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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì con D'Annunzio a Fiume

Il 12 settembre 1919 l'impresa del Vate porta la bandiera italiana a Fiume. In che modo contribuirono gli arditi forlivesi? Cosa si diceva in città?

Cent'anni fa, l'impresa fiumana. La città adriatica, contesa tra il Regno d'Italia e il Regno di Jugoslavia alla fine della Grande guerra, fu occupata dopo una spedizione organizzata dal poeta Gabriele d'Annunzio. Il Vate e i suoi legionari raggiunsero Fiume il 12 settembre 1919 proclamandone l'annessione al Regno d'Italia. L'occupazione durò sedici mesi e terminò dopo l'intervento con la forza del governo Giolitti nel Natale del 1920. Come fu vissuta questa vicenda da Forlì e dai forlivesi?

La Grande Guerra era finita e l'entusiasmo per la vittoria, a poco a poco, faceva i conti con la realtà: in particolare la carneficina di giovani non poteva che essere - almeno idealmente - soddisfatta con un risarcimento in territori. Il tessuto sociale ne era uscito a pezzi e l'aumento dei prezzi (quella che ormai in gergo cronico si chiama "crisi") mise in ginocchio anche moralmente padri e figli. Dopo tanti sacrifici, va bene Trento, va bene Trieste, ma almeno anche Fiume e la Dalmazia! La dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico aveva dato, tra l'altro, modo di nascere al Regno di Jugoslavia che desiderava un porto abbastanza rilevante: Fiume, per esempio. Iniziò così la trattativa tra le potenze vincitrici e l'Italia si rese conto ben presto di doversi lamentare di una vittoria mutilata. Nel marzo del 1919, la "Società Nazionale Dante Alighieri - Comitato di Forlì" espone, con un manifesto, l'auspicio dell'annessione di Fiume e la Dalmazia all'Italia proprio mentre si stavano svolgendo i lavori della Conferenza di pace di Parigi. Quando si capì che questo non sarebbe accaduto, si ebbero reazioni particolarmente irritate nella Romagna ancora legata ai moti risorgimentali. La questione fiumana agitava le associazioni combattentistiche forlivesi fin dall'aprile del 1919, definendo inqualificabile offesa fatta dagli alleati al nostro Paese la mancata annessione di Fiume e della Dalmazia. Italia che, sempre secondo il manifesto forlivese del 26 luglio 1919 tutto offrì, tutto sacrificò, salvando prima la libertà d'Europa pericolante, determinando poi con la disfatta dell'Austria a Vittorio Veneto la Vittoria comune. La protesta vale come un abbraccio dato dalla città romagnola ai nostri fratelli di Fiume, ai fratelli sparsi lungo le coste Dalmate con la promessa giurata di appoggio incondizionato per il loro completo riscatto. In particolare i repubblicani appoggiavano queste istanze, molto cara era la figura dell'irredentista Nazario Sauro, impiccato a Pola il 10 agosto 1916 dagli austriaci, come testimonia l'uso dei nomi Nazario o Sauro in voga specialmente da queste parti per diverso tempo. 

L'iniziativa di D'Annunzio, con la "Santa Entrata" in Fiume, viene però vissuta a Forlì in modo contrastato. Nelle case e nei circoli non si parlava d'altro e i settimanali politici locali testimoniano riflessioni assai interessanti, lasciando trasparire una città vivace intellettualmente e capace di leggere la realtà in modo critico, spesso - è vero - ideologico, ma con contributi degni di rilevanza non solo locale. I repubblicani, in buona sostanza, esprimono entusiasmo ma, come si legge su "Il Pensiero Romagnolo" del 20 settembre 1919, trapelano critiche ai legionari colpevoli di essere troppo ligi e devoti al Re. Insomma, il Segretario Armando Casalini giubila per i risvolti rivoluzionari con cui D'Annunzio aveva impostato l'operazione e che avrebbero potuto volentieri "contagiare" il Regno sabaudo. Altri, come detto, rimanevano perplessi per l'enfasi nazionalista e militarista dei seguaci del Vate. Grande gioia, invece, dalle parti dell'Associazione dei mutilati e degli invalidi di Forlì che, nello stesso giorno, manifestava profonda commozione. Il Governo, allora presieduto da Francesco Saverio Nitti, condanna l'operazione. La medesima associazione criticava apertamente il Presidente del Consiglio con un volantino diramato in quel fatidico 12 settembre 1919: Le parole con le quali il Capo del Governo ha condannato la spedizione di Fiume, gli applausi coi quali la Camera dei Deputati ha approvato la condanna non rispecchiano il sentimento di coloro che hanno fatto la guerra, di coloro che hanno più sacrificato a la Patria in quanto Fiume è italiana, ed è sacra all'Italia. Sul fronte opposto, i socialisti che nel settimanale forlivese "La Lotta di Classe" del 28 settembre 1919 rispondono: Fiume ha il diritto di unirsi all'Italia se all'Italia vuole unirsi, come avrebbe il diritto di unirsi a la Jugoslavia, se lo volesse. Piovevano poi, da quelle parti, critiche ai borghesi per i quali si riconosce e si esalta il "diritto" di Fiume in quanto il porto di Fiume promette delle buone rendite per gli scrigni dei nostri patrioti

I cattolici, dal canto loro, si sbilanciano: Fiume ci è ancora negata. E chi ce la nega è Wilson, l'idealista, il banditore dei principi di autodecisione, di giustizia, di libertà. Le grette idee a base di mercantilismo ed egoismi nazionali che hanno trionfato alla conferenza della pace e ora, il Presidente americano e i suoi, ci regalano questa nuova palese ingiustizia, tutta ai nostri danni. Così si legge su "Il Momento" del 4 ottobre 1919. Sullo stesso periodico, poco più avanti, è scritto: S'è posto Fiume in capo ad ogni questione, per opera specialmente dei nazionalisti e dei fascisti. Non si vede che Fiume, mentre Fiume non è che un lato solo della triste situazione nostra. Al di sopra di Fiume sta l'Italia, sanguinante ed esausta dal lungo immane sforzo. Per poi concludere con: La Nazione non vuole oggi pronunciamenti militari, prodromi di guerra civile, ma salda disciplina e concordia. Analogamente, i repubblicani, che in principio avevano basato le loro speranze sul presidente americano Woodrow Wilson, chiamandolo quale personificazione dello spirito magno di Mazzini, con la primavera lo definiranno ipocrita e imperialista, alla stregua di Francia e Inghilterra. Il 10 novembre 1919, si rende conto che, durante un corteo a Milano, echeggiano alalà poderosi in onore di Mazzini, D'Annunzio, Mussolini e Fiume Italiana. In testa al corteo, oltre a Mussolini, c'erano i suoi romagnoli. Chi erano? I forlivesi Mario Santarelli, Tonino Spazzoli, Antenore Colonelli, Aurelio Lolli, Mario Miserocchi, Bruno Giacometti, Aurelio Papi, Aurelio Babini. In più, un solo ravennate: Eugenio Pasini. Sempre tra le fila dei repubblicani, il 27 novembre 1920, Svemego (Amedeo Sommovigo), dopo avere elogiato la costituzione Fiumana che rappresenta quanto di più ardito vi sia ai nostri giorni scrive: Fiume indipendente salverà la Italianità che l'Italia ufficiale non ha mai inteso ed ha sempre offesa e vilipesa e ancora Fiume annessa al regno d'Italia diventerebbe schiava dalla farraginosa macchina burocratica ed al contatto con la realtà forse la fede bellissima nella Italianità intesa come religione verrebbe offuscata. E più avanti, Svemego assicura che Fiume deve essere considerato come il primo nucleo della più grande Repubblica Italiana

Nel frattempo, si costituisce a Forlì l'Associazione Pro Sorelle Fiumane e Dalmate che, quando, nei giorni di Natale del 1920, si pose termine con la forza all'impresa dannunziana, dimostrò vicinanza verso i bimbi e le donne di Fiume, città che da allora divenne Stato Libero. Altri fatti, nell'estate del 1921, coinvolsero il Carnaro (l'occupazione di Porto Sauro) ove si distinsero gli arditi forlivesi Fuzzi, Melandri, Spazzoli, Silvestroni, Zanotti, Bertaccini, di estrazione prevalentemente repubblicana. Nel 1924, Fiume sarebbe stata annessa all'Italia e sarebbe appartenuta alla Nazione fino al 1947. Nell'immagine, un gruppo di predappiesi a Fiume nel 1933. 

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