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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La Rocca: "vecchia e trista"

Ravaldino resta ancora in attesa di conoscere il suo futuro. Nemmeno alla fine del Cinquecento se la passava molto bene.

Il titolo non è cronaca del presente, si riferisce al 28 maggio 1573 quando venne stilato un inventario delle robbe et arme et massaritie che se retrovano nella Roccha di Forlì. Il risultato è una ripetizione di due aggettivi: vecchio e tristo, dove tristo sta un po' per malinconico e un po' per meschino. Fu il castellano Mario Casali, patrizio bolognese, a rilevare lo stato di degrado del fortilizio di Ravaldino: erano passati poco più di settant'anni dall'assedio del Duca Valentino a Caterina Sforza. Non avendo più avuto nè manutenzione nè un utilizzo difensivo, a poco a poco fu lasciata andare ai capperi, come oggi. 

Con l'estinzione del Medioevo erano sparite anche le guerre quattrocentesche e la pace pontificia, almeno da queste parti, aveva reso obsolete le strutture militari nè furono impiegati fondi per una loro conservazione. Così le mura ormai servivano solo per controlli sanitari e ordine pubblico; e la Rocca? Non fungeva nemmeno da carcere, era lì, silenziosa, tra la vegetazione, in attesa di un'inesorabile rovina. Servivano troppi soldi per ripristinarla, per restaurarla, per destinarla ad altri usi: un rumore che all'orecchio pare già sentito, pare proprio di questi ultimi decenni. In quell'anno, cosa si trovava nella Rocca? Entriamo nella fortezza abbandonata già allora e guardiamo quello che c'è: chiedendoci, talora, di cosa si tratti e che fine abbia fatto da allora a oggi. Nella Camera presso la cusina, un forciero uso e tristo, inoltre cassoni di farina sempre usi e tristi. E si vede anche una casetta d'abetto: vecchia e trista. Entrando in cusina, invece, si nota: una cardenza d'abetto senza coperchiouna casetta d'abetto senza coperchiouna schanciera da tener piatti d'abetto. Questi, e gli oggetti che seguono, sono sempre considerati vecchi, tristi, rotti, usi come se il castellano razzolasse in mezzo a ciarpame. Ancora si vede un par de capi fuochi di ferro a crosetta, una segha, una stagnada piccola di ramo, un cadinetto di ramo come la padellina. Non si ha da sapere se lo spedarino d'arosto abbia contribuito a riempire la viscere di Caterina Sforza, e così le gridelle o la grama da farci pane. Si entra poi nella Capella dove si dice mesa ove si conserva: uno mantile vecchio e tristo su l'altare et uno scabeletto da misale. C'è poi un altro sgabello a piede de l'altar grande dove si sa che allora si poteva contemplare una pala con Cristo in croce e i due ladroni entro una cornice di noce. Non manca una campanina di bronzo nè uno candiliero di legno per la torza quando si leva il Corpus Domini. L'acqua santa stava in un vaso di maiolica nei pressi della lampada. In inventario anche tri pezzi di legni con li suoi piedi a fogia di cavaletti nonché una tavola di legno dipinta con la figura della Madonna e doi angelli. Accedendo alla Camera del Maschio dove si mangia si osserva una cassa granda d'arcipresso vecchia e trista, e poi una letiera con le sue colonne di noce e feri a l'antigha, anch'essi vecchi e tristi. Vi sono allocati anche tredici archibusoni da posta e due capi fuochi di ferri con le dindole e una cadena di ferro per il camino senza rampone. Inoltre: una forcina, una zampighauno par de moglie et una paletta, un lanternone di fella, un ferro da fuocho e una carriola d'abetto con il paiarizzo. Si tratta di cose, anche in questo caso, vecchie e triste, e addirittura sciagurate. Si sale la scala e si entra nella Camera di sopra pur nel maschio dove si distingue uno banchone di noce vecchio e tristo, uno scaldaletto di ramo e una tavola d'abetto con li trispidi

Ora si passa alla zona propriamente militare. Nel torrione del maschio ecco uno sagro, con cassa e rotte, con l'arma di San Marco e, accanto ad esso uno sagro di bronze, con cassa e rotte, senza arme. Si vedono anche due cargattoni e una campana di bronzo con il batacchio. Nel torione verso la porta di Ravaldino niente di che: una litera d'abetto con ciel d'asse e cavaletti. Nel torrione verso la montagna spicca un falconetto di bronzo con l'arma de Medici, tre spingarde di ferro e poco altro. Nel torrione verso la Cittadella sono collocati due sagretti in bronzo, con case e rotte, uno con l'arma della Croce e l'altro con lettere che dicano opus Bartholomei. Lì pure vi sono due spingarde di ferro e dodici code di ferro. Se si fa ingresso nel Torione alla punta de la Cittadella si possono vedere, oltre al canone di bronzo con l'arme del Card. Farnese, le solite spingharde e i misteriosi carghettoni nonché tre cortiche senza manicocode di ferro e uno mazzo con il manico di ferro. Più cose sono conservate nella Camara della monitione di sopra, evidente deposito di armi e munizioni quali: quindici corazze vecchie a l'antigha, dieci elaretti e un morione. Continuando questa noiosa compilazione bisogna citare anche cinque lance da homo d'arme, tredici archibugi di cui otto a man corti e cinque da posta. Aggiungiamo sette balestre: una con l'archo d'osso. Due pali di ferro, cinque spingarde di ferro e quattro rote aferade d'artelaria. Ancora si vedono altre ventotto spingarde grandi e piccole, un cassone pien di solfaro e otto pani di solfaro fuori del cassone, seguono altri barili di munizioni tra cui vertoni (proiettili da balestra) e quattordici pezzi di ferro da far palotte. Vari pezzi d'artelaria (artiglieria) e altre munizioni: 132 palle da cannone, 13 balle grosse di piombo, 112 balle da colobrine nonché le forme per fondere e realizzare tali proiettili, e sei barili con polvere da sparo e quattro con salnitro. Si vede anche una schala de corda con li suoi pirolli di legno e altre cose, tra cui due barelle. Tra il ciarpame accatastato si coglie un pedriollo di rame e un pezzo di tromba d'acqua. Nel toresino di sotto del torione verso la montagna si notano cinque badili di ferro con li manichi e una manara di ferro. Al pozzo del cortile del maschio, come prevedibile, due secchi di legno per l'acqua e la girella di ferra con la corda. Alla porta del maschio sono appoggiate dodici alabarde ma sono vecchie e fruste. Nella cantina prima vi sono 4 botti, tre vuote e una piena di sale. E un tinazzo. Nell'altra cantina si vedono sette botti, una pidria, due gabbani per far la guardia di notte e un molino da mani con li suoi contrapesi per far farina. Anche queste cose sono vecchie e rotte. Nella cittadella sopra la porta si trova un mortaio di bronzo con il pestone per far polvere, altre tre spingarde a cavallo.

L'inventario (sopra riportato in forma prolissa ma incompleta) sarà verificato da Alessandro Malvasia, vicetesoriere di Romagna e da Orazio Spada, delegato del presidente mons. Filippo Sega. Qualche anno dopo, nel 1593, il nuovo castellano Gianbattista Cortonesi, lamenterà ancora lo stato di abbandono della Rocca. Sono passati tanti decenni ma sembra di essere allora: Forlì, in tutto questo tempo, non ha saputo ridare dignità al fortilizio, utilizzato di tanto in tanto per qualche sporadica manifestazione e ora chiuso, sommerso da una vegetazione prodromica della rovina. Un'annosa situazione irragionevole che lascia basiti i turisti e chi ha a cuore la storia cittadina. Si spera in un nuovo rinascimento, magari partendo da piccole cose, come la rotonda nel piazzale di Porta Ravaldino che potrebbe ospitare un monumento che ricordi chi ha fatto la storia della Rocca, per esempio Caterina Sforza. E già più di duecento forlivesi hanno firmato la petizione con tale obiettivo. Non si tratta nemmeno qui di spesa, ma di investimento. Diversamente si tornerà a quel mesto 1593 quando Antonio Saffi, notaio, visitando la Rocca ebbe modo di mettersi le mani tra i capelli: infissi da buttare, non c'era rimasto alcun ponte levatoio, il tetto in più punti sfondo, porte senza catene nè serrature. Il Paradiso, reggia dorata di Caterina Sforza, era tutto guasto e rovinato e di lì a poco sarebbe sparito per sempre. 

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