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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Sulle tracce della comunità ebraica forlivese

Una traversa di corso Diaz è dedicata a Sara Levi Nathan; almeno fino alla fine dell'Ottocento aveva nome via dei Giudei. Questa indicazione è, forse, la più evidente traccia di una memoria scomparsa: Forlì, infatti, fu sede per secoli di una fiorente comunità ebraica

A circa metà di corso Diaz, spicca una traversa dedicata a Sara Levi Nathan. La strada prende il nome da una nobildonna pesarese che durante il Risorgimento diede asilo a Giuseppe Mazzini e ai suoi affiliati; almeno fino alla fine dell'Ottocento aveva nome via dei Giudei. Questa indicazione è, forse, la più evidente traccia di una memoria scomparsa: Forlì, infatti, fu sede per secoli di una fiorente comunità ebraica. Difficile risalirne alle origini, di certo e attestato è comunque la sua presenza fin dal XIII secolo. 

Con la bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum del 1555, si istituirono i ghetti come già era avvenuto al di fuori dallo Stato Pontificio, a Venezia, per esempio. Forlì, sotto il controllo papale in modo definitivo dal 1504, si adeguò e, secondo un documento presente nei Consigli generali e segreti del Comune, fu deciso di assegnare agli ebrei residenti in città la via Calcavinazza che da allora si sarebbe chiamata dei Giudei e le strade circostanti, nell'allora Borgo Merlonio. In quest'area si ergeva anche la sinagoga.
Ma la fase del “ghetto” è solo l'ultima di una lunga storia che vide anche la presenza di un'università ebraica a Forlì, attiva fino alla metà del Cinquecento. 

Già dal Duecento, infatti, è attestata la presenza degli ebrei a Forlì, come è documentata la presenza di Lelio di Samuele da Verona, medico, filosofo ed esperto di Talmud: qui nel 1280 scrisse l'opera “Ricompense spirituali” e praticò l'arte di medico. 
Se si fa risalire una scuola ebraica forlivese al Duecento, la più antica immagine italiana dell'araldica ebraica (1383) proviene da Forlì e si trova in un manoscritto appartenuto a Daniele di Samuele. Nel 1359, inoltre, si segnala uno statuto civico forlivese che testimonia la stabilità della presenza dei banchi ebrei in città. 

La città ghibellina, nel Medioevo, concedeva agli ebrei di possedere terreni e fabbricati, consentendo a Forlì di diventare un importante centro di affari. Si segnala, infatti, un importante congresso dei delegati delle comunità ebraiche di Padova, di Ferrara, di Bologna, delle città della Romagna e della Toscana, nonché di Roma, che fu convocato proprio a Forlì il 18 maggio 1418. In esso si presero decisioni sul comportamento etico e sociale che gli ebrei avrebbero dovuto tenere e si inviò una delegazione a Papa Martino V per la conferma degli antichi privilegi e la concessione di nuovi. 
Un passaggio delicato per la comunità ebraica forlivese si ha nel 1488: alcuni congiuranti contro la signoria Riario-Sforza, da poco insediatasi in città in luogo degli Ordelaffi, assalirono due banchi ebrei.
La convivenza con la minoranza ebraica, per altro, si era sempre mantenuta per lo più pacifica anche grazie, appunto, al forte appoggio che gli Ordelaffi concedevano agli ebrei importanti privilegi e possibilità di proficue imprese bancarie. 
Con l'arrivo di Cesare Borgia, Forlì cambiò ancora una volta governo e ancora una volta si registrò un saccheggio di un banco, questa volta di Manuele di Borgo Ravaldino. 

Alla caduta in disgrazia dei Borgia, e dopo un effimero ritorno degli Ordelaffi, Forlì fu condotta direttamente alle dipendenze della Santa Sede (1504). Nel 1520 è citato l'ebreo forlivese Ventura Giacomo di Fano detto Rizio, nell'occasione in cui presenta, al Consiglio cittadino, la concessione di poter esercitare l'attività di prestatore. Il cardinal Legato ordinò ai consiglieri di rispettare i nuovi banchieri perché, con la loro attività, avrebbero dato aiuto ai cittadini più poveri. 
Il 10 maggio 1529 si cita un atto di cessione del banco per il prestito di Vitale da Pisa ad Abramo e Gentilomo. Il documento testimonia il rapporto di collaborazione tra banchieri ebrei ed autorità cittadine forlivesi e comprende tutti i capitoli che le parti dovevano rispettare. In buona sostanza, si evince che tra ebrei e governanti forlivesi scorreva buon sangue. Tale ipotesi è corroborata da un atto del Consiglio cittadino del 25 giugno 1533 in cui si riporta che, su argomenti di ordine economico, sarebbe stato opportuno sentire il parere dei banchieri ebrei.
La comunità ebraica forlivese continuò a godere di una certa rilevanza nella vita sociale cittadina: aprivano banchi (con tassi d'interesse anche vicini al 20%) ed empori che fornivano possibilità di lavoro per tutta la cittadinanza. 
Sul finire del secolo, molti si convertirono al cristianesimo e dal 1593 iniziò l'espulsione della comunità dalla città: la maggior parte degli ebrei forlivesi si trasferì all'estero (a Lugo), allora dominata dagli Estensi. 

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