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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Leonardo a Forlì? Mistero!

Cinquecento anni fa moriva il Genio di Vinci: nel 1502 aveva attraversato la Romagna. Cosa fece a Forlì? Perché non ci sono tracce del suo passaggio?

Il 2 maggio 1519, il Maestro moriva ad Amboise. Le città vicine sono tutte in fervore per festeggiare l'anniversario leonardiano. Già: ci sono tracce del Genio di Vinci a Imola, Faenza, Cesena, Rimini. E Forlì? Niente. Perché? Semplice: vi passò soltanto, probabilmente senza neppure fermarsi tra le mura liviensi. Dunque è bene inquadrare il periodo storico. Tra l'estate e l'autunno del 1502, Leonardo da Vinci è in Romagna, toccando pressoché tutte le città sulla via Emilia da Rimini a Imola. Era stato chiamato da Cesare Borgia per verificare le infrastrutture del suo territorio onde progettare futuri miglioramenti. Nel 1502 Forlì fa parte dell'effimero Ducato di Romagna, Stato creato in modo non certo pacifico dal Duca Valentino su istanza di suo padre Papa Borgia con l'appoggio di Luigi XII di Francia. Il viaggio di Leonardo da Vinci in Romagna sarà mirato a stilare un'indagine su fortezze, porti, piazze, architetture. Lascerà testimonianza di ciò che lo ebbe colpito sul taccuino che ora fa parte del Codice L (conservato a Parigi). 

Tutti sanno, per esempio, che abbozzò il porto di Cesenatico. La sua fervida immaginazione, da queste parti, fu attratta anche da altre cose. Forlì non sembra citata (si auspicano smentite), quasi fosse in un altrove. Pare proprio che non fosse al centro dei pensieri del Governo Borgia. In ogni modo si tratta di una clamorosa - e misteriosa - omissione. Di lì a poco sarebbero tornati per pochi mesi gli ultimi stanchi Ordelaffi per poi lasciare il passo al vigoroso Giulio II, primo Papa Re, che chiuse per sempre il medioevo forlivese. Lo stravolgimento storico avvenne nel giro di un paio d'anni. 

I cronisti liviensi del tempo non citano Leonardo. Si può anche fare una rapida carrellata, ma non si troverà nulla. A Forlì, il genio vinciano è davvero ignorato. Giovanni di Mastro Pedrino nomina un Lunardo, fabbro che rese sonora una campana difettosa aggiustando il batacchio e rifilandone l'orlo. Ma si tratta - è evidente - di un'altra persona. Paolo Bonoli, per il 1502, si limita a citare il passaggio a Forlì di Lucrezia Borgia, sorella del Duca, che novella sposa recavasi appresso al di lei consorte Alfonso figlio primogenito di Ercole d'Este. Era accompagnata da una corte splendidissima e da addirittura quattrocento cinquanta cavalli e settantasei muli. Gli onori di casa furono fatti da Francesco Pontiroli ed eranvi cento zitelle vestite a bianco e paonazzo, con un drapello di dame riccamente abbigliate. L'aristocrazia forlivese sgomitava per accaparrarsi parte degli ospiti negli aviti palazzi e non ebbevi casa che non gareggiasse a tutto sforzo a render brillante la ospitalità ed onorare que' signori; sapendosi con ciò di andare a sangue al Valentino. Si può dire che in tale occasione nacque il mito della Romagna ospitale. In ogni modo, altro, nel 1502 descritto da Bonoli, a Forlì non accadde. Mentre l'anno dopo s'intuisce che la storia borgiana è già finita, giacché farà capolino Antonio II Ordelaffi che col favore de' veneziani dava alcun indizio di voler ritentare sua fortuna. Purtroppo, la storia insegna che accostare il sostantivo fortuna al povero Antonio II Ordelaffi Liviae Princeps sia un'operazione piuttosto avventata. Sigismondo Marchesi si lascia andare a descrizioni più dettagliate del passaggio di Lucrezia Borgia sconfinando nelle cronache più sensazionalistiche. La cosa che tiene a sottolineare è, nella gran copia di umanità che accompagnò la donna, la presenza di un putto ermafrodito mostruoso, che aveva due capi, e trè braccia, due gambe, & un corpo solo ben formato. Se questa è una delle poche cose che il cronista vuole lasciare ai posteri, in seguito dirà che tali allegrezze erano destinate all'effimero: una sedizione scoppiò a Urbino, e già nell'autunno dell'anno medesimo il Ducato di Romagna era in crisi profonda. Anche i forlivesi si dimostravano spazientiti e scoppiarono ribellioni mitigate solo dal rispetto & amore del Duca. In ogni modo, i mercuriali non sopportavano le spese esorbitanti dei magistrati del nuovo regime, tanto che dovette intervenire Remigio de Lorque, Governatore di Romagna, per chiedere di limitare gli eccessi. Nemmeno il buon Marchesi trova modo di vergare il nome di Leonardo da Vinci. Forse perché il Valentino non è che amasse così i forlivesi, tanto da privare loro di qualche geniale infrastruttura?

Di che cosa si sarebbe potuto occupare, Leonardo da Vinci, a Forlì? Per esempio delle fortificazioni: le rocche di Ravaldino e San Pietro, le mura conchiuse pochissimi anni prima da Caterina Sforza. O del complesso sistema dei corsi d'acqua (si sa che nel 1502 furono regolarizzati i mulini di Ravaldino), nonché del vagheggiato Porto di Forlì, progetto sempre bramato ma mai realizzato, all'uscita del canale alla Grata, tra gli attuali viale Italia e via Isonzo, con un largo naviglio che avrebbe raggiunto il mare. Sarebbe stata, questa, una sfida che avrebbe di certo solleticato l'estro ingegnoso di Leonardo: però non c'è carta che parli. Nel 2009 fece scalpore, a Forlì, la controversa ipotesi che vuole celarsi dietro al volto misterioso della Gioconda nientemento che Caterina Sforza. Una questione annosa, questa, e mai presa in troppa considerazione. Si deve ammettere, tuttavia, che sia assai suggestiva. La tesi, sostenuta inizialmente dalla studiosa tedesca Magdalena Soest, è stata poi accolta dall'australiana Maike Vogt-Luerssen che, con un minuzioso e innovativo lavoro iconologico, ha fatto borbottare non pochi per il curioso collegamento tra la celebre opera vinciana e la Tigre di Forlì

Sovrapponendo i volti della Gioconda e della Dama dei Gelsomini, ossia il noto "presunto (benché paia entrarci poco) ritratto di Caterina Sforza" conservato nella Pinacoteca forlivese, molte cose sembrano coincidere. Sicché il bel dipinto forlivese sembri in un certo qual modo in connubio con il quadro - forse - più noto al mondo, conservato al Louvre. Leonardo, sicuramente, incontrò la Tigre di Forlì: nel 1503 erano insieme alla corte dei Medici a Firenze. Nel 1471 il Maestro aveva incontrato a Milano la bambina Caterina. Tutto pare tornare in una ruota di coincidenze: Leonardo con Milano, Milano cioè Sforza, Sforza Caterina, Caterina moglie di Giovanni de' Medici, i Medici con Firenze, Leonardo con Firenze. Quindi c'è chi azzarda che l'enigmatico sorriso di Monna Lisa altro non sia che quello della Signora di Forlì, ritratta tra il 1503 e il 1506. Dipinto che ora è in Francia: e si ricordi che da Caterina Sforza discendono i sovrani d'Oltralpe (attraverso Caterina de' Medici). La stessa studiosa, invero, vedrà Isabella di Aragona (che sposò Gian Galeazzo Sforza, padre di Caterina) nel volto della Gioconda, presunta moglie leonardesca col quale avrebbe avuto cinque figli. Ma qui sembra, più che storia, un romanzo. Se Leonardo da Vinci non si è ricordato di Forlì, potrebbe essere a causa di contorte gelosie del Duca Valentino che, sapendolo conoscente di Caterina Sforza, temeva che il Maestro avrebbe potuto rammentare ai forlivesi l'antica Signora spodestata dal rampollo Borgia? Chissà... Se non fosse per qualche giorno di scarto, si può tra l'altro aggiungere che tra la morte della Tigre e quella del Genio passarono dieci anni esatti. Insomma, di certo vi è pressoché soltanto che Forlì nel 1951 dedicò a Leonardo da Vinci una piccola strada chiusa nel quartiere Grandi Italiani.

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