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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Le memorie perdute del Municipio

Il Palazzo Comunale di Forlì è il risultato di secoli di rifacimenti. Nel tempo, alcuni manufatti che ingentilivano la facciata sono stati cancellati.

Chiunque può aver notato che, nemmeno nelle città vicine, non esistono palazzi comunali simili a quello di Forlì. Una composizione larga quanto un lato della grande piazza con l'effetto ottico - dicono i detrattori - di una credenza, di un armadione. Così, con la scrivania rovesciata (il Palazzo delle Poste), il Campo dell'Abate è arredato. Non ha, a colpo d'occhio, alcun segno di fasti medievali ridotto in modo fin troppo uniforme. Neppure si è preteso come altrove di ripristinare (o riconferire) una patina (finto)antica alla spaziosa facciata. Non ci sono né merli né ghirigori, né mattoni a vista né scale esterne alla maniera rinascimentale. Non ci sono ma c'erano. Se gli Ordelaffi lo vedessero oggi, non lo riconoscerebbero affatto. Viene in mente un Ottocento serioso, burocratico, più amante delle geometrie dell'utile che dell'arte. Eppure, non è sempre stato così. Il Palazzo Comunale come lo vediamo adesso è, infatti, il risultato dello strato dei secoli. Pare che in principio ci fosse la torre, di origini antichissime, residuo di una cerchia muraria lungo il fiume che ora è canalizzato sotto il portico del Municipio. Venendo a tempi più recenti, però, si nota una serie di mutamenti che sembrano seguire le mode prevalenti dei secoli in questione. Così vi fu una versione merlata, una veste con bifore e monofore, un'ipotesi che lo vede diviso in due parti...

In tempi barocchi, la facciata del Comune era alleggerrita e ingentilita dalle cosiddette memorie dei cardinali. Si vede, in alcuni documenti, che i due grandi archi che spezzano il fronte su piazza Saffi erano incorniciati in modo sontuoso. Simmetriche e vivide nel biancore della pietra d'Istria, gli eleganti manufatti abbellirono il Municipio per circa meno di mezzo secolo prima di essere drasticamente ridotte e sparire del tutto. Erano monumenti per celebrare, appunto, due grandi cardinali forlivesi: Fabrizio Paolucci (1651-1726) e Giulio Piazza (1663-1726). Entrambi avevano avuto una carriera colma di meriti e titoli. Il primo, papabile due volte, segretario di Stato di Clemente IX, non assurse al soglio di Pietro solo per il veto imposto dall'Austria. Il secondo, per contro, già nunzio apostolico in Austria, fu il candidato Papa degli Asburgo durante il conclave che avrebbe eletto Benedetto XIII. Forlì si trovò così ad avere, contemporaneamente, due concittadini di nobile e antica famiglia con un curriculum così ricco da sfiorare il papato. Non solo perché il contesto era quello dello Stato Pontificio, dunque, la città provvide a ricordare i due uomini di tanto lustro. Fu scelto di aggraziare i due archi maggiori del Municipio, quelli - per intendersi - oggi sormontati da un terrazzino. Lo sguardo doveva recarne una certa emozione: un grande ovale con lo stemma pontificio, timpano imponente e solide lesene; due importanti archi simmetrici, degni di un palazzo di potere. 

La memoria Paolucci, edificata dopo un parto decennale nel 1710 a firma di Giovanni Toschini, aveva uno stile romano sostanzialmente sobrio nella sua retorica barocca: un portone trionfale, due cariatidi a sorreggere il timpano fratto sotto il quale si apriva un arco superiore piuttosto luminoso convergente sul busto del cardinale con cartiglio e arco di famiglia, e stemma papale a incorniciare il tutto. Incastonava l'arco che conduce al voltone del Comune. Analogamente, sorse la memoria Piazza: nel 1712, infatti, il forlivese fu creato cardinale e la città si mobilitò per ricordare il nuovo porporato. Il regalo non fu particolarmente gradito: Giulio Piazza storse il naso davanti all'arco del tutto simile a quello Paolucci e quando fu in città, nel 1725, alla vista del manufatto fu piuttosto indispettito. Non si sa bene che cosa esattamente vide: la memoria Piazza rimane più misteriosa. Doveva essere del tutto simile alla Paolucci, collocata nell'arco con terrazzo verso via delle Torri, ma certe illustrazioni la mostrano più spoglia, quasi assente. Probabilmente, la volta doveva essere bugnata, come l'ingresso solenne della Prefettura (palazzo della famiglia Piazza, appunto). 

Negli anni successivi, però, la graziosa facciata antica, con bifore e monofore e a un solo piano, fu manomessa per costruire il secondo. Le memorie risultarono così inglobate, senza svettare più. Ma i lavori compromisero la loro integrità: quella Piazza, in particolare, rovinò per buona parte nel 1754. La comunità rimase sconcertata ma ben poco si fece per salvare il salvabile. Alla fine del Settecento si tirò dritto e la facciata cara agli Ordelaffi scomparve per sempre. Se così non fosse stato, i forlivesi avrebbero conservato una sorta di palazzo Albertini (dalle graziose finestre) lungo quanto il lato del Municipio, più basso, con colonne tortili (dall'Ottocento intrappolate nei massicci pilastri che si vedono oggi). Purtroppo è stata usata - come altrove, in questa città - la mano pesante e ogni cenno quattrocentesco è inimmaginabile. La memoria Paolucci, già alla fine del Settecento, non ha ormai più riccioli né volute, è integralmente inglobata nel fronte, al posto del fastigio papale si apre una finestra. Quella Piazza, già capitozzata decenni prima, risulta così meno mancante. Tra le due, nel 1766 viene disegnata un'importante edicola destinata a contenere una statua della Madonna del Fuoco. Anche questa testimonianza della devozione popolare (che esiste ancora in buona parte delle facciate coeve dei Municipi) sarà smantellata per iconoclastia ottocentesca. Nel 1821, ogni residua traccia delle memorie era stata cancellata. L'attuale facciata, infatti, sarà stata ridisegnata da Gottardo Perseguiti e Giovanni Bertoni per il cardinale legato Stanislao Sanseverino nella prima parte dell'Ottocento. 

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