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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì città dell'Ottocento

Mica c'è stato solo il "secolo breve". Forlì nell'Ottocento, da capitale napoleonica a irrequieto snodo politico ed economico, si configura come "Zitadòn" e cresce interessanti figure di rilievo non solo locale.

Del secolo breve si è condensata, negli ultimi anni, una congerie di studi e di testimonianze importanti per ricordare un periodo vicino e controverso. Il Novecento ha reso Forlì, nel bene e nel male, quella che è oggi. Dal 1905 si è provveduto a distruggere le mura con scempio frettoloso e goffo, poi è arrivata la "piccola Roma" con le profonde trasformazioni urbanistiche, la guerra e i bombardamenti disastrosi, la ricostruzione modesta e mediocre. Sono sorte industrie, servizi, strutture delineando la città come un vasto conglomerato abitato pressoché ininterrotto da Grisignano a Pieveacquedotto, dalla Cava al Ronco. E prima? Occorre ricordare che Forlì ha avuto un ruolo importante, almeno nella prima metà del XX secolo, proprio perché fu "città dell'Ottocento", con tutte le irrequietezze che il secolo melodrammatico per eccellenza porta con sé. 

L'Ottocento vede Forlì appartenere, di volta in volta, a cinque Stati diversi: la Repubblica Cisalpina che poi, nel 1801, prese il nome di Repubblica Italiana divisa in 12 Dipartimenti tra cui quello del Rubicone con capitale Forlì. Essa divenne, quindi, Regno d'Italia (1805-1814) sempre con Napoleone. Dopo la sua caduta si tornò allo Stato Pontificio (fino al 1860) e anche qui Forlì mantenne un ruolo di "capitale" essendo la sede di una propria legazione (comprendente Rimini). Quindi il Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II. 

Nel 1810 Forlì ha 28 mila anime (di cui 13 mila entro le mura), Forlimpoli 3.679, Predappio 2.616.  Inoltre, Meldola (3.606), Bertinoro (5.174) e Civitella (3.432), Teodorano (2.553) e Dogheria (1.944, comprendente anche Cusercoli, Voltre, Ricò). Cesena ha 23 mila abitanti, Ravenna 42 mila, Cervia 12 mila, Faenza 24 mila... Insomma, il Dipartimento con capitale Forlì conta 270 mila persone. I caratteri degli abitanti del Dipartimento sono espressi in un'ottava di Ruggero Calbi, secondo il quale: Son Goti irresoluti i Ravennati / Son Ebrei di Romagna i Forlivesi / Son Padri delle Balie i Cesenati / Son Scimie di Romagna gl'Imolesi / I Riminesi son tutti spiantati, / Sarsina, e Cervia stan male in arnese / Mantengon le Gallere i Faentini / E in Bertinoro sol son buoni i vini

Il podestà Hercolani, riferendo alla Prefettura sugli usi e costumi in città, stende un resoconto dettagliato e interessante (riportato in "Tradizioni popolari nella Romagna dell'Ottocento", a cura di Brunella Garavini, edito da La Mandragora) il 2 dicembre 1811 scrivendo, tra l'altro: Gli abitanti della campagna di questa Comune sono tutti poveri agricoltori, ambiziosi però, astuti, ed ostinati all'eccesso nella loro maniera di pensare, effetto di quella crassa ignoranza che per difetto d'istruzione regna tra loro. Sono attacchatissimi alla Religione dei loro padri, ma tal volta più osservatori di un culto esterno che delle massime della morale Evangelica. E poi: I dialetti degli abitanti della campagna sono poco diversi da quelli della Città e solo si distinguono in certe parole che per totale mancanza di letteratura si mozano, e troncano assai più, per esempio volendo dire allo scuro, dicono a lu de bur; sull'imbrunire della sera, e sull'albeggiare del giorno, tra loz e broz

La città ottocentesca è pressoché quella di sempre quasi inalterata, con canali, case basse, palazzi signorili, strade - se va bene - lastricate con pietre, illuminazione - là dove c'è - a olio o a gas. Il teatro (sbriciolato nel 1944 e mai più ricostruito) è il polo dell'appassionata vita culturale. Il tessuto sociale è prevalentemente agricolo con forte spirito imprenditoriale, un ceto di borghesi possidenti particolarmente attenti alle idee più innovative e, in linea col tempo, positivisti, si trasformerà poi in industriale. Nascono scuole, studi, riviste: si viaggia e si scopre il mondo, s'inventano attrezzi, strumenti agrari, la meccanica si coniuga alle scienze naturali, l'artigianato è al servizio del miglioramento delle rese dei fondi e della qualità della vita. La campagna è ferma a tempi ancestrali ma la Forlì ancora protetta dalle mura Ordelaffi-Sforza è un perpetuo fermento culturale, economico, politico, artistico, civico. 

L'Ottocento si apre con una Forlì capitale di un territorio esteso all'incirca come la Romagna (il Dipartimento del Rubicone), connesso nell'organizzazione della Penisola voluta da Napoleone. Da qui nasce, per meglio dire rinasce, un certo temperamento ghibellino, mai sopito, che vede in Bonaparte un novello Federico II. La città attrae gente a sua volta attratta da ideali d'Oltralpe e cova, nei decenni successivi, un astio nei confronti della Restaurazione che significherà riunioni segrete, massoneria, carboneria, intrighi, provocazioni, moti, risse, violenze, repressioni. La brace avrà il suo sfogo nei famosi moti risorgimentali studiati a scuola. Checché se ne pensi, Forlì ha dato al Risorgimento dei personaggi di tutto rispetto e in quell'alveo si è formata la classe politica anche del secolo successivo, imprimendo un certo "repubblicanesimo" (molto spesso estremo) che ha fatto attecchire l'edera in modo significativo in città. Nel frattempo, nascono sodalizi che daranno luogo a banche, alla Camera di Commercio, associazioni e corporazioni varie, e s'infiamma lo scontro politico tra chi sta dalla parte del Papa e chi dalla parte del Re (che soprattutto qui significava Garibaldi o Mazzini). 

L'eredità di Napoleone, oltre a sogni di matrice ideologica, è una tempesta di speculazioni edilizie che cancellano conventi e chiese prestigiose, prelevando opere d'arte, distruggendone per sempre altre. Si segnala il caso assurdo di San Francesco Grande, una specie di Santa Croce (di Firenze) forlivese, smontata in seguito a un terremoto dai francescani stessi alla fine del Settecento; requisita, sarà atterrata fino all'ultimo mattone là dove poi sarà costruito il Mercato Coperto. Il vecchio campo San Francesco diverrà piazza delle Erbe, o delle Ortolane, o Cavour. Si segnalano importanti cambiamenti: alle porte vengono preferite le barriere daziarie (l'unica di un certo pregio era quella in fondo a corso Mazzini, bombardata dagli Alleati), si salva l'arco di Schiavonia ma le altre porte, dichiarate obsolete, vengono atterrate. E poi il Duomo che cambia radicalmente facciata e l'impianto interno. Arriva, inoltre, il treno proprio a ridosso dell'Unità nazionale. Risale al periodo pontificio l'aspetto definitivo del Municipio, quantunque i graziosi fregi che ornavano la parte superiore della facciata e che si notano nelle illustrazioni del tempo siano spariti. Inoltre, la torre civica (quella originale), verrà restaurata in quanto già in pericolo di crollo e fatalmente "attaccata" al teatro, sul quale poi cadde, minata, durante la ritirata dei tedeschi. 

Per il resto, sono storie ben note e ci sarebbe bisogno di troppo spazio per scriverne. La semente di Bonaparte produrrà germogli alla Murat con una Carboneria molto attiva già nel 1821 e nei decenni successivi. Nel 1831, a pochi passi dal Trebbo di Mozzapé, morrà di rosolia il giovane Luigi Napoleone Bonaparte, già re d'Olanda grazie specialmente allo zio Napoleone. Nel 1832 il cardinale Albani sedò la rivolta dei ribelli liberali occupando la città con oltre tremila militari e bastò una scintilla per scatenare un putiferio. Nel 1848 è in città Garibaldi. Nel 1849 Aurelio Saffi sarà uno dei tre Capi di Stato dell'effimera esperienza della Repubblica Romana che coinvolse anche un altro forlivese, Giovita Lazzarini, ministro di grazia e giustizia. Unico caso in tutta Italia fu l'iniziativa dei banchetti patriottici, occasioni in cui si mangiava e si sosteneva economicamente, di volta in volta in case diverse, il Triunvirato. Garibaldi poi tornerà di passaggio, fuggiasco, nella trafila clandestina che contribuirà a fondare il Regno d'Italia. Nel 1857 Pio IX visiterà Forlì e sarà la sua ultima volta: fino al 1986 nessun Santo Padre lambirà la diocesi di Mercuriale. Nel 1859 Forlì si appresta a votare per l'annessione al Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II sarà in città l'anno seguente. Le guerre d'Indipendenza coinvolgeranno un gran numero di forlivesi i più noti dei quali sono ancora nelle orecchie dei più: Achille Cantoni, Antonio Fratti, Alessandro Fortis. Precedente è la vicenda carbonara di Piero Maroncelli, uomo da molteplici interessi (era anche compositore) che morrà negli Stati Uniti. Un altro sovrano, Umberto I, sarà in città nel 1888. Sono anni in cui la stampa locale prolifera con numerosi titoli e articoli al vetriolo. Tantissimi altri personaggi, oggi noti per lo più come nomi di strade, hanno caratterizzato questo secolo effervescente, iroso ed estroso. 

Per quanto riguarda il Belcanto, emerge la figura internazionale di Angelo Masini; per quanto riguarda le scienze, Forlì può giocare la carta di Carlo Matteucci (poi ministro della pubblica istruzione nel Regno d'Italia); per l'arte pittorica Pompeo Randi; per il diritto Oreste Regnoli; per la medicina Giorgio Regnoli. In questo fervido contesto, dalla metà del secolo Forlì diverrà il Zitadòn, il cittadone (termine che si usa solo in questo caso) della Romagna, grande rispetto alle città vicine, dinamico e forte, smanioso di libertà e innovazioni agricole e industriali. Fino all'adozione del Sistema metrico decimale, qui si usava la pëdga (4,8 metri), multiplo del pè (1/10), e non mancava il braz (da tela: 0,74 m, da panno: 0,62 m). Inoltre, esistevano la tarnadura (2.383 metri quadrati), la livra (0,3 kg), l'ônza (0,024 kg), il sac (144 l), lo stër (72,16 l) e altre misure che, tra l'altro, variavano da città a città. 

L'Ottocento, il tempo di Villa Saffi, è anche il secolo in cui nascono le raccolte civiche come la Pinacoteca e i Musei. E proprio qui tocca, venenum in cauda, constatare che diversi Musei cittadini restano ancora chiusi ai cittadini. Tra questi, emblematico è il caso del Museo del Risorgimento, in massima parte da anni imballato in deposito. Alla città che tanto nell'Ottocento era viva e vivace ciò pare incomprensibile (si tratta di generose donazioni di privati cui oggi è privata la fruizione). A giudicare dai fatti, sembra che la nebbia del disinteresse abbia avvolto la questione e ciò non può che amareggiare chi ama questa città. Quando avverrà il risorgimento di questo e degli altri musei civici (archeologico, etnografico...) da troppo tempo sotto chiave? 

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