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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Le quattro vite dell'aeroporto

Tra voli e cadute, il "Ridolfi" di Forlì ha più di ottant'anni. Cos'accadrà nella "quarta vita"? Nel frattempo, si riscopra la sua lunga storia.

Estate tempo di viaggi: fino a cinque anni fa si poteva inforcare la bicicletta, legarla a un palo di via Seganti e salire su un aereo per ritrovarsi in una capitale europea nel giro di poche ore. Si entrava in una struttura semplice e domestica contrassegnata dalla sigla FRL che sgomitava nei tabelloni luminosi tra le altre mete ben più note in diversi aeroporti (anche a Tel Aviv). 

L’impianto più che ottuagenario sorge però su un terreno fertile. A Forlì si sfida l'aria da un bel po': escludendo mongolfiere e palloni aerostatici (nell’Ottocento), il 29 maggio 1910 si alzarono dalla piazza d’Armi due temerari. Uno era svizzero (Emile Taddeoli a bordo di un Blériot) e l’altro un faentino (Luigi Massari su un Demoiselle). Si sollevarono dalla terra forlivese con due apparecchi dall’autonomia di due ore di volo, con 9 metri di apertura alare, un peso di 4 quintali e che a stento raggiungevano i 90 chilometri orari. Il vento fece fracassare al decollo Massari, Taddeoli proseguì ballonzolando. In ogni modo, furono i primi voli di Forlì. E ben presto si risvegliò un forte interesse da parte di tutti i ceti; nel 1912 sarebbe stato collaudato l’aereo prototipo tutto forlivese di Fabbri e Gamberini. Ma questa ormai è preistoria. Per quanto riguarda la storia, invece, quella dell'aeroporto Ridolfi si può, in linea di massima, scandire in tre vite vissute (1936-1944; 1950-1996; 2000-2013) mentre la quarta è in fase embrionale. 

La Runa, Reale Unione Nazionale Aeronautica, nel 1935 iniziò dei corsi di pilotaggio nel campo che, un anno dopo, sarebbe stato inaugurato ufficialmente come aeroporto. L’area (quella attuale) era già stata individuata nel 1933 e ben presto furono liberati 120 ettari da alberi, case coloniche, fossi per la grandiosa infrastruttura. In quattordici mesi furono edificati una palazzina di comando, officine, caserme, uffici, centrale elettrica, aviorimesse, mensa collegati da un sistema di viali che tagliavano quattro ettari di giardini con diecimila piante e arbusti. La pista di atterraggio anche oggi misura all’incirca due chilometri e mezzo. Il 19 settembre 1936, infatti, molti ricevettero l’invito per partecipare alla festa d’inaugurazione alla presenza di Benito Mussolini, del duca Amedeo d’Aosta, di molti gerarchi tra cui Achille Starace e delle autorità. La folla rispose con entusiasmo nonostante la pioggia intensa. Tre mesi dopo vi si sarebbe trasferito il XXX Stormo. In questi anni, il Ridolfi era utilizzato come aeroporto di varo e di valutazione dei Caproni costruiti negli stabilimenti di Predappio. Si trovò quindi ad essere il maggiore aeroporto militare costruito in Italia

Quando scoppiò la guerra ebbe un’intensa attività, per esempio era lo scalo della Luftwaffe che guardava al Mediterraneo, vi si acquartierò anche il 105° Gruppo Aerosiluranti quindi il Nucleo Speciale d’Addestramento dell’Aeronautica Militare. Il 9 settembre 1943 divenne territorio tedesco, riempiendosi di Stuka per un anno. Con l’arrivo degli Alleati, vi si insediò la Royal Air Force con i suoi Spitfire, nonché le aviazioni sudafricana, australiana e polacca. In quest’ultima fase della guerra subì un violento bombardamento che rase al suolo i pregevoli edifici originari. Nel giugno del 1945, l’aeroporto o quel che ne rimaneva fu abbandonato trasformandosi in un deposito di mezzi militari. 

La seconda vita del Ridolfi iniziò il 22 luglio 1950, con la prima campanella della scuola di volo dell’Aero Club di Forlì, gloriosa istituzione dalla storia appassionante che purtroppo si è arrestata sulla soglia dei cinquant’anni di attività. Nel 1957 lo scalo fu riaperto al traffico commerciale e fu luogo privilegiato per numerosi manifestazioni aeree: si ricordano le dimostrazione acrobatiche del Cavallino Rampante (1957), dei Diavoli Rossi (1958), il raid Forlì-Kivo (1962) con i piloti Bellini e Torelli. Contestualmente, dismessi i panni militari, l’aeroporto cominciò timidamente la sua vita civile
La pista forlivese fu testimone anche di un paio di gravi incidenti: il primo, il 5 maggio 1963, vide uno scontro tra due Frecce Tricolori in volo per il quale perse la vita il sergente maggiore Eugenio Colucci. Il 10 dicembre 1979, l’aereo su cui viaggiava l’industriale Serafino Ferruzzi si schiantò contro un’abitazione in linea con la pista d’atterraggio: morirono cinque persone. 
L’Aero Club andò avanti in modo assai proficuo e dal 1986 al 1990 propose, a cadenza annuale, il SAvia, Salone Internazionale dell’Aviazione con la presenza anche delle Frecce Tricolori. Nel 1990 a Forlì atterrò il più grande aereo mai visto al Ridolfi, l’Antonov An-124 Ruslan mentre nelle altre edizioni era ospite fisso il poderoso Fiat G222 dal caratteristico boato. Ancora nel 1990 (dal 12 al 15 luglio) si ricorda una spedizione aerea Forlì-Fremantle (Australia). Nell’immagine un momento del 5° SAvia (1990). L’ultimo Salone si svolse nel 1996, fu un commiato amaro perché vide chiudere l’Aero Club. Dalla parte opposta della pista, lungo la via Decio Raggi, per anni si è riproposta un manifestazione dedicata all'aeromodellismo; spiccava per curiosità una strega-befana volante in balsa e compensato esteticamente discutibile ma spettacolare (nelle sue evoluzioni lasciava esplodere giochi pirotecnici). Per il resto dell’anno, a parte qualche piccolo velivolo, fino alla metà degli anni Novanta nel pomeriggio atterrava puntualmente un Atr 42

La terza vita del Ridolfi iniziò nel 2000. Si procedette a un ritocco che rinnovò completamente l’ingresso e le palazzine destinate agli arrivi e alle partenze. Sparì l'ampia terrazza da cui, attraverso una piccola scalinata, si accedeva per meglio guardare decolli e atterraggi. Fu spianato un ampio parcheggio con 720 posti. Infatti, era diventato un punto di riferimento nell'area Nord-Est d'Italia per alcune compagnie di volo, specialmente a basso costo. Inizialmente le rotte erano per lo più dirette verso Sardegna e Sicilia, ben presto arrivarono le mete internazionali come le principali capitali europee. Nel 2001 atterrò il primo Boeing 747, nel 2007 e nel 2008 si sfiorarono gli 800mila passeggeri, e ciò aveva creato un indotto importante non solo per Forlì. Nonostante il successo e nonostante le numerose rotte, a poco a poco le compagnie si sfilarono e per l’aeroporto iniziarono anni bui: il 29 marzo 2013 partì l’ultimo volo di linea, destinazione Cluj-Napoca, località di una regione cui la letteratura ottocentesca ha conferito accenti sinistri: la Transilvania. Nel frattempo, nell’area di via Fontanelle si è consolidato il “Polo tecnologico aeronautico” con importanti istituzioni scolastiche, universitarie e accademiche. Addirittura la tangenziale (caso unico in Italia) fu progettata con una galleria che sottopassa il Ridolfi, riconoscendone l’importanza. 

In attesa della quarta vita, per lo scalo sono state avanzate (negli ultimi anni) le più svariate proposte, come l’intitolazione a Benito Mussolini, la sua riconversione in parco di attrazioni aeronautiche o in un polo commerciale - logistico. C’è poi chi non l’ha mai amato, guardando più ai costi che ai benefici e ai posti di lavoro. Gli aeroscettici, però, dovranno almeno esser fieri della lunga storia del volo forlivese e del Ridolfi che fu il primo in regione per nascita e per importanza. Le vicende di questi anni presentano una storia amara, anche ricca di sgambetti e campanilismi di chi non ha sufficientemente creduto nel grosso potenziale di questo mondo alato, cose che non fanno onore al “sistema Romagna” che in questo caso sa tanto di frase fatta. Oggi, più elementi lasciano ben sperare in una rinascita non così lontana. L'intento degli imprenditori che hanno deciso di investire nella prossima vita del Ridolfi è di riportare i voli di linea all'ombra di San Mercuriale.

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