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Giovedì, 25 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Tra ambulanti e botteghe

Diciott'anni fa il mercato venne riportato in piazza Saffi e fu rivoluzionata la viabilità del centro storico. Ricordi dell'antico sistema commerciale dei mestieri scomparsi.

Mentre si parla di commercio nel centro storico, è possibile fare un salto indietro di diciott'anni, nemmeno troppi per una rubrica che si occupa di storia locale. Nel luglio del 2000 fu annunciata una serie di grosse novità per il centro storico. Apparvero le prime "strisce blu" discare a chi parcheggia (non ancora in tutto il centro, ma in buona parte di esso), i corsi Mazzini e della Repubblica invertirono il senso di marcia, cioè verso piazza Saffi. Nell'immagine (del 1981), si vede - appunto - corso della Repubblica la cui unica direzione è verso piazzale della Vittoria. Al posto della pista ciclabile, una fila di parcheggi. Per bilanciare, via Giorgio Regnoli diventa strada d'uscita, suscitando un iniziale malcontento da parte dei commercianti di quella che era la Contrada Grande. Per settembre arriva una grossa novità (per così dire, si vedrà in seguito perché): il mercato ambulante non sarà più nelle piazze XX Settembre e del Carmine, ma si collocherà nelle piazze Saffi, Cavour, Ordelaffi e via delle Torri. L'operazione ruota attorno a un nuovo piano della viabilità che prevede un accesso limitato al centro per le auto, la sosta a pagamento; il mercato lascia le due piazze che diventeranno parcheggi. Una curiosità: diciott'anni fa i parchimetri segnavano due fasce; la "A", viciniore a piazza Saffi, costava 1500 Lire la prima ora e 3000 per l'ora successiva. La fascia "B", più lontana, aveva dei prezzi tra le 1000 e le 2000 Lire. Mille Lire del 2000, al tasso attuale varrebbero 0,65 Euro. Nel 1997 era stata introdotta la moneta bimetallica da 1000 Lire, non bellissima e dalla durata effimera per l'ingresso nell'Euro. Nel frattempo, per disincentivare l'uso dell'auto, undici linee di autobus convergono in piazza Saffi, davanti al Palazzo delle Poste, sotto la controversa pensilona

Diciott'anni dopo sono cambiate molte cose ma il mercato ha confermato la sua localizzazione tradizionale. Era in piazza Saffi anche quando il Campo era ancora dell'Abate. Si può asserire che sia un'istituzione quasi millenaria con cadenza lunedì-venerdì da usi immemorabili. Così avveniva anche negli anni successivi alla fine dell'ultima guerra, quando si estendeva pure con alcune propaggini in piazza Ordelaffi, ove si vendevano ferrivecchi e altre anticaglie. In piazza delle Erbe ogni giorno si vedevano i banchi del mercato della verdura e della frutta. In particolare, il lunedì e il venerdì erano presenti vicino alle fontane alcune contadine che offrivano in vendita uova, pollame, piccioni, conigli e galline. 

Quest'uso rurale testimonia il fatto che fino agli anni '40 una parte considerevole del territorio urbano che oggi si considera centro storico era ancora occupata da zone coltivate (gli orti Masini, Paganelli, Balzani). Poco oltre Porta Cotogni si estendeva la Calera ad Fiscèt, aperta campagna (dove ora è viale Fulcieri). La città agricola e georgica ha fatto sì che a Forlì, a differenza di altri centri, siano sempre state assai circoscritte le botteghe tradizionali di alimentari (non come a Bologna, per esempio). Infatti, la verdura era comprata dalle massaie che si davano appuntamento alle prime ore del mattino con l'ortolano ambulante il quale, ad ora stabilita, passava per le vie cittadine. Certo, ci sono sempre stati negozi specializzati come la mesticheria Manoni in via delle Torri o la ferramenta Todeschini in piazza Saffi, la cappelleria Cestari in via delle Torri, gli ottici Balzani e Villa in piazza Saffi e il negozio di casalinghi di Nes ad Cartòn. Certo, numerose, specialmente vicino alle scuole, erano le cartolerie: Servadei (in corso Garibaldi vicino al Monte di Pietà), Raffoni (sul rialto piazza), Monti (prima in via delle Torri poi in via Mameli), Zanelli (in piazza Saffi), Archetti (in corso della Repubblica). Si trattava, più genericamente, di esercizi aperti fino a dodici ore al giorno, spesso le ferie rimanevano sconosciute e per lo più erano a conduzione familiare. Frequentati risultavano anche i negozi di dolciumi. 

Ma l'aspetto che si è completamente perso, è proprio il centro come mercato ambulante ambulante (non è una ripetizione). Il fatto, cioè, che oltre al "mercato fisso" dei canonici due giorni, gli ambulanti giravano per la città esponendo la merce su carretti spinti per lo più da loro, tirati altrimenti da asini o muli. Solo dal 1940 iniziarono a dotarsi di un traino motorizzato. Se ancora esiste, un'estrema propaggine nel contemporaneo di questo metodo, è quella dell'arrotino-ombrellaio che, con annunci ad alta voce (registrata), chiama le donne di casa declamando la sua perizia. Così anche allora si facevano sentire col suono di uno strumento, per esempio trombette, fischietti, campanelli o semplici urla con espressioni in dialetto che dettagliavano la merce venduta. Si rivolgevano per lo più alle donne perché in genere i mariti erano al lavoro e soprattutto perché le "reggitrici" sapevano bene fare economia, quindi la borsa era di loro competenza. Le massaie pronte a preparare i pasti sapevano a che ora sarebbe passato l'ortolano e prestavano orecchio al segnale; tenevano a mente quando il carbonaio avrebbe portato carbone di legna per accendere il fornello (le cucine a gas si diffondono dopo la Seconda guerra mondiale). 

Tra gli altri ambulanti si ricorda che una volta alla settimana passava una venditrice di merceria e chincaglieria. Il venerdì era il giorno del pescivendolo. Poi, secondo la stagione, si sentivano arrivare i gelatai, le venditrici di balotte e caldarroste, o addirittura di granchi. Nei pomeriggi primaverili si fermava a richiesta l'ambulante di tucheti, cioè di arance con qualche difetto o bozza (faceva fortuna nelle vie popolari perché un frutto non più di stagione era venduto a prezzo stracciato). In autunno, passavano le mele e le pere cotte. La domenica era il turno dei mercanti di ceci, noccioline, semi di zucca cotti (al ànum) che vendevano a 2 soldi a sgugiòt (contenitore dalla capienza simile a un bicchiere, talora italianizzato in sgugiotto). Giovedì sera o venerdì mattina si sentiva la voce della venditrice di ceci e fagioli lessati che transitava con due pentole su una carriola. Senza rispettare giorni fissi, ogni tanto faceva la sua comparsa in bicicletta lo stracciaio: con un sacco comprava stracci, pelli di coniglio, ossi conservati dopo il brodo.

Questo mondo scomparso, in cui i venditori sembravano quasi statuine del presepio, è sopravvissuto fino a qualche decennio fa. Poi, con l'ottimismo economico degli anni Cinquanta, a poco a poco ha ceduto il passo a un modello di commercio più simile al presente. E il futuro, per il commercio del centro storico e della città in generale, come sarà?

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