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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il sorriso eroico di Fulcieri

Cent'anni fa moriva un giovane entrato nel mito cittadino. Fulcieri Paulucci di Calboli, di antichissima nobiltà forlivese, si spense pochi mesi dopo la vittoria nella Grande Guerra.

Il 28 febbraio 1919 si spegneva una figura paradigmatica per Forlì. A lui è dedicato forse il più bel viale della città, a maggior ragione reso unico perché popolarmente noto più che altro col suo nome di battesimo: Fulcieri. Forse perché ha il cognome un po' complesso? Tra le varie dizioni, sarà preferita: Paulucci di Calboli. All'uomo, dal 1924 è intitolato anche il Liceo scientifico, fondato l'anno precedente e sovvenzionato generosamente dal di lui padre, Raniero, di antichissima stirpe forlivese. La fama di Fulcieri Paulucci di Calboli rimane oggi velata di quella patina che si usa depositare sulle “cose vecchie” a causa di una generale noncuranza per le questioni legate all’identità della città e della Nazione. Eppure il Marchese Fulcieri non era né una cosa né era vecchio. La maggioranza dei suoi concittadini l’ha conosciuto negli ultimissimi anni della sua breve vita: il giovane era cresciuto, al seguito del padre, in varie località. Mosso da principi religiosi e patriottici, lontano da Forlì e appena diciottenne, avrebbe fondato un'associazione segreta chiamata "Fratelli d'Italia" il cui progetto era riportare entro i sacri confini i connazionali sottoposti a governi stranieri. Era nato a Napoli il 26 febbraio 1893 ma aveva trascorso i primi anni di vita a Torino, come di Torino era la madre, Contessa Virginia. In tenera età vivrà anche a Parigi e a Lisbona, quindi più stabilmente in Svizzera. 

Dopo la laurea in Giurisprudenza a Genova, nel 1914, si scoprirà interventista e sceglierà di partecipare alla Grande Guerra da volontario. Sarebbe dovuta essere una parentesi per completare il curriculum da diplomatico cui era avviato, come il padre. Come il padre, aveva nel sangue la tradizione risorgimentale che si traduceva nel servizio alla Patria. Una serie di incidenti lo costrinse alla carrozzella ma non demorse, continuando a incitare i commilitoni al fronte. Colpisce che le foto di quest'ultima fase della sua vita, quella - così si può dire - della testimonianza, lo ritraggano con un sorriso gentile. Non si atteggia nelle pose seriose e patrizie, come si soleva a quel tempo e per quel rango. Il suo volto dischiude un sorriso rassicurante, disteso, sereno, come di chi sussurra: "Andrà tutto bene". Apparirà, così lo chiamò per primo Antonio Beltramelli, quale il "santo dei mutilati". Eppure la sua vita sarà brevissima: ventisei anni per dire di aver combattuto la buona battaglia. Questo suo sorriso, nel bel mezzo di una tragedia mondiale di proporzioni colossali, lo ha fatto assurgere a una specie di figura mistica. Non a caso, Adolfo Wildt ne ritrarrà il busto marmoreo (ora a Palazzo Romagnoli, come in immagine) con una sorta di aureola che s'irradia dalla nuca. Le labbra si curvano in un sorriso non già arcaico e convenzionale, ma molto contemporaneo. Nonostante la sofferenza del corpo, lo spirito è saldo fino all'ultima ora. Insomma, si può dire che per le leggi dell'iconografia l'eroe non sorride. Fulcieri sì. 

Aveva scelto di essere in prima linea: se lo sarebbe potuto risparmiare ma desiderò partecipare veramente anima e corpo al conflitto. Non solo: da sottotenente aggregato al reggimento cavalleggeri di Saluzzo, volle essere trasferito in fanteria (brigata Padova) perché ritenuta arma più attiva. Non si sottrasse davanti a missioni pericolose e, in una di queste, fu colpito due volte al medesimo ginocchio, tanto da risultare infermo. La prima volta, il 26 ottobre 1915, leso alla mano e a un ginocchio, si medicherà come potrà per evitare di essere allontanato dal fronte. L'anno dopo, però, non riuscirà a nascondere le sue ferite. Esempio per i commilitoni anche nella convalescenza, tornò sul campo come ufficiale osservatore di controbatteria nella 3° Armata. Il 18 gennaio 1917, in località Dosso Faiti, il fuoco nemico atterrò il suo osservatorio e Fulcieri raggiunse il reparto di linea combattendo tra i fanti fino a raggiungere, di notte, il comando. Essendo allo scoperto, fu colpito alla schiena da una scheggia che compromise irrimediabilmente la colonna vertebrale e gli arti inferiori. Quest'azione gli valse la medaglia d'oro e l'invalidità permanente. 

Il '17 è anche l'anno di Caporetto e Fulcieri, in carrozzella, s'impegnò in un'opera di propaganda capillare per esortare gli italiani alla resistenza. La sua voce calda, i suoi occhi vividi, il suo contegno aristocratico, la sua passione patriottica erano l'attesa di ogni città d'Italia dove ormai i delusi erano maggioranza. Di lui, la poetessa Ada Negri, conosciuta durante gli anni svizzeri, scrisse evidenziando la "tanta impaziente volontà di virtù, ma anche tanta preparazione al pericolo eroico, tanta sincera limpidezza e coordinazione perfetta".  Nonostante le precarie condizioni di salute, non mancava mai alla promessa. Giunto all'ospedale di Genova per questi motivi, nel marzo del 1918 contrasse un'infezione della pelle chiamata erisipela, allora difficilmente curabile. Fece a tempo ad ascoltare il bollettino della Vittoria che il 28 febbraio 1919 alle 7.25 morì nel sanatorio Solsana di Saanen, nel Canton Berna, in Svizzera. Nell'immediatezza della notizia, Filippo Guarini, nel suo Diario Forlivese, scrive: "Si espongono molte bandiere abbrunite, il Municipio e la Società Mutilati affiggono nobili manifesti, che annunziano pure che la salma del prode concittadino sarà portata qui". Ora riposa nel Cimitero monumentale della sua Forlì.

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