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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Forlì entra in guerra

10 giugno 1940: il "vinceremo" risuona in piazza Saffi. Cosa accadde quel giorno? E cos'altro riempiva le piazze?

Per mesi la città è stata deserta, un po' come in piena estate. Lungi dagli stereotipi della Romagna, Forlì è una città riservata. Con un salto di ottant'anni indietro ritroviamo due occasioni in cui la piazza si è riempita: un caso per l'inizio di una tragedia, l'altro per un evento culturale irripetibile. Andando per ordine, bisognerebbe chiedere a chi c'era il 10 giugno 1940 cosa ricorda: se a Roma, dal celebre balcone, fu gridato l'ingresso nel secondo conflitto mondiale, a Forlì, in quell'istante, cosa accadde? 

Alle 18, da Palazzo Venezia, Mussolini annunciava la dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra. Il discorso venne amplificato dagli apparecchi della Radio Marelli nelle principali città italiane: Genova, Torino, Milano, Venezia, Trieste, Bologna, Forlì, Bari, Firenze, Napoli. Con quest'ordine si vedono le immagini del filmato "Luce" dello storico discorso. Quando appare Forlì si nota piazza Saffi effettivamente piena. Per quel giorno fatale, però, abbiamo due voci discordanti. Il "Corriere Padano" riporta che piazza Saffi si "trasformava in un denso concentramento di animi sospesi per l'annunciato discorso del Duce". Infatti, "era la diana di guerra che stava per suonare: tutto il popolo convenuto dalle officine, dai rioni, dalla periferia, lo sapeva, ne era certo". Per questo motivo "in pochi minuti da tutti gli edifici prospicienti venivano esposte le bandiere" e "nell'atmosfera dominavano i rintocchi dei bronzi della civica torre" i quali "sgorgavano simultaneamente assieme ai canti e al suono degli inni dalle tre gole elettromagnetiche piazzate al balcone municipale". Alla presenza delle autorità civili e militari "la folla applaude calorosamente allorché il Duce annunzia lo stato di guerra". Dopo "la radiotrasmissione, la folla si allontana dalla piazza commentando con pieno fervore il discorso del Duce". Sempre in edicola, l'edizione straordinaria del "Popolo di Romagna" strillava: "Vinceremo". Antonio Mambelli, nel suo "Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945" ricorda che l'appuntamento per le 17 in piazza Saffi era stato preannunciato da "volantini lanciati giorni fa da un aereo" e "si faceva un gran parlare" di quest'adunata. L'appuntamento avvenne "al suono delle campane, all'urlo delle sirene" con una "teatralità medievale" che ingenerò "in tutti i volti manifestata ansia comprensibile" e chiunque presagiva la "decisione ben grave". "Il Capo del Governo con la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e alla Francia moribonda ha dato l'impressione di un salto nel buio, sollevando nei cuori una profonda amarezza". Inoltre: "Le sue parole sono state accolte dai pochi ragazzi allineati sotto le finestre della Prefettura, senza di ciò il silenzio sarebbe stato glaciale". Mambelli racconta che molti forlivesi cercavano copie de "L'Osservatore Romano" per "la sua qualità di organo non controllato dal Governo", in cerca di "notizie extra ufficiali" mentre "agenti e spioni" tentavano di scovare "coloro che lo leggono, tanto da consigliare i rivenditori di tenerlo sotto il banco nelle edicole e a venderlo solo a fidati". Le due voci sono piuttosto discordanti: da un lato la stampa di regime, dall'altro forse perché l'estensore del Diario scrisse a mano "in diretta" e in seguito, dopo la guerra, ordinò e dattiloscrisse i suoi appunti, con un clima politico ben diverso e quando il lungo conflitto aveva esaurito tutta la sua scelleratezza. Per capire meglio, però, bisognerebbe chiederlo agli ormai rari testimoni che erano quel giorno in piazza. Sfogliando "Il Commercio Forlivese" del giugno di ottant'anni fa si scopre che i commercianti forlivesi sembravano aderire in pieno alle istanze della guerra, infatti "oggi sono fra i propagandisti della nostra fede, perchè sono a contatto quotidianamente col pubblico minuto". L'ordine pubblico risulterà rispettato con disciplina, salvo qualche manifesto contrario che risaltava nei quartieri periferici. 

Di tutt'altro genere è un'altra adunata clamorosa. Due anni prima, nel giugno del 1938, Forlì è nel pieno delle manifestazioni dei cinquecento anni di Melozzo, con ospiti illustri come il Re Imperatore Vittorio Emanuele III. L'11 giugno era in cartellone del Teatro Comunale la "Messa da Requiem" di Verdi. Vi prese parte il complesso orchestrale e corale del Teatro alla Scala di Milano (cioè 250 elementi diretti da Giuseppe del Campo e Vittore Veneziani), e tre voci soliste del calibro di Maria Caniglia (soprano), Ebe Stignani (mezzosoprano), Tancredi Pasero (basso). Come tenore: Aurelio Marcato. Ben presto ci si rese conto che il Teatro Comunale sarebbe stato troppo piccolo per contenere cotanta manifestazione artistica, quindi si decise di trasferirla in piazza del Duomo, con palco sul lato del Palazzo Paulucci Piazza (cioè la Prefettura). Tutti occupati i 3040 posti a sedere e si stima che, compresi quelli in piedi, fossero ben 5000 e più le persone presenti, Lo spettacolo fu indimenticabile e musicalmente impeccabile. Dopo appena due anni, la tragedia dell'entrata in guerra. Guerra che avrebbe segnato, oltre a vari drammi, anche la fine dell'antico Teatro Comunale e della partecipazione competente e appassionata dei forlivesi a simili eventi nella propria città. 

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