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Martedì, 16 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì al tempo delle ciminiere

Oltre a torri e campanili, c'è stato il tempo delle ciminiere. Agli inizi del Novecento, Forlì era tra le prime città industriali d'Italia. Nel giro di qualche decennio, la vita economica della città crebbe a dismisura. Cosa accadde?

Oltre a torri e campanili, c'è stato il tempo delle ciminiere. Agli inizi del Novecento, Forlì era tra le prime città industriali d'Italia. Non c'entra, qui, Mussolini. Anzi, Mussolini troverà terreno fertile per le sue attività da giovane socialista proprio perché Forlì era una città industriale di notevole importanza. Nel giro di qualche decennio, dunque, la vita economica della città crebbe a dismisura. 
La rivoluzione industriale del Cittadone fa leva su una certa borghesia che aveva trasferito il suo senso pratico e il suo “sbuzzo” dall'agricoltura alla manifattura. Così spuntarono come funghi i camini delle fornaci e, più tardi, le prodigiose centrali elettriche. Inoltre si svilupparono officine meccaniche, fabbriche di biliardi, ceramiche, industrie del legno, chimiche, tessili, concerie di pelli, tipografie, stabilimenti alimentari.
E che dire della fabbrica avviata da Valerio e Pietro Becchi nel 1850 che conobbe fama internazionale con la stufa “a cassettoni” del 1890?


Il grande scheletro dell'Eridania è lì come un fantasma, relitto di un tempo perduto. Ci sarà qualche contemporaneo borghese “illuminato” capace di finanziare un recupero degno della grande architettura e del parco (potrebbe essere un bosco) che separa il centro da via Gorizia e San Benedetto? È sparito da un pezzo l'odore dolciastro sputato dalla ciminiera dello zuccherificio; ora, della pregevole testimonianza storica datata 1900, non rimane che lo scheletro. E pensare che era il più grande stabilimento industriale della provincia (che a quel tempo arrivava fino a Cattolica), occupava un'area di circa sette ettari con undicimila metri quadrati di superficie coperta. Due potenti centrifughe convogliavano l'acqua del canale di Ravaldino con la portata di duecento litri al secondo. C'erano abbastanza sili per quarantamila quintali di barbabietole, così lo zuccherificio di Forlì occupava un migliaio di addetti e produceva centoventimila quintali di zucchero: per quei tempi, roba da primato. 
Lì accanto c'era un'altra struttura industriale. La Società d'Industria pel Gas e Fonderia di Ferro, nata nel 1863, diede via al più importante stabilimento industriale esistente a quel tempo tra Bologna e Ancona. Si facevano prodotti relativi alla meccanica, caldaie, trebbiatrici a vapore, tubi, pompe, tettoie e altro. Nel 1895, lo stabilimento fu acquistato da Enrico Forlanini (ne rimane la palazzina ora sede di un istituto bancario lungo viale Vittorio Veneto). L'area Forlanini, che allora era collegata con la linea ferroviaria Bologna-Ancona e la linea tranviaria Forlì-Ravenna, ha cambiato totalmente aspetto con l'avvento del ventunesimo secolo. Ora vi si trovano esercizi commerciali e un albergo. 


La diffusione dell'allevamento del baco da seta diede il la alla costruzione delle filande cittadine. Si può citare, tra esse, la Filanda Maiani che, benché oggi destinata ad altri usi, ha conservato un aspetto simile all'originale. Un salto nel tempo farebbe scoprire, all'interno dello stabilimento tra via Orto del Fuoco e via del Portonaccio, centinaia di giovani donne alle prese con bacinelle e turni di lavoro proibitivi.
Spianata la più giovane delle “antiche” fabbriche: la Mangelli, il cognome aristocratico dà ancora il nome a un'area che ha conservato una ciminiera ridotta a mozzicone di sigaro e la palazzina su piazzale del Lavoro. Stava a Forlì come a Torino la Fiat: duemila e più maestranze, aria “pesante” che ammorbava i viaggiatori in treno e tanto lavoro a due passi dalla stazione. 
Negli anni Ottanta erano ancora intuibili le tracce delle rotaie che raggiungevano la fabbrica, fino a pochi anni fa i fabbricati abbandonati erano ben visibili. Ora ci sono condomini e un centro commerciale. Scomparsa del tutto la Bonavita: l'edificio storico è stato sacrificato per la barcaccia e il parcheggio di piazza Guido da Montefeltro. L'architetto romano fece atterrare la ciminiera con l'accordo della Giunta e col rammarico dei cittadini. La demolizione cancellò una storia importante: con la diffusione dei fucili da caccia a retrocarica, Leonida Bonavita pensò di confezionare dischetti di feltro per le nuove cartucce a pallini. La fabbrica antica nacque, prima e unica in Italia, nel 1888 ed era divisa nei reparti “feltro” (per coperte e pantofole), “borre” (per le cartucce), “dischi” (per la pulitura di diverse superfici), “buffetteria” (articoli in tela, feltro e pelle di vario genere). 
Ritroverà, Forlì, il dinamismo di quel tempo?

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