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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

IL FORO DI LIVIO – Ci vediamo al porto di Forlì

Forlì aveva un porto? Nel Settecento era prevista la costruzione di una darsena. Il progetto, però, non andò "in porto"... Eppure secoli prima pare che i pellegrini, da Ravenna, raggiungessero Forlì via acqua e approdassero proprio in un punto impensabile del centro storico.

In attesa che l'aeroporto “decolli”, c'è tempo per ricordare una storia che avrebbe potuto rappresentare una svolta per le infrastrutture forlivesi. Nell'esiguo spazio tra Forlì e Ravenna il collegamento su gomma è all'antica, non si deve dimenticare la scelta (che si potrebbe rimettere in campo) di unire i due capoluoghi con un tram, una sorta di lenta metropolitana di superficie che, sino al 1930, arrivava fino a Meldola. Scartata la via ferrata, rimasti al palo progetti più veloci su gomma (c'era perfino un'ipotesi autostradale Forlì-mare targata Ventennio), la città mantiene con la costa collegamenti sicuramente migliorabili. 
Eppure, fu tentata a più riprese (e probabilmente anche usata), la via dell'acqua. Ci furono guerre per contendersi Cervia e il suo sale, ma poi la città mercuriale non riuscirà ad avere un suo sbocco sul mare. Come, più o meno, l'immagine mostra, le nostre campagne potevano essere tagliate da un grosso canale navigabile che arrivava proprio a ridosso del centro storico. 

Forlì aveva un porto? 
Vediamo alcune ipotesi: i corsi d'acqua di Forlì sono principalmente tre: Montone, Rabbi e Bidente-Ronco. Tralasciando quest'ultimo, che limita zone periferiche, i primi due si uniscono sotto l'ospedale e proseguono mantenendo il nome del primo. Con una cartina geografica si vedrà che il fiume sembra puntare verso il centro, quindi “accarezza” viale Salinatore per dividere i Romiti da Schiavonia. Nel frattempo, una rete di canali da via Firenze e da viale dell'Appennino costeggia i fiumi. Questa è una spiegazione molto semplificata, ma vale giusto da introduzione.
Alluvioni, portata incostante, hanno reso complessa l'interpretazione storica dei corsi d'acqua del forlivese, tuttavia occorre immaginarsi una Livia antica tra paludi, isole, e anse ormai inesistenti.

Il Rabbi era chiamato Acquaviva perché tanto ricco e pulito da rendere Forlì tappa obbligatoria dei pellegrini verso Roma. Secondo le antiche cronache, il fiume attraversava Schiavonia e passava sotto il ponte dei Morattini, un tempo davanti alla chiesa della Trinità. Il ponte a schiena d'asino fu atterrato nel 1851: si sollevava di sedici metri e ciò fa intendere quanto importante fosse il corso d'acqua ora invisibile. Allora era detto ponte dei Bogheri (termine che intende, come “boa”, qualcosa che ha a che fare col gergo marinaresco), e ciò potrebbe essere una prova che il fiume urbano fosse navigabile. Che lì sotto ci fosse un punto di attracco per i pellegrini che così raggiungevano Forlì da Ravenna? In questa città irriconoscibile, quindi, ci sarebbe un fiume navigabile che passa proprio dentro il centro, lambendo l'antico Forum di romana memoria. 
Perché qui si cammina tra supposizioni e non ci sono documenti? Una delle ipotesi (già questa, di per sé, suggestiva) è data dal fatto che questo scalo sarebbe stato controllato dai Templari. Sciolto l'Ordine, sparì anche la carta. Non si sa dunque se effettivamente in piazza Melozzo ci sia mai stato un porto, ma non sembra un'asserzione tanto campata per aria.

Un fiume entrava in città anche da porta Ravaldino (più o meno sul tracciato dell'ormai invisibile canale) e bagnava il Campo dell'Abate (piazza Saffi). Sopra di esso oggi c'è il loggiato del Municipio. La pendenza di piazza XC Pacifici testimonia l'antico argine. Si conoscono due ponti importanti: quello sotto il “Rialto piazza”, cioè l'inizio di corso Garibaldi (Rialto, appunto, ha un che di veneziano), detto “del Pane” un passaggio di circa venticinque metri a tre arcate, con sopra le botteghe dei fornai. E, nel principio di via delle Torri, si alzava il ponte “dei Cavalieri”, composto da due arcate di oltre otto metri di luce ciascuna.
Quindi il corso si fa confuso, complesso, e ciò che rimane toccava comunque le perdute chiese di San Pietro in Scottis (dei pellegrini scozzesi), ospizi e lazzaretti, inoltrandosi verso corso Mazzini per poi sterzare verso la torre Numai e piazza delle Erbe. Esce dalla città alla Grata, più o meno in viale Italia e poi prosegue con altre tortuosità verso Coccolia, dove si butta nel Ronco. 
I fiumi (o il fiume) urbani furono deviati e canalizzati già in tempi antichi, pertanto la storia è confusa. Nel Novecento, purtroppo, pressoché ogni traccia di acqua corrente fu nascosta sotto l'asfalto e Forlì perse magari qualche ratto, ma molti scorci pittoreschi.

Un estremo tentativo di dare a Forlì un porto risale al 1764. Allora si predispose un piano per dotare la città di un canale naviglio che avrebbe avuto la darsena alla Grata (tra San Biagio e viale Italia) per poi proseguire allargando e approfondendo il canale di Ravaldino verso Coccolia, lì sarebbe confluito nel Ronco per sfociare nel mare. Ma ben presto, come altre volte nella storia di Forlì, arrivò la frase implacabile: “Mancano i soldi”. 

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