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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Pasqua 1504: Forlì cambia gestione

Nell'aprile del 1504 finisce il medioevo per Forlì. La città passa allo Stato della Chiesa e così sarà fino al 1860. Cos'accadde in quei giorni?

Giorni delicatissimi, giorni di transizione: chissà che aria si doveva respirare a Forlì nell'aprile del 1504. Il periodo era iniziato con una processione durata due giorni con la sacra Immagine della Madonna del Fuoco, voluta da Ludovico Ordelaffi per impetrare il potere sulla città come chi portava quel cognome si sentiva in dovere di fare. Magnanimo o ingenuo, fu però travolto dalla storia. Già il suo dominio era contrastato e due rimanevano le famiglie più influenti: i Morattini (pro-Ordelaffi) e i Numai (suoi oppositori). Il fratellastro Antonio Maria Ordelaffi, speranza dell'antica famiglia, era morto il 6 febbraio, dopo un breve governo succeduto all'ancor breve gestione Borgia. I forlivesi avevano intuito che l'epoca delle piccole signorie era tramontata, quindi iniziarono a trattare specialmente col Pontefice. Nel frattempo: Ruggero, Cecco, Battista, Antonio, Galeazzo e Girolamo, tutti Numai, vennero arrestati e rinchiusi nella rocca di Forlimpopoli. Furono giorni terribili, di guerra civile: ci andarono di mezzo anche i Brandolini, vicini ai Numai. Ludovico II Ordelaffi, per tentare di ricucire la città rissosa e per legittimarsi quale suo Signore, tentò la pacificazione, restituì i beni requisiti, riportò in libertà i detenuti politici. In realtà la situazione restava ingarbugliata: gli Orsi volevano che Forlì fosse ceduta a Venezia, i Fiorini preferivano alla Chiesa, i Teodoli appoggiavano i Morattini ma sul soglio di Pietro stava Giulio II, chiamato anche il Papa guerriero, non a caso, o addirittura il Papa terribile. Cosa poteva la bisbetica nobiltà forlivese, frammentata in insanabili fazioni, o il giovane Ordelaffi, contro una potenza così? Il rampollo dalle branche verdi altro non riuscì a fare che accontentarsi di un vitalizio e andarsene da Forlì nella notte del 14 aprile, scortato da un buon numero di balestrieri. 

Esattamente dieci giorni prima, Giulio II era entrato in città tramite Guidobaldo, duca d'Urbino: Forlì era Stato della Chiesa. Bartolomeo Ercolani, fratello uterino dell'Ordelaffi, custode della rocca di Forlimpopoli, la cedette vittima di un sotterfugio. E cosa simile sarebbe accaduta a Nicolò Teodoli, castellano di Predappio. Così Forlì rimase isolata e impotente. I veneziani non intervennero in difesa dell'Ordelaffi e questi mandò Bartolomeo Solombrini e Cecco Morattini per capitolare la resa. Il 5 aprile, Venerdì Santo, dopo la predica della Passione, dalla sommità della Crocetta furono pubblicati i capitoli del cambio di gestione e il giorno successivo, con la partecipazione di clero e di popolo, avvenne l'ingresso del cardinale legato Giovanni Bianchi di Ancona, arcivescovo di Ragusa. Per Crocetta s'intende il tempietto che fino al Seicento era al centro, o quasi, dell'attuale piazza Saffi. Molti aspettavano il prelato nella casa di campagna del medico Bartolomeo Lombardini, al Ronco. Il Legato, infatti, avrebbe preso possesso della città da Porta Cotogni. Intanto, Bartolomeo Morattini cavalcava a briglia sciolta in segno di saluto mentre altri intonavano Viva la Chiesa. Quando il Legato ebbe raggiunta la piazza, fu fatta suonare a distesa la campana della torre civica e si videro sempre più guardie a scorta dell'ingresso del Palazzo. Tra la gente comune, nel frattempo, si era sparsa la voce che la città sarebbe stata assegnata di nuovo ai Riario (Girolamo, primo marito di Caterina Sforza, non entrò mai nel cuore dei forlivesi). Verso la sera del Sabato Santo, scoppiarono tafferugli che furono sedati proprio per intervento del prelato che ribadì che la città sarebbe stata soggetta soltanto alla Chiesa. Tanto bastò ai forlivesi più riottosi per rasserenarsi. Il cardinale ricevette quindi le chiavi della città da Sebastiano Morattini che fece alzare le bandiere pontificie. Fu quindi tempo, per il nuovo governante di Forlì, di fare i conti con i "vecchi arnesi" della politica, come Luffo Numai (presso il quale andò ad abitare) e Consalvo Mirafonte, castellano di Ravaldino. I forlivesi, nel 1504, vissero quindi una Pasqua di passaggio tra il leone verde degli Ordelaffi e le chiavi d'oro di San Pietro. 

La città di quel tempo contava un decimo dell'attuale: 12 mila abitanti cui poi se ne aggiungevano altri 7 mila nel contado e 2.400 nel distretto. Per segnare il cambio di governo, il Legato costituì un Consiglio Generale con 108 consiglieri (37 per quartiere: San Mercuriale, San Valeriano, San Pietro, San Biagio) e un Consiglio degli Anziani con 12 membri (3 per quartiere). Questo provvedimento piacque ai forlivesi: in realtà si trattava di una reviviscenza di statuti di duecento anni prima, a firma del cardinale Albornoz. Inoltre, furono nominati oltre duecento soprannumerari per sopperire a chi fosse venuto a mancare. Tra questi nomi scelse sei Magnifici Conservatori: Annibale Baldi, Antonio Neri, Francesco Denti, Tommaso Guaccimanni, Gaspare Numai, Pietro Martire Baldi detto il Villano. Questa prima Giunta forlivese giurò nelle mani del Legato il 5 maggio e iniziò a lavorare dopo la messa in Cattedrale celebrata dal cappellano don Simone Bordoni. Poi si procedette alla scelta degli altri funzionari che, com'era costume, fecero ingresso preceduti da alabardieri in uniforme e donzelli in livrea, alcuni portavano mazze d'argento, con gonfaloni e chiarine. Questa fase transitoria ebbe termine il 10 agosto, quando Consalvo Mirafonte consegnò la Rocca di Ravaldino al nuovo potere costituito. 

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