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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Nel chiostro della neve

Fino agli anni Settanta rimanevano i ruderi di un chiostro duecentesco. Accanto, anche un'abside di una chiesa sventrata dai bombardamenti. Invece di salvare il salvabile, fu raso al suolo tutto.

Secondo una celebre pasquinata quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini, cioè "ciò che non fecero i barbari, lo hanno fatto i Barberini". E che mai avranno fatto, questi Barberini? La potente famiglia romana iniziò a prelevare parti di manufatti della classicità onde riutilizzarli per monumenti contemporanei. Così, se i barbari misero Roma in sacco, quello che rimaneva fu manomesso dall'inclita schiatta. 

A Forlì, lo stesso detto potrebbe essere applicato così: "ciò che non fece la guerra, lo ha fatto il dopoguerra". Con un'aggravante: se i Barberini avvilirono monumenti classici per favorire la costruzione (tra asportazioni e fusioni) di nuove opere d'arte, la ricostruzione postbellica da queste parti non ha reso altrettanto. Ovviamente ci sono anche (rare) eccezioni.

In foto si vede un chiostro. Uno dei tanti che erano presenti nel centro di Forlì e che poi, in varie epoche storiche, sono stati cancellati. Dapprima nel decennio 1796-1806, poi nel 1860-67, in seguito sotto le bombe orribili del '44 e, ahinoi, perfino in tempi molto più recenti. Un indizio è dato dal campanile di San Mercuriale, ancora in vista perché il centro era privo degli alti condomini anni '60, ma si stenta a trovarne traccia oggi. Dove sarebbe, se ci fosse ancora? La risposta non è difficile per chi ha superato i cinquant'anni, perché lo hanno potuto vedere con i loro occhi. Se si pigia sulla foto, si notano anche gli avanzi di una chiesa sventrata. La facciata era simile a quella di Santa Maria della Ripa, senza fronzoli, austera: l'interno aveva qualche stucco (che si nota nell'abside aperta). Buona parte del complesso fu presa di mira da una grandinata di bombe che ridusse il tutto come appare nell'immagine. Il convento, infatti, seguì la sorte della maggioranza degli altri forlivesi: reso caserma da Napoleone, ripopolato con la Restaurazione e spogliato definitivamente con l'Unità d'Italia. Così molto si era già perso nel 1860. La facciata fu rimaneggiata per farne la sede del Distretto militare ma il chiostro sostanzialmente non mutò. Il bombardamento alleato del 19 maggio 1944 frantumò questa zona di Borgo San Pietro, Barriera compresa: della chiesa rimase l'abside, del Distretto ben poco. Resistette, come si vede in foto, la parte lungo via Felice Orsini: era appena un tronco di chiostro in rovina. 

Si tratta di Santa Maria della Neve, o ad Nives, complesso duecentesco che finì tramortito dalla guerra ma ucciso dagli anni Settanta. Anziché recuperare il recuperabile, fu scelto di demolire il tutto tempo dopo. Fu giudicato pericolante, e ciò bastò per cancellare sette secoli. Fondato nella prima metà del Duecento, era la sede del convento delle domenicane che vollero ampliare l'edificio nel Seicento. Chiuse i battenti con l'occupazione napoleonica poi, passata la tempesta, nel 1824 Pio VII lo assegnò alle clarisse che vi rimasero sino al 1860. Con l'Unità d'Italia fu requisito dal nuovo Stato per essere ridotto a Distretto militare e caserma. Davanti alla facciata, nel controviale della circonvallazione, scorreva il binario che serviva principalmente al vicino stabilimento Orsi Mangelli

Rimane, della chiesa, un avanzo di muro nel retro del supermercato (qualche indicazione non guasterebbe) che, in tutta la sua malinconia, è lì come confine per due parcheggi. Del complesso, la graziosa "porta" tra via Felice Orsini e via Bentivoglio e un pezzo di muro su viale Vittorio Veneto restaurato dal Comune nel 2006. La piazza d'Armi del Distretto militare ora è il parcheggio di piazza Montegrappa. Trent'anni dopo il bombardamento, si completò l'opera con le ruspe. I lavori di demolizione erano iniziati già da un po'. I ruderi del convento, fino agli anni Sessanta, furono definitivamente dissacrati come luogo per circhi invernali, giostre e divertimenti vari. C'era perfino il tiro a segno per la gioia dei ragazzini: sembrava un parco giochi tra le rovine, una cosa curiosa e pericolosa. I bambini più avventurosi esploravano gli avanzi dell'antica chiesa. Al posto del chiostro, ora c'è quella che era la scuola media "Maroncelli". Poi venne il 2014 ed emersero problemi tali che hanno costretto alla chiusura il plesso scolastico l'anno successivo, con la minaccia che verrà demolito ancora una volta il tutto, sicché il sacrificio dell'edificio duecentesco sarebbe stato vano. Dov'era la chiesa, ora c'è un supermercato e si apre la strada che lo costeggia; il rudere non fu giudicato degno di essere recuperato, anche se l'abside poteva essere restaurata e messa in sicurezza. Il chiostro, con la sua sobria eleganza, pure. Ma forse, come si suol dire, forse allora "non ci si pensava" e con certezza è stato più economico fare tabula rasaLa cittadinanza forlivese, nel 1944, ha pagato il costo della guerra con 1022 allarmi aerei, cioè circa 1500 ore di attesa angosciante, 79 bombardamenti, 87 spezzonamenti e 57 azioni di mitragliamento, 40 mila vani sinistrati, 271 civili deceduti e 676 feriti. Un disastro che ha sconvolto la città e ancora oggi ne sono evidenti le cicatrici. 

Inoltre, non si può dimenticare che storicamente a Forlì c'erano due "Santa Maria della Neve": l'altra era in via Battuti Verdi (sull'area dell'attuale numero civico 2, all'angolo con via Cattaneo) e qui aveva sede l'antica omonima confraternita. Inutile cercarne qualche traccia, anche questa fu smantellata, nonostante secoli di storia. Sarà per questo che non nevica quasi più? Tornando in chiusura a Roma, v'è da aggiungere che, nonostante la stagione, la Madonna della Neve si festeggia il 5 agosto, giorno in cui si tramanda che nel 352, a seguito di un'apparizione mariana, cadde miracolosamente la neve sull'Esquilino, là dove poi fu costruita una chiesa su iniziativa di Papa Liberio. 

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