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Venerdì, 29 Marzo 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Se il processo penale diventa poesia

Anno 1867: il Cassiere della sezione forlivese della Banca d'Italia è accusato di appropriazione indebita. Ne scaturisce un processo appassionato. Per l'Istituto fu chiamato Crispi, ma l'imputato fu scagionato grazie a un valente avvocato.

Leonida Busi (1835-1900), bolognese professore di diritto penale all'Università di Ferrara, nel maggio del 1867 indossò la toga di avvocato per difendere, nella Corte di Assise di Forlì, il forlivese Felice Cicognani, accusato di appropriazione indebita in quanto cassiere della sezione cittadina della Banca Nazionale, cioè l'istituzione poi nota come Banca d'Italia che, scortata all'ingresso da due Carabinieri, è su corso della Repubblica. La sua opera di convincimento fu, per la difesa, un successo clamoroso. Nei giorni successivi fu scritta una dettagliata relazione storica a cura del Marchese Agostino Merlini di Forlì, socio onorario dell'Accademia dei Quiriti. 

Io svelo una vergognosa pagina di storia forense scriverà il compilatore nella dedica al Chiarissimo Sig. Professore centocinquant'anni fa. Era accaduto che, durante una verifica nel giugno del 1866, nella Cassa della Banca Nazionale risultò una deficienza di 152.864,73 Lire: mentre il Cassiere Felice Cicognani ammettea se esser responsabile di sole L. 40.000 per aver date come incassate alcune somme, che pagar doveano li Signori Dallamore, e Petrucci. Quindi pare un pastrocchio in buona fede, soprattutto, però, non riguardava la totalità della somma scomparsa. Tuttavia sul Cassiere fu imposto il marchio dell'infamia benché fin da subito le indagini erano dirette più sull'indebita appropriazione che sulla più grave sottrazione dolosa. In realtà le 40.000 Lire di cui Cicognani si riconosceva resposabile non passarono neppure sotto i suoi sensi esterni. Cioè le aveva prestate a due padri di numerosa famiglia, che a lui piangendo chiedevano pietà e le diceva incassate, quando invece le sperava ricevere in breve tempo. Speranza vana, sicché scattò il mandato di cattura. Il Cassiere, incapace di spiegare le sue ragioni e pervaso dai sensi di colpa, tentò il suicidio e fuggì, aggravando la situazione. Si costituì poi, entrando in carcere a settembre con sorpresa dei malvagi, e con piacere degli onesti. Il Processo coinvolse anche la Corte di Cassazione sedente in Torino. Intanto il compilatore si augurava con parole enfatiche l'abolizione della carcerazione preventiva. Alla Corte d'Assise di Forlì, a prendere la difesa dell'imputato, fu chiamato Leonida Busi, il Chiarissimo Professore della dedica. 

Il dibattimento dell'8 maggio 1867 fu particolarmente avvincente. Giuseppe Corvi presiedeva la Corte mentre la Banca, come parte civile, si affidò a una schiera di avvocati di grido tra cui Francesco Crispi ammantato in serico paludamento. Già allora deputato, anni dopo avrebbe avuto più importanti incarichi politici nazionali. La difesa, come detto, era rappresentata dall'avvocato Busi rarissimo esempio di sapere e di modestia. L'imputato, nel frattempo, se ne stava queto e tranquillo. Nonostante l'interrogatorio (protrattosi per più di un'ora), Cicognani si dimostrava con vera grandezza d'animo. Deposero quindi i testimoni ed emersero vizi di forma nelle verifiche del giugno dell'anno precedente, per esempio: chi aveva le chiavi del "Tesoro"? A poco a poco si venne a sapere che in quel periodo incominciavano i movimenti dell'esercito nazionale, che si portava alla conquista della Venezia e in particolare un Reggimento di fanteria di stanza a Forlì, entrato negli uffici della Banca, sembrò approfittarsi dell'ingenuità di un impiegato che lasciò incustodite le chiavi. Crispi accolse la testimonianza definendola favoletta, in realtà fu presa in seria considerazione dalla Corte. Fu in seguito ascoltato il Dallamore, uno di quei "beneficiari" che avevano messo nei guai l'imputato, e la situazione risultò ancor più ingarbugliata per una storia di cambi malpagati. Insomma, ne emerse questa troppo lurida congerie di fatti diversi di cui l'incauto Cassiere era il capro espiatorio. Crispi si dilungò a disquisire per due ore e il mattino dell'11 maggio, ultimo giorno del dibattimento, toccò a Busi e all'arringa difensiva, ferma e tranquilla, che concluse invitando i giurati a rispondere No, no, eternamente no alla colpevolezza di Cicognani. A mo' di contrappunto, Crispi ribadì il Sì, sì, eternamente sì. Ebbene, a maggioranza la Giuria, capeggiata da Cesare Calletti, rispose No. Così omologò il presidente Corvi, il vicecancelliere Leonelli: Cicognani fu libero da ogni accusa e dall'infamia. 

In fondo al testo (una sessantina di pagine), si trovano diversi testi poetici dedicati all'avvocato di successo. Testi in metro tradizionale, scritti d'occasione, non particolarmente struggenti ma tipici di quel tempo. Allora, i fatti degni di ricordo (anche i matrimoni) si celebravano con sonetti o poemi di stampo neoclassico. Agostino Merlini, lo stesso entusiasta compilatore del volumetto pubblicato in onore della difesa dell'avvocato Busi dalla Tipografia Democratica di Forlì nel 1867, ne scrisse uno di cui si riporta il testo dalla seconda quartina e della prima terzina: Un genio surse che con d'uom sembianza/ del ver, del giusto riportò riscossa/; così l'iniquità battuta a oltranza/ fuggì di rabbia, di livor percossa//. E tu fra tutti, o Busi, vanne altero;/ col tuo saver vincesti il gran periglio,/ la giustizia di Dio mettendo in atto

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