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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

San Pellegrino, Forlì e i cedri

Pensate di saper tutto su San Pellegrino Laziosi? Si festeggia il 1° maggio, tra bancarelle colme di cedri e una profonda devozione popolare. Già, ma che c'entrano i cedri con il Santo così forlivese e così internazionale?

Il 27 dicembre 1726 Pellegrino Laziosi di Forlì fu iscritto all'albo dei Santi da papa Benedetto XIII insieme con San Giovanni della Croce e San Francesco Solano. Fu il primo santo emiliano-romagnolo ad essere canonizzato a norma delle procedure successive al Concilio di Trento. Quando la notizia ufficiale raggiunse la città, alle due di notte del primo gennaio, suonarono le campane a festa.

Pellegrino, nato a Forlì nel 1265 circa, trascorse la giovinezza partecipando alle lotte politiche locali tra guelfi e ghibellini e nel 1282, dopo l’incontro con San Filippo Benizi, uno dei fondatori dei Servi di Maria, in missione a Forlì per conto del Papa, decise di entrare nell’ordine. Fece il noviziato e la professione a Siena e fu poi inviato nel convento di Forlì dove visse fino alla morte avvenuta nel 1345. Difficile, visti i tempi remoti in cui visse il Santo, reperire informazioni più puntuali e sgombre delle fioriture delle “leggende”, secondo l'uso dell'epoca. In questo contesto vivono i Laziosi, che abitavano nella via, ora intitolata a Giovita Lazzarini (nel primo tratto) e poi ai Battuti Verdi. I Laziosi erano dei nobili ghibellini con un lungo passato e tanti incarichi politici, alcuni esponenti presero parte alle crociate per la liberazione del Santo Sepolcro. Una stirpe influente e ricca, cui non doveva mancare niente. Berengario era sposato con Flora Aspini, anch'ella appartenente a una delle famiglie più in vista di Forlì. Alla coppia, il 1° maggio 1265 nacque il figlio Pellegrino. Il 22 febbraio 1281 il francese Simone de Brie divenne Papa Martino IV. Non sapeva che l'anno successivo, per lui, sarebbe stato terribile. L'Italia, frazionata tra città guelfe e ghibelline, era in balìa delle grandi potenze: gli angioini, francesi, e gli imperatori tedeschi. Forlì si trovò ad essere speranza dei ghibellini romagnoli, a capo di un territorio che osò sfidare il re di Francia e il Papa francese. La battaglia ebbe luogo nel Calendimaggio del 1282. Martino inviò un agguerrito esercito di francesi. Costoro, dopo aver a lungo assediato la città, furono infine pesantemente sconfitti, anche grazie all'abilità strategica di Guido da Montefeltro, allora a capo delle milizie forlivesi, e del suo consigliere, l'astronomo Guido Bonatti: l'episodio è ricordato da Dante Alighieri. Lì in mezzo a tanto trambusto c'era un giovanotto di buona famiglia: Pellegrino Laziosi, appunto. Pieno dell'energia dei diciott'anni, si narra che prese a schiaffi San Filippo Benizi, mandato a Forlì per convicere gli abitanti della città a tornare sotto l'obbedienza del Pontefice. Tra la torma, il ragazzo Laziosi, pentito, raggiunse il Benizi fuori città, si gettò ai suoi piedi in lacrime e gli chiese di vestire l'abito dei Servi di Maria. Il santo frate accondiscese alla sua richiesta. 

Nel 1325 fu colpito da cancrena ad una gamba, causata dalla penitenza che Pellegrino si era imposto di non sedersi e distendersi mai. Cancrena che dovette rendere Pellegrino un peso fastidioso per il convento: si tramanda che la piaga fosse particolarmente maleodorante. Il fetore teneva alla larga i confratelli e tale situazione era diventata sempre più imbarazzante. Difficile dare un nome più consono alla modernità per il male di Pellegrino. Il medico Salaghi parla di cancer alla gamba destra, ma a stento può ricondursi a una forma di tumore: vero è che la degenerazione delle vene varicose era divenuta irreversibile. Ne deriva un'immagine impulsiva e focosa del Santo e il suo tormento, davanti alla possibile menomazione, è intensamente umano. La decisione dell'amputazione avvenne con il consenso di tutti: probabilmente anche di Pellegrino, sebbene non fosse poi tanto convinto. Il “consenso informato” del paziente Pellegrino Laziosi provocò in lui una lunga riflessione sulla decisione altrui. In seguito, contro le indicazioni del medico e contro il consenso di tutti, il Santo si alzò come poté e da solo si trascinò faticosamente dalla sua cella fino alla sala del Capitolo. Con indicibili sforzo e caparbietà, Pellegrino si dimostra animato da una fortissima fede, ma anche da una profonda paura per l'intervento. Così, all'insaputa di tutti, senza l'aiuto di nessuno, raggiunge la sala del Capitolo, dove era ed è presente un pregevole Crocifisso affrescato. Davanti a esso, Pellegrino implorò la guarigione. Quindi ringraziò il Signore, lasciò la sala del Capitolo e tornò nella sua camera. Non si mise a gridare al miracolo e non svegliò il priore: eppure era avvenuto. L'indomani, il medico arriva in convento con le attrezzature per l'operazione; raggiunge la camera di Pellegrino. Nessuno sa quanto è successo nella notte, nemmeno il priore (che immagina una brusca reazione del malato). In effetti, il Santo accoglie in modo burbero il dottore intimandogli di tornare a casa (medice, cura te ipsum!) in quanto ben altro Medico lo aveva guarito. Paolo Salaghi, il chirurgo, poté solo constatare il fatto straordinario. 

La guarigione ottenuta dal Santo dovette illuminarlo a fondo su verità e significato dei miracoli che, se hanno evidenza fisica per chi ne è beneficiario, hanno soltanto un carattere di segno: un segno che occorre saper cogliere. E forse, non è senza significato che il primo miracolo attribuito all'intercessione del Santo quando ancora il suo corpo era esposto al pubblico prima della sepoltura, sia stato quello di aver dato la vista a un cieco. Si narra che alla notizia della sua morte - avvenuta nel 1345 - fu tale e tanta la gente accorsa da ogni parte per cui non fu possibile chiudere le porte della città. La salma fu esposta nel coro della chiesa: tutti volevano avvicinarsi per toccarla con oggetti e reliquie preziose. Tra gli altri, un cieco implorava aiuto, quand'ecco Pellegrino sembrò risvegliarsi e guarirlo all'istante. E anche una donna, posseduta dal demonio, fu liberata dal maligno.

Il culto fu approvato il 21 marzo 1609, nel 1726 Pellegrino fu dichiarato Santo e nel 1942 Patrono della città di Forlì, la sua festa si celebra il 1° maggio. In tutto il mondo e a lui sono dedicate chiese e cappelle come nel santuario di Pietralba e a San Marcello al Corso di Roma, dove si radunano i forlivesi che abitano nella Capitale. L'epicentro, Forlì, vanta una lunga storia di devozione e di attaccamento al Santo, tanto che il suo corpo, che riposa in una teca di cristallo collocata nell'Altar maggiore del Santuario, viene da sempre sistemata, il 1° maggio, in mezzo al popolo. In passato, il corpo veniva esposto senza alcuna protezione e si ricorda che era tanto toccato con mani e coroncine che a un certo punto cadde il naso, tutt'ora mancante.

Se all'interno della chiesa forlivese di Santa Maria dei Servi si affolla la gente per assistere a sacre funzioni e pregare davanti all'urna del Santo, fuori abbondano bancarelle colme di cedri. Quest'usanza non pare essere antica, ma è sicuramente caratteristica. Il cedro non è un frutto locale, è un agrume dalla scorza spessa, gialla, e risulta decisamente agro. I pellegrini acquistano i cedri, li fanno benedire nella chiesa dei Servi e a pranzo li consumano, meglio se zuccherati. Pare che San Pellegrino stesso abbia impiegato un gran numero di questi agrumi per combattere i malanni degli infermi, in quanto il succo dei grossi limoni è una bevanda anticolerica, antifebbrile e antipestilenziale. Fu chiamato anche “vita dei morti” perché ha il potere di corrompere i corpi vivi e di conservare i morti; chiarisce la vista, fa sparire le cicatrici, purga e consolida ulcere polmonari. Guarirebbe perfino la rogna ai quadrupedi. Ma queste sono leggende di difficile documentazione. In ogni modo rappresentano uno squarcio di pietà popolare ed è un modo di rendere omaggio a Pellegrino, con la richiesta di essere, grazie alla sua intercessione, preservati da malattie cancerose. Ciò che è documentabile è la “carità creativa” che nel medioevo era caratteristica della Chiesa, in essa erano coinvolti molto spesso laici e, sempre in tale contesto, vennero adibiti i primi ospedali. Tra guerre, carestie, pestilenze e una medicina ancora ai primordi, l’assistenza medica consisteva per lo più in sostanzioso nutrimento, ma anche in unguenti, pillole, impiastri, olio rosato, trementina, zucchero, melograni, miele, mele cotogne.

È curioso che, parallelamente alla sua adesione fattiva alla Carboneria, il cospiratore patriota forlivese Piero Maroncelli compose la musica per una messa solenne in onore di San Pellegrino Laziosi eseguita il 1 maggio 1816. Tra l’altro, se Pellegrino scampò all’amputazione, successivamente Maroncelli la subì: qualche anno dopo, un tumore al ginocchio sinistro rese indispensabile l’intervento. Singolare è anche la vicenda della reliquia del pollice: donato nel Seicento al convento di Forlimpopoli vi rimase fino alla soppressione napoleonica: raggiunse così Roma dove fu conservato in una cappella gentilizia. Alla morte del marchese Guglielmi delle Rocchette (1943), per testamento del defunto, il pollice tornò a Forlì ed ora la reliquia è conservata presso il Duomo.

Oltre alla Romagna si trova anche Città di Castello, in Umbria, tra i luoghi dove si fa memoria del Santo. Qui, il priore del convento di Santa Maria delle Grazie raccolse 342 grazie ottenute su invocazione dell'allora Beato Pellegrino. Egli stesso, nel 1702, fu guarito da gravi disturbi urinari e successivamente da una cancrena. Città di Castello ebbe un ruolo di primo piano nel processo di canonizzazione, e quando da Roma giunse la notizia del buon esito del processo (4 dicembre 1724), la città umbra elesse Pellegrino quale suo Protettore. Il culto a Pellegrino ha lasciato testimonianze in numerose città italiane: Siena, Mantova, Pesaro, Venezia. A Bergamo, per esempio, è una tradizione antica, giustificata dallo status di “Protettore speciale” della città lombarda in vista delle frequentissime grazie e portentosi miracoli. Il culto è tutt'ora vivo, spontaneo, popolare; è promosso per gli infermi ma anche per i bambini. A Torino, nella centrale chiesa di San Carlo c'è una cappella, piuttosto frequentata, dedicata al Santo forlivese. Il 14 giugno 1925, inoltre, veniva dedicata una chiesa parrocchiale a Pellegrino nel quartiere di corso Racconigi.

Molto viva, almeno fin dal Seicento, è la devozione al Santo in Spagna. Anticamente a Barcellona, nella chiesa della Madonna del Buon Successo, i numerosi pellegrini malati che vi affluivano ricevevano tre ostie. A Vienna, il Santo ha anche oggi numerosi devoti che si raccolgono in una preziosa cappella nella chiesa dei Servi davanti alla quale si inginocchiò anche Papa Paolo VI in visita presso l'imperatore Giuseppe II nel 1782. L'Austria, inoltre, nel 1994 ha emesso un francobollo commemorativo nel 650° anniversario della morte del Santo. Altri luoghi dedicati a Pellegrino sono disseminati nel territorio un tempo facente parte l'Impero Austro-Ungarico. In Francia è presente una “Fraternità di San Pellegrino” fondata da due coniugi i cui tre figli sono morti di tumori e di Aids. Questa fraternità è presente in buona parte del mondo francofono, in Belgio, per esempio, in Canada e altrove. Nei conventi serviti d'Irlanda, una volta al mese si celebra la Messa di San Pellegrino, seguita dalla benedizione impartita con la sua reliquia. In Scozia è vivo, dal 2004, un gruppo che promuove il culto del compatrono di Forlì e i flaconi dell’olio santo di San Pellegrino sono acquistabili a Glasgow, in un apposito negozio. San Pellegrino Laziosi è venerato anche in Brasile, cui è dedicata una Prelazia in Amazzonia e negli Stati Uniti, dove, a Chicago, è presente dal 6 giugno 1993 il Santuario Nazionale di San Pellegrino. In particolare, in Brasile sono sette le parrocchie dedicate a San Pellegrino, anche a Rio de Janeiro e San Paolo, dove le cerimonie liturgiche si tengono sempre il 4 maggio. A Veranopolis c’è un ospedale che si chiama “Sao Peregrino Lazziozi” (con evidente storpiatura del nome). Oruro, in Bolivia, sorge su un altopiano a 3.700 metri sopra il livello del mare: lì, nel santuario della Vergine del Sovacon, uno dei sei altari è dedicato al Santo forlivese. A Manila, nelle Filippine, c'è una numerosa comunità, sorta nei primi anni '80 del Novecento, che si è irradiata anche nelle periferie più povere, dove è stata fondata, nel 1985, la parrocchia di San Pellegrino Laziosi. I serviti oggi presenti a Forlì sono originari di quei luoghi.

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