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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il fantastico carro del Cavaliere di Livia

Ipotesi per un Palio forlivese parte seconda: quali bizzarrie si videro in città il 4 maggio 1621? Sicuramente la grande allegoria del "Carro di Livia". Cos'era? Chi vinse il Palio?

Nel giorno di San Valeriano (4 maggio) del 1621, come già scritto, si svolse una "giostra" da cui si potrebbe trarre un canovaccio per un ipotetico palio forlivese. Palio ben lungi dall'essere medievale quanto piuttosto barocco e bizzarro. Tredici cavalieri si sfidarono in un torneo a colpi di forza e di meraviglia. Degli altri sette ne abbiamo scritto nella precedente rubrica, ora tocca agli ultimi, forse i più spettacolari e su alcuni di essi lo storico Sigismondo Marchesi (le sue parole sono in corsivo) si sofferma maggiormente. Nell'immagine, si vede San Valeriano nel ritratto di Marchetti (nato cent'anni dopo la tenzone barocca) conservato nella civica Pinacoteca. 

Nell'uscita precedente della rubrica (titolo: Ipotesi per un Palio a Forlì) erano stati elencati gli altri cavalieri e ora si riparte da Cosimo dall'Aste, col nome di Cavaliere di Livia. Costui era preceduto da un paio di cavalli di mantello armellino che trainavano una macchina enorme, in forma d'un Carro Trionfale con molto garbo & arte costrutto. Cosa c'era su questo carro? Si rappresentava una vasta pianura ricamata d'erbe e varie piante, ed era così ben fatta che parea appunto un gran pezzo di terra, che sovra la terra si movesse. Nel retro di tale raffigurazione s'innalzava un monticello e sopra di esso un piano su cui si vedeva un nicchio finto di pietra viva d'architettura rustica di Toscana serpeggiato dall'edera. Cosa conteneva la cavità? Una ninfa dal nome Liviaun degli antichi nomi di questa Patria, rappresentante la Città di Forlì, vestita di turchino lattato, e di tocca d'argento. Dalle sue spalle scendeva uno zendado dell'istesso colore ed era cinta da ghirlande di ulivo e alloro argentati. Accanto alla Ninfa era stato collocato un cavaliere con lo stendardo dei XC Pacifici: voleva rappresentare Livio Salinatore in foggia da romano milite. In testa aveva un elmo pieno di piume e un abito di porpora con l'aquila di Roma scolpita in oro; tra gli artigli stringeva un cartiglio con su scritto Si prolis agnoscam. Come se non bastasse, sul carro c'erano anche allegorie dei fiumi di Forlì, con due grandi uomini seminudi con barba bianca e chioma cinta di giunchi, e di canne, che sostentavano con un braccio una grand'urna antica tutta messa ad oro. Da essa sgorgavano finti corsi d'acqua che illudevano, oltre la vista, anche l'udito, in quanto sembrava udirsene lo sciabordio. Dalla parte opposta al colle fittizio, si stagliava l'allegoria della Fama sonante una tromba d'oro. Il suo abito bianco era tutto d'occhi, e d'orecchi fregiato. Non mancavano altre figure create con erbe e fiori, significanti animali o divinità minori.

Il nono sfidante, Tomaso Albicini si voleva far chiamare Cavaliere Assetato e nello scudo si leggeva un cervo (simbolo del suo Casato) nell'atto di bere pronunciando il motto Gelida sitienti. Era vestito di nero e argento con le guarnizioni dorate.

Il decimo fu Giacinto Menghi, cioè il Cavaliere Incantato. Anch'egli, come l'ottavo, aveva investito molto in effetti speciali. Ecco il suo carro: un monte con rupi scoscese, macchiato di boschi e solcato da rivoli d'acqua. La macchina strisciava per terra offerendo alla vista balze interrotte, e mostri diversi tanto da destare vaghezza e orrore. In cima al monte si stagliava la figura della Fortezza. Il carro, fermatosi davanti alla Giuria, fece scendere un ponte levatoio da una rocca (sempre parte della "macchina") da cui uscì una donna di bella, e maestosa presenza con in mano una verga d'oro, vestita con ricca veste rossa e fermagli. La donna salì su un cavallo mentre dalla rocca venivano sparati fuochi d'artificio. Corteggiato da quattro paggi, entrò finalmente in scena il cavaliere col motto Nec profuit

Giunse come undicesimo Matteo Mattei, fintosi cavaliere di ventura con nome da operetta: Don Mattombres di Catalogna. Apparve in abito spagnolo accompagnato da un solo lacché. Prese parte al torneo, evidentemente con meno mezzi degli altri, perché era - così disse - di passaggio da queste parti. Buon ultimo Orazio Mangelli detto Cavalier Sforzato, vestito di giallo e con una vaga livrea morella trinciata. Portava nello scudo l'arme degli Aldobrandini (gli sponsor dell'iniziativa) e recava come motto: Si mihi propitia. In quanto a macchine o a effetti vari non si è certo sforzato

Dopo tutta questa messinscena maestosa, una pioggia intensa interruppe il Palio che fu ripreso il giorno successivo. Chi vinse? Il Cavaliere Assetato, l'Albicini di cui non si descrivono macchine o effetti speciali. Costui fu condotto in gran pompa in trionfo da gli altri Cavalieri, applaudendolo le trombe, e tamburi, e le grida di tutto il popolo: ed egli giunto a casa tutti anco le Dame ricevè con sontuosissima colatione

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