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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La fine dell'arco in piazza

Fino all'estate del 1824, nell'angolo del Rialto, si attraversava una porta. Perché non c'è più? Cosa è rimasto dell'antica struttura?

A Forlì, fino all'estate del 1824, il Palazzo del Comune era unito a quello del Podestà da un arco che, stando alle illustrazioni settecentesche pervenute, risultava goffo e ridondante. Un corpo estraneo che non si confaceva a nessuno dei due edifici che univa. Va bene che sull'attuale piazza Saffi sono rappresentati otto secoli di stili diversi ma siffatto bizzarro voltone ebbe vita breve. L'arco di Rialto (si vede nell'Immagine) era anche noto come Portone del Pane, come relitto dell'omonimo Ponte oggi interrato. La struttura fu ben presto giudicata indecorosa e scomoda. L’arco di Rialto si ergeva unendo la parte occidentale a quella meridionale della grande piazza. Si trattava di una costruzione settecentesca, decorata nel fastigio da un lato da un orologio e dal bassorilievo marmoreo raffigurante la Madonna col Bambino, dall’altro lato, verso la piazza, dal busto di un illustre concittadino, il cardinale Ludovico Merlini, entrambi opera dei fratelli Ottavio e Nicola Toselli, scultori bolognesi. Recava, appunto, un orologio (almeno originariamente) per ciascuna delle due facce, opera dell'ingegner Praga, lo stesso che aveva progettato i quattro della Torre Civica e aveva in mente di metterne uno in ciascuna delle Porte, cosa che per ragioni economiche poi non avvenne. Tali quadranti vennero in seguito soppressi, sempre per questione di soldi. 

La Madonna del Fuoco nella facciata verso Schiavonia, altorilievo in marmo del 1761, tra il 1824 e il 1888 era murata sul frontone del Palazzo Apostolico (ora Municipale), al secondo piano. Ora la si può vedere all'interno della Basilica di San Pellegrino, in fondo alla navata che fa da accesso al Capitolo. Il busto del cardinale Merlini ora è conservato in Pinacoteca dopo essere stato, per qualche decennio, all'interno del Palazzo Comunale accanto al busto del cardinale Agostini già collocato sull'antica Porta Cotogni. Il cardinale, della nobile famiglia forlivese dei Merlini, era nato qui nel 1690. Papa Benedetto XIV lo consacrò vescovo di Atene e l'anno successivo fu nominato nunzio apostolico a Torino, incarico che mantenne fino a tutto il 1753. Creato cardinale il 24 settembre 1759 da Papa Clemente XIII, finì la sua vita tre anni dopo a Roma ov'è sepolto nella chiesa di San Marco (dove si vedono affreschi di Melozzo da Forlì). 

Nonostante i simboli religiosi, l'arco e i suoi preziosi marmi furono risparmiati dal governo napoleonico ma con la Restaurazione la città fu sottoposta a un piano regolatore del tutto nuovo. Infatti, tra il 1824 e il 1829, la città si volle rinnovare al grido della comodità e del decoro. Tre, infatti, erano i "punti critici": l'arco di Rialto, i portici sul lato sinistro di borgo Cotogni (corso della Repubblica) e la Porta Cotogni. I progetti che poi saranno dettagliati, sono la conferma di quanto deciso dall'amministrazione napoleonica della città nel 1805, fatto che pone in singolare continuità due poteri così antitetici come quello di fonte francese e quello d'origine romana. Per quanto riguarda la Porta, risultava ormai obsoleta in quella sua foggia tardomedievale che rendeva arduo il passaggio verso la nuova piazza del Nord, poi piazzale Sanseverino (oggi della Vittoria) su cui si apriva il Giardino Consalvi (il primo abbozzo dei Giardini Pubblici) e traeva origine il "passaggio del Re di Roma", dedicato a Napoleone II che si fregiò per qualche anno il titolo di Re di Roma. Oggi quel tratto di via Emilia si chiama semplicemente viale Roma. Nel 1811 erano stati inaugurati i lavori di riallineamento della strada fino al ponte sul Ronco. Venne lastricata, fornita di marciapiedi e abbellita con alberi destinati a creare ombra nei mesi estivi, su modello dei viali alberati delle città lombarde. Con un potenziale sviluppo della città (cosa che poi si sarebbe realizzata un secolo dopo), s'intuì che bisognava ricostruire la Porta Pia (così aveva cambiato nome Porta Cotogni). Fu vagliato un progetto tradizionale, poi venne scelto il più moderno impianto a Barriera che resistette per un secolo, fino alla costruzione dei "Palazzi Gemelli". A ornamento dell'ampio ingresso furono collocate due colonne su cui campeggiavano altrettanti leoni (ora si vedono all'entrata della Fiera). Il mercato del bestiame, che fino ad allora si teneva nei pressi dell'odierno piazzale della Vittoria, fu spostato nell'area su cui sarebbe sorto l'attuale Foro Boario. Fu costruito lo Sferisterio entro il 1823 dietro petizione dei cittadini, venne risanata la corrispondente cinta muraria e fu aperta la circonvallazione interna, detta strada Sanseverino, che univa Porta Pia alla Rocca, entro le mura (oggi se ne conservano tratti, come via Porta Cotogni).

Tra il 1827 e il 1829 si procedette alla demolizione dei portici sul lato sinistro del borgo Pio (corso della Repubblica), proprio per comodità, per rendere più agevole il traffico; i proprietari del suolo seppero far fruttare questa novità quindi i forlivesi furono contenti così. Il corso divenne una strada larga, un rettilineo veloce e ampio, da grande città, da capitale. Pertanto il legame con l'identità di capoluogo e la spinta a rinnovare l'urbe, accomunava non solo i maggiorenti forlivesi ma anche i ceti meno abbienti. Pare evidente l’insolita sensibilità della cittadinanza dimostrata verso la viabilità e del decoro urbano, concentrate in due sottoscrizioni pubbliche relative all’abbattimento dell’arco di Rialto (1824), nella piazza maggiore, e al già citato azzeramento dei portici superstiti di borgo Cotogni. Infatti, l’arco di Rialto si rivelava tuttavia scomodo al passaggio delle carrozze, poco funzionale al traffico cittadino e soprattutto, anche da un punto di vista estetico, infelice al confronto del Municipio rinnovato proprio in quegli anni su iniziativa del cardinale Sanseverino. La pericolosità del passaggio fu reclamata da una petizione pubblica sottoscritta da più di cento cittadini che ne richiesero l’abbattimento, avvenuto nel 1824. I marmi furono conservati con grande cura tanto da esistere tutt'ora. Il Consiglio generale della città, infatti, il 7 agosto 1824, aveva deliberato di atterrare l'arco il quale oltre il pessimo disegno e la mala costruzione, recava disagio e pericolo ai passeggieri per l'angustia del luogo in cui venne eretto. 

L'arco, costruito nel 1754, fu edificato in luogo di una struttura precedente, un altro arco, databile al 1636, anno noto per le magnificentissime celebrazioni dedicate alla Madonna del Fuoco. Il voltone trionfale secentesco, stabile e di mattoni, recava quattro colonne d'ordine dorico verso la piazza e altrettante d'ordine toscano verso Schiavonia. Era tutto rosso, per imitare i marmi di broccato di Verona. Tendenzialmente sobrio, recava, verso la piazza, un fregio rappresentante un altare con un vaso donde divampava una fiamma e l'iscrizione E cordibus esca e D.V. (Deiparae Virginis) per dire che il Fuoco di Maria, Vergine e Madre di Dio, non verrà mai meno a Forlì, in quanto trae nutrimento dai cuori. La struttura era alta 38 piedi forlivesi (poco più di 18 metri) e recava un cornicione lavorato a taglio di martello. Difficile dire perché fu smantellato, forse per le stesse ragioni che portarono all'abbattimento del secondo. Difficile anche stabilire se il secondo non fosse un "rivestimento" del primo, in quanto pare che venne ricostruito daccapo. Sicuramente la versione secentesca era più elegante di quella successiva. 

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