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Martedì, 23 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il mistero del signore bambino

La Rocca di Ravaldino, da qualche parte, nasconde i resti di un giovane Ordelaffi: Sinibaldo II. Qui morì e non si sa dove fu sepolto.

Uno dei motivi per cui la Rocca di Ravaldino merita immediati interventi di recupero è che racchiude tante storie. Per esempio: è plausibile che tra quei mattoni antichi poco meno di seicento anni si nascondano i resti di un signore bambino. Sinibaldo II Ordelaffi fu formalmente signore di Forlì dalla morte del padre avvenuta il 10 febbraio 1480 alla di lui scomparsa, attestata al 18 luglio dello stesso anno: aveva dodici anni. Figlio di Pino III Ordelaffi, era nato durante il matrimonio con la seconda moglie Zaffira Manfredi. Ma la madre si chiamava Bernardina Ercolani, pertanto il bambino era considerato un bastardo. Il cruccio del signore Pino, infatti, era quello di non avere discendenza, cosa che avrebbe significato due rischi. Il principale: la perdita della signoria, dirottata dalla Santa Sede ad altri. Oppure l'ascesa del ramo di suo fratello Cecco i cui figli Antonio e Ludovico sarebbero, in effetti, stati gli ultimi governanti di tale famiglia per pochi mesi tra il 1503 e 1504. Il padre ben presto sistemò le carte per regolarizzare la nascita fuori dal matrimonio onde proiettare il suo potere verso un'altra generazione; nemmeno la seconda moglie Zaffira non gli avrebbe dato figli. Come previsto, il piccolo Sinibaldo, riconosciuto signore subito dopo la morte del padre con una pubblica esibizione in piazza, governò sotto tutela della vedova del padre Lucrezia Pico della Mirandola, la terza moglie. Per testamento, Pino III lasciò lei e il figlio eredi universali di beni e diritti però Sinibaldo non avrebbe goduto della capacità di agire fino al compimento dei venticinque anni. La donna, com'era già successo, fece venire pressò di sé il di lei fratello Antonio per assisterla con il suo aiuto. Non fu una gran mossa: i forlivesi non gradirono l'ingerenza dello straniero. Il precario governo del giovane Sinibaldo fu peraltro contestato dai cugini, in modo particolare da Cecco Ordelaffi, preferito dalla maggioranza della popolazione. La città si divise in due ma, come il proverbio vuole, alla fine della storia non godette né l'una né l'altra parte della medesima famiglia. Chi era, dunque, lo sfortunato piccolo principe?

Educato come si deve, aveva meritato nei tempi migliori un illustre precettore: Urceo Codro, umanista emiliano che, per la sua permanenza ventennale a Forlì, è facile considerarlo forlivese. Per l'epifania dell'anno 1472, quando aveva quattro anni, ricevette dalla corte milanese un pacco contenente un paio di calze e il padre ricambiò la gradita cortesia con ceste di frutta nostrana per i signori meneghini: ignorava che il mittente del regalo, la famiglia Sforza, avrebbe poi "fatto le scarpe" - indirettamente - al povero Sinibaldo attraverso il ventennio di governo della nota Caterina. A sei anni, intanto, aveva una specie di scorta impersonata dal fidatissimo Aghinolfo da Romena, pagato per vigilare sul ragazzo. Ha svolto il servizio di suo precettore anche Giacomo Suardo da Bergamo. Il padre, una complessa e interessante figura pre-rinascimentale, ebbe modo di dimostrare forte affetto per il figlio e di sciogliersi in tenerezze che raramente un uomo di potere di quell'epoca rendeva pubbliche. La tragica vicenda umana di questo ragazzo forlivese lo vede gli ultimi mesi con la matrigna Lucrezia nella Rocca di Ravaldino; si fiutava aria diversa e il declino degli Ordelaffi era già scritto. Sinibaldo non appariva più come il promettente erede al trono verde-oro (colori della potente famiglia ghibellina) ma poco più che un fardello. Lucrezia cercò di conservare la reggenza e, per tutelarsi al meglio, lasciò il palazzo per chiudersi nella Rocca di Ravaldino. A maggio, un tentativo di difesa del potere del giovane signore venne dal Duca di Urbino ma gli anziani rifiutarono l'intervento dopo una votazione negativa. Come se non bastasse, i suoi cugini tornarono dall'esilio cui erano confinati per assediare la Rocca di Ravaldino allo scopo di recuperare la signoria. A luglio, Papa Sisto IV fermò l'assedio assicurando un vitalizio agli altri Ordelaffi, non certo per favorire il giovane Sinibaldo, ma per consegnare le chiavi di Forlì al nipote Riario. In quegli stessi giorni concitati, la maggioranza dei forlivesi volta le spalle ufficialmente a Lucrezia e Sinibaldo: l'8 luglio entrarono a Forlì i figli del fratello di suo padre, i pretendenti Francesco, Antonio e Ludovico Ordelaffi, accolti tra suoni di campane e acclamazioni popolari. Quello che accadde al ragazzo, da questo punto, resta un mistero. Si sparse la voce della sua morte e Lucrezia, ormai decaduta la sua reggenza, dovette cedere la Rocca a Sisto IV che non l'avrebbe - come detto - girata agli altri Ordelaffi, ma a un (discutibile) personaggio ligure suo parente: quel Girolamo Riario marito di Caterina Sforza. 

Sarà giusto Urceo Codro a raccontarci della morte del ragazzo che aveva seguito in quegli ultimi giorni drammatici in Ravaldino. Il maestro scrisse un componimento in distici latini per piangere la morte dell'alunno, incolpando luglio di avergli sottratto il caro principe. Non sapeva, l'adolescente, che la matrigna reggente stava proponendo a uno dei rivali, Antonio Ordelaffi, di diventare sua sposa consegnandogli preziosi dell'ex marito, doni simbolici quali la celata e altre cose di Pino III. Non si sa di cosa il ragazzo morì. Non ci sono notizie di funerali né di sepolture. Si presume, dunque, che il signore bambino non sia più uscito dalla Rocca di Ravaldino

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