama Acquacheta suso, avante / che si divalli giù nel basso letto, / e a Forlì di quel nome è vacante". Ma per Dante era soprattutto il luogo che "fe' già la lunga prova" del "sanguinoso mucchio" dei francesi nel Calendimaggio del 1282, trionfo, non a caso, ghibellino. Proprio per questo "sotto le branche verdi si ritrova", cioè sotto gli Ordelaffi. 

In particolare, nel 1302 Forlì accolse i fuoriusciti guelfi bianchi, banditi dai neri da Firenze, che trovarono braccia aperte da parte dei ghibellini Ordelaffi. Qui scoppiò un tumulto contro Raynaldo Concorreggi, rettore della provincia, paciere mancato. Egli, nonostante le buone intenzioni, fu assalito e ferito tanto da dover riparare nella più mite Ravenna. Questo episodio poco noto ai più è il prodromo di tutti gli anticlericalismi locali: gli Ordelaffi, fomentando e seguendo l'animosità popolare, si fecero così strada lungo il sentiero del ghibellinismo che avrebbe loro consegnato il serto da Signori. Gli interessi tra gli Ordelaffi di Scarpetta e Dante Alighieri s'intersecano: i primi vogliono consolidare il dominio e avere il necessario riconoscimento, il secondo desidera rivedere Firenze. Così nel 1303, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, trama col ghibellino Scarpetta Ordelaffi per un tentativo di rientro nel capoluogo toscano. Ciò sarà impedito da un altro forlivese: Fulcieri da Calboli, allora podestà di Firenze, guelfo, per motivi più che altro d'odio nei confronti del rivale concittadino. Dante non la manderà certo a dire: sul Fulcieri trecentesco scaturirà la più violenta invettiva del Purgatorio, descrivendolo come crudele cacciatore e macellaio di lupi. Nel 1309, si ha traccia di Dante a Forlì, ancora ospite di Scarpetta, in attesa della discesa di Arrigo VII e dalla corte ordelaffa il Sommo Poeta esortò tutti i potenti d'Italia a riconoscere il successore di Federico II quale Imperatore, vagheggiando un'Italia unita e forte come ai tempi di Roma. Il grido ebbe scarso successo. Anche Francesco I Ordelaffi, successore di Scarpetta ospitò, forse, Dante nel 1316 e più avanti seppe rafforzare il suo potere grazie alla lega ghibellina. Nel 1321 qualcuno suggerisce che il Poeta, ormai a Ravenna, abbia giocato un ruolo di ambasciatore presso Venezia per ottenere condizioni vantaggiose per la Romagna proprio giocando la carta "Forlì": gli Ordelaffi erano vicini al Governo del Doge. Vero è che, di ritorno dalla Laguna, contrasse la malaria ed esalò l'ultimo respiro nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. 

Se l'opera più nota di Dante è la Divina Commedia, troviamo Forlì e forlivesi all'Inferno e in Purgatorio. Nell'Inferno si dettaglia una città pertinace e coerente al suo ghibellinismo antipapale. Nel Purgatorio, il tessuto forlivese è descritto nelle sue contraddizioni e nelle sue inadeguatezze: liti familiari, contrasti tra individui e fazioni, incapacità delle nuove generazioni di adeguarsi alle precedenti, quindi al loro inarrestabile tralignare dimentiche del mos maiorum cavalleresco: cortesia, ospitalità, fedeltà. Inoltre, non manca la languida ironia di messer Marchese, goloso degli Orgogliosi, "ch'ebbe spazio / già di bere a Forlì con men secchezza, / e sì fu tal che non si sentì sazio". 

Di questi ripetuti soggiorni non vi sono moltissime tracce: i più conoscono le citazioni forlivesi nella Commedia ma il resto? Molto più di quanto si possa sospettare. Per esempio: nel Ghetto di Forlì, pochi anni prima dell'arrivo del Sommo Poeta, operava Hillel da Verona, rabbino noto per essere il primo tomista giudeo della storia, coniugando così la filosofia di San Tommaso d'Aquino col pensiero ebraico. Dante è quasi certamente venuto a contatto con la sua opera ed è possibile che abbia preso qualche spunto, qualche suggestione. Con un certo azzardo si può dire che la Divina Commedia nacque a Forlì. Non sarebbe improbabile visto che il percorso Firenze - Forlì è ricco di riferimenti letterari: l'Acquacheta, il cui rimbombo è paragonato a un fiume infernale, la selva di Ladino (che sia stata fonte d'ispirazione per la selva oscura, che per qualche ragione il Poeta vi si sia smarrito?)... Tra l'altro, Scarpetta Ordelaffi, suo protettore a Forlì, era notoriamente avverso a Bonifacio VIII, Papa collocato all'Inferno da Dante. Le curiosità non sono finite qua: nel De vulgari eloquentia testimonia di conoscere il dialetto stretto forlivese (definito muliebre per la sua molle cadenza). Non a caso, lo stesso Alighieri definirà Forlì meditullium della Romagna, cioè baricentro, capitale; ruolo che alla città ordelaffa dovrebbe esser caro. Tuttavia la fortuna dantesca qui non ebbe una diffusione capillare, non si sviluppò come sarebbe stato opportuno. Si perpetuò un "culto di Dante" nella corte degli Ordelaffi (frequentata, tra gli altri, dal Boccaccio) ma a Forlì fu l'eccezione, più avanti approfondì gli studi Biondo Flavio. E silenzio. Nel Settecento, il primo a rinverdire il culto del Sommo Poeta in città fu il gesuita Pompeo Venturi; in età romantica, Melchiorre Missirini. Si pensi che Forlì è nota per la precoce fioritura dell'arte tipografica: ciononostante da queste parti non è mai stata stampata un'edizione delle opere dantesche. Ci si aspetta che il capoluogo che fe' già la lunga prova sappia giocarsi con più convinzione la carta "Dante" quale ambasciatore culturale e turistico nel mondo contemporaneo. 

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