rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Medicina a Forlì? La storia dice sì

Il capoluogo romagnolo vanta una ricca tradizione di medici che, dal Medioevo, caratterizza l'ambiente tipicamente ippocratico della città.

A chi si chiede se sia opportuno insediare una Facoltà universitaria di Medicina a Forlì, può essere utile ricordare un elenco di concittadini che in un lontano passato esercitarono l'arte ippocratica con successo. Cognomi in vista, meriti non sempre chiarissimi ma di sicura e certa fama. La tradizione medica dei forlivesi non nasce con Morgagni ma affonda le radici nel Medioevo. Già Guido Bonatti (vissuto nel Duecento), dall'alto del campanile di San Mercuriale aveva descritto i principi di medicina astrologica. Più avanti le fonti riportano il nome di Paolo Salaghi, attivo nella prima metà del Trecento. Costui, dopo aver visitato Pellegrino Laziosi nel convento dei Servi di Maria sull'attuale piazza Morgagni, diagnostica un cancer alla gamba destra, ma a stento può ricondursi a una forma di tumore: vero è che la degenerazione delle vene varicose era divenuta irreversibile. L'amputazione avrebbe salvato la vita del Santo, chiamato altresì “nuovo Giobbe” per l'evangelica fortezza con cui sopportava le penitenze. Ma la notte prima dell’intervento fu miracolosamente guarito mentre pregava davanti al Crocifisso, affresco che si trova ancora oggi nella sala capitolare del convento. Il mattino dopo il dottor Salaghi, venuto per eseguire l'amputazione, fu accolto in modo brusco da Pellegrino (più o meno con queste parole: Ritorna a casa, o tu che sei venuto per sanarmi. Medico, cura te stesso! Di questa tua arte non ho più bisogno, il Principe della medicina e l'Autore dell'umana salvezza ha allontanato con la sua potenza ogni mia infermità). Il povero dottore (aveva con sé l'attrezzatura per segare la gamba) pensò di aver davanti un folle, o un paziente particolarmente agitato per la pericolosa operazione. Guardando però la gamba del Santo, vide che la piaga era sanata. 

Il capitolo VII, intitolato De' medici più famosi del volume I lustri antichi e moderni della città di Forlì, scritto per il cardinale Merlini nel 1757, regala un panorama sulla medicina antica, quella che può ricondursi, nell'immaginario, alle maschere veneziane dal lungo becco, a difesa dalla peste. Si può, dunque, compiere una breve indagine sui dottori più antichi che ricordi il capoluogo romagnolo: cerusici, fisici, ippocratici e galenici. Ci sono molti punti in comune tra questi forlivesi. In genere appartengono a note e influenti famiglie, per intraprendere la professione prestigiosa in genere si recavano a Padova per tornare in Romagna o altrove. Si sa poco del tipo di medicine che somministravano ai nostri antenati ma, almeno a Forlì, di sicuro non erano pochi. Dal momento che hanno studiato e misero il naso fuori dalla città, a loro veniva chiesto anche un parere o un consulto politico. A volte lavoravano in squadra, girando per diverse regioni italiane, chiamati a fronteggiare pestilenze o cataclismi. Per il fenomeno del medico itinerante, Forlì nel Quattrocento ospiterà anche Filippo da Milano, Alberto da Ferrara, Giovanni da Rimini, Baviero da Imola per curare Caterina Rangoni o i vari Ordelaffi, sovente cagionevoli. Va da sé che la Forlì medievale fosse nota per l'alto numero di strutture dedicate al ricovero o alla cura dei malati e degli indigenti, ospedali polivalenti - così si può dire - piccoli e diffusi in modo capillare entro le mura. Fino al Settecento, tre sono le punte di diamante che non possono essere tralasciate Giacomo della Torre, Girolamo Mercuriali, Giovanni Battista Morgagni, per i quali ci vorrebbe molto più spazio. Altri nomi, dall'Ottocento a oggi, hanno lustrato la medicina forlivese; qui s'intende però fare un salto molto indietro. 

Il primo dei medici forlivesi a esservi citato è Giovanni di Giuliano Numai cui si affianca un certo Tommaso. Questi, più o meno ai tempi di Paolo Salaghi, erano così rinomati che le loro tombe grondavano di tributi e onori, infatti, risuonò il loro nome anche in remote regioni. Tuttavia, il calpestio dei piedi sulle lapidi rese già illeggibili questi epitafi al tempo del compilatore dello scritto. Per l'anno 1380 si afferma Giuliano di Giovanni Numaitalis pater, i cui consulti e la cui arte venivano richiesti da principalissimi personaggiGuglielmo di Giacomo Aleotti (1440) si distinse vuoi come filosofo vuoi come medico, e così Tommaso Aleotti. Sotto Antonio I Ordelaffi erano di moda Antonio e Francesco Montesi mentre, sotto Antonio II eccelse Bartolomeo Pansecchi che però ebbe una gloria assai breve, breve come la durata del governo del suo paziente illustre, appena qualche mese (22 ottobre 1503 - 6 febbraio 1504). Nel 1500 è citato anche il nome di Pierantonio di Angiolo Padovani. All'anno 1512 è ascritto Bartolomeo Lombardinila di cui fama essendosi sparsa anche in lontane Provincie, venne invitato alle cure di Principi grandi, ed in particolare dell'Imperador Federico III (d'Asburgo), che lo colmò di ricchezze, e onori. Il medico personale di Girolamo Riario e Cesare Borgia ma ben noto anche all'estero, meritò un sontuoso sepolcro di marmo a firma di Pietro Barilotto di Faenza. Il manufatto che presenta il medico defunto in modo elegante ed esuberante, vigile sulla sua tomba a mo' di sfida contro la morte (chissà da medico quante volte avrà duellato con essa) e con la certezza della resurrezione. Dov'è ora questa chicca (nell'immagine)? A Parigi, grazie al vezzo di certi cugini d'Oltralpe di prelevare preziosi souvenir. Non sia mai che si proponga una restituzione... La cappella Lombardini ha fatto la fine della chiesa che la conteneva: San Francesco Grande, smontata e distrutta. Da tempo gran parte della ricca pavimentazione si trova in Gran Bretagna, regolarmente venduta dagli eredi. Pochissimi scampoli restano a Forlì. 

Proseguendo nella lista, si trovano Stefano di Baldassarre Carrari, oppure Angiolo di Pierantonio Padovani (che diede alle stampe libri cogniti in tutta Europa). Sempre nel Cinquecento si scopre Baldassarre di Giovanni Gaddi che rese memorabile il suo nome, colla felicità, ch'ebbe nel guarire i malati. Nel 1576, morì con chiara fama Alideo di Pier Antonio Padovani che pubblicò diversi lavori in Germania tra cui Curationes et Consilia, divenendo uno de' maggiori luminari del tempo. Si annoverano anche Lucio di Stefano Carrari, Giovanni Battista di Vangelista Aspini che era sepolto in San Girolamo. Poi Polifemo Cortesonni che operava con Claudio Menghi e Matteo Baldraccani tanto che vennero chiamati in lontani Paesi alla cura di gravissime malattie. Pellegrino e Giovanni Battista Maseri si destreggiavano tra facoltà filosofiche ed ippocratiche mentre Sebastiano di Francesco Biondi fondò un ospedale. Nel 1567 si cita Bernardino Biasettiottimo precettore che insegnò medicina a Bologna. Contemporanei sono i fratelli Padovani (famiglia che diede un gran copia di dottori): Fabrizio, ma soprattutto Francesco, non solamente chiaro per l'Opere date alle Stampe, che per la felicità avuta a risanare i maggiori Potentati d'Europa tra cui varj Sommi Pontefici, l'Imperadore Ridolfo (Rodolfo II d'Asburgo), ed il Principe di Transilvania che lo rimandarono alla Patria pieno di ricompense. Il Seicento si apre con Biagio Bernardi, medico alla corte di Cosimo II, Granduca di Toscana e da lui riguardato con ispeciale affetto, ed estimazione. Alla sua morte, lasciò quindicimila scudi alla Compagnia della Carità di Forlì. A lui contemporaneo viveva l'oscuro Paolo Maria da Forlì, medico senza cognome che visse in incognito a Siena tra il 1632 e il 1633 studiando le fonti termali del Senese e della Maremma; particolarmente studiò e scrisse sull'acquasanta di Chianciano anche se ulteriori notizie non si sono scoperte di questo investigatore de' segreti della natura. A metà del Seicento s'incontrano Giovanni di Francesco Morattini che da Forlì s'insediò a Venezia per insegnare nella facoltà di Medicina, e Bartolomeo di Giacomo Morattini, noto per lo più tra i cardinali come medico prestantissimo. Per il Settecento, prima di Morgagni, sono citati Giuseppe di Pietro Martire Saffi Giovanni di Antonio Aspini. Il primo sapeva guarire gravissime malattie, l'altro era molto versato nelle discipline mediche nella lingua greca

Non si può fuggire da questo elenco eludendo una grande donna: Caterina Sforza. A modo suo, da autodidatta, la Tigre di Forlì ebbe, nei suoi Experimenti, l'intuizione di arginare, nel tardo Quattrocento, le esasperazioni della magia con una medicina "fai da te" meno accademica e alla portata di tutti. Consigliò erbe e rimedi naturali per la salute e il vigore del corpo in 471 ricette. Fu lei che per prima avrebbe scoperto l'uso del cloroformio per addormentare i pazienti; preparava pozioni, elisir, pomate, cure contro diverse malattie prendendo spunto dai segreti del suo maestro speziale: Lodovico Albertini, forlivese anch'egli. 

Si parla di

Medicina a Forlì? La storia dice sì

ForlìToday è in caricamento