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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Il 4 luglio alla forlivese

Nel 1359, la caduta di Francesco II Ordelaffi e la fine del suo dominio: un "giorno dell'indipendenza" al contrario.

Il 4 luglio è una di quelle date che i forlivesi dovrebbero ricordare. Non certo per eventi americani, perché sarebbero molto di là da venire. Infatti, in quel giorno del 1359, capitolò Francesco II "Il Grande" Ordelaffi, personaggio tanto controverso quanto interessante, e fin troppo dimenticato, sconfitto dal cardinale Albornoz. A questo punto occorrono spiegazioni: gli Ordelaffi, a quel tempo, potevano rivestire il ruolo di "signori in enfiteusi" di alcuni territori di cui il Papa rivendicava la proprietà. Per farla breve: da sempre la Romagna faceva parte del Patrimonio di San Pietro, ma sul campo, di fatto, ogni città propriamente detta era retta da un "capitano del popolo" o da un vero e proprio "Signore"  riconosciuto come tale dal Santo Padre che, dal canto suo, inviava un suo vicario o legato per avere la situazione veramente sotto controllo. A Forlì, con l'arrivo del Trecento, si affermano in via quasi definitiva gli Ordelaffi che governeranno "col permesso" del Papa Forlì e dintorni. Ogni Papa ha un carattere e ogni Signore ha un carisma, quindi le cose talora non filavano lisce. I Papi avignonesi non celavano certo mire politiche sui territori di loro competenza, specialmente se il governante la città si rivelava particolarmente riottoso. Di sicuro questo è il caso di Francesco II Ordelaffi, figlio di Sinibaldo e Onestina Calboli, pertinace ghibellino e caro alla popolazione. Una combinazione che, dal punto di vista di Avignone, risultava insopportabile. Forlì si trovò ad essere l'unica e ultima roccaforte della resistenza antipapale in Romagna già negli anni Trenta del Trecento, quando vi fu inviato il legato francese Bertrando del Poggetto che, con un assedio, costrinse Francesco II, nel marzo del 1332 sullo scranno da meno di un anno, a consegnare le chiavi di Forlì all'emissario pontificio, in cambio si tenne Forlimpopoli. Sarebbe potuta dunque finire prima di iniziare la carriera di Francesco II se non fosse intervenuto un imprevisto che mosse le ruote dei complessi ingranaggi della storia di quel tempo, fatta di alleanze tra Este, Gonzaga, Visconti, Firenze, Boemia, così nel settembre 1333 l'Ordelaffi rientrò a Forlì. Il clamore suscitato rimbombò nei cuori dei forlivesi che con una rivolta popolare cacciarono il vicario papale. 

La corte di Avignone se la legò al dito, come prevedibile, cercando modi per togliere di mezzo l'ingombrante e spavaldo Signore. La corte di Forlì seppe essere degna di una capitale che, per mancanza di continuità e di buone occasioni, non sarebbe mai decollata. Tuttavia le premesse per tradurre l'esperienza Ordelaffi in un duraturo Stato autonomo (fino almeno al 1859) c'erano tutte o quasi. La Signoria di Francesco II comprendeva Forlì, appunto, e Forlimpopoli, Bertinoro, Cesena e castelli dell'entroterra. La sua politica chiuse per sempre l'età dei Comuni da queste parti, infrangendo le consuetudini che i primi Ordelaffi avevano perpetuato. La cosa che colpisce, uscendo da tifoserie tra guelfi e ghibellini, è che le fonti coincidono sul testimoniare l'appoggio e il successo che godeva presso i forlivesi. Non era il brutale tirannello di provincia, o per lo meno a Forlì piaceva tanto poiché si occupava anche di una sorta di previdenza sociale, con atti di carità e di concreto aiuto alla popolazione preoccupandosi perfino di maritare orfane e di sovvenire alla povera gente. In cambio, i forlivesi gli tributavano fede e amore. Esagerazione? Forse. Però sembra trasparire che Francesco II fosse una figura del tutto nuova nel panorama storico del tempo, un precursore: si comportava, insomma, come un vero e proprio sovrano, una specie di monarca illuminato, cercando di creare, attraverso matrimoni e discendenza, una solida dinastia regale. Forlì sfiorò con lui i 10 mila abitanti, con un'estensione urbana che in Romagna non aveva pari: la città più vicina con cui poteva rivaleggiare era Bologna. Nel frattempo proseguiva la sua politica espansionistica rendendo ancor più Francesco II un continuo fastidio per il Papa le cui forze non erano in grado di contrastarlo. Intanto, già dal 1335 era scomunicato. 

Una svolta si ebbe nel 1347 quando le truppe pontificie entrarono in Faenza, riportandola sotto il diretto controllo della Chiesa con buona pace dei Signori Manfredi. Ma anche i faentini, nonostante l'indole guelfa, dopo un paio d'anni cacciarono il rettore del Pontefice. Si stabilì dunque una solida alleanza tra Forlì e Faenza e Francesco II fece sue Castrocaro e Meldola, Cusercoli, Dovadola, Oriolo, Predappio, Bertinoro e altri castelli già papali. Il rettore del Pontefice non poté far altro che tornare ad Avignone con le pive nel sacco. Il successo iniziò a declinare con l'iniziativa di Papa Innocenzo VI che inviò il cardinal legato Egidio Albornoz per ricordare che la Romagna era pontificia con le buone o le cattive. L'Albornoz seppe riportare la Romagna e le Marche all'ordine ma Forlì e Faenza non ne volevano sapere. Contro Francesco II fu bandita una crociata (nel 1356, riproposta l'anno dopo e nel 1359) con adesioni da tutta Europa. Fu calunniato e dipinto come un mostro, come un anticristo; resisteva da solo, con l'appoggio dei forlivesi. Questa volta aveva a che fare con un osso duro: cadde Faenza per mano dell'Albornoz, il 21 giugno 1359 cadde Cesena anche a causa di un tumulto prezzolato, era stata eroicamente difesa da Marzia "Cia" degli Ubaldini, moglie di Francesco II, ma ci fu ben poco da fare. Colpo di scena! Scoppiò un battibecco tra l'Albornoz e Innocenzo VI e il cardinale rientrò ad Avignone. Il supplente non si rivelò all'altezza e Francesco II riuscì a recuperare. Però durò poco: visto che buttava male, fu rimandato l'Albornoz in Romagna e mise le cose a posto, tanto che il 4 luglio 1359 entrò a Forlì e Francesco II dovette accettare la resa. Fu assolto dalla scomunica, non ci furono ritorsioni personali ma perse tutti i suoi territori. Insomma, sarà un "giorno dell'indipendenza" al contrario. Gli Ordelaffi torneranno tuttavia presto a fare il buono e il cattivo tempo a Forlì.

Al di là della sagacia politica, della spregiudicatezza e delle virtù da princeps, emergono dalle fonti pure aspetti inquietanti, come il suo pervicace anticlericalismo esplicitato da atti di crudeltà nei confronti di prelati tanto da essere considerato eresiarca. O si raccontano episodi a metà tra la magia e la follia: avrebbe bruciato in piazza dei fantocci imbottiti di fieno con le fattezze di Papa e cardinali. Si narra che tagliò le mani a un nemico, che aveva inventato una specie di gas asfissiante, un qualcosa di velenoso che avrebbe ucciso solo fiutandolo. Congedato dalla Signoria di Forlì si dedicherà al mestiere delle armi per poi morire a Chioggia nel 1374, si presume che avesse poco più di cinquant'anni. La salma più tardi troverà riposo nella chiesa di San Francesco Grande. Distrutto il tempio, Forlì non ha nemmeno le ceneri del suo terribile e amato Signore, nemmeno il ricordo

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