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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Un grande naturalista per Forlì

Per la serie: forlivesi da ricordare, la storia quasi sconosciuta di Cesare Majoli. Tra piante e insetti, fu un sommo illustratore del creato.

Un grande botanico ha radici forlivesi. E qui diede buoni frutti. Cesare Majoli. Nato a Forlì il 28 febbraio (o 1° marzo) 1746 e qui morto l'11 gennaio 1823, prese gli ordini gerolimini a 17 anni (occasione in cui mutò il nome da Francesco a Cesare) e ben presto si dedicò alla teologia, alla filosofia, alla fisica sperimentale, tanto da essere chiamato all'insegnamento in varie città italiane tra cui Imola, Ferrara, Fano, Roma e presso la Corte di Napoli. Figlio di artigiani, fu docente al Pubblico Ginnasio di Forlì e riordinò la locale Biblioteca. Di lui, Domenico Antonio Farini scrisse dipingeva le piante dal naturale e le trasportava nelle sue opere con molto garbo (...) Tutti li giorni spendeva un'ora e più nel disegnare e dipingere piante: quando andava al passeggio mi metteva o con lui o da me ad erborizzare: infine a compir ciò che egli operava. Una passione, questa, nata negli anni ferraresi, quando gli capitò sotto gli occhi la farfalla del cardo (…). Avvezzo a contemplar le meraviglie della natura anche nelle piccole cose, le quali comunemente il volgo reputa vili, si dié a specularla, e tanto l'invaghì la bellezza de' suoi colori, e la sua conformazione, che fè pensiero di rappresentarla in carta. Le preziose indicazioni di Farini testimoniano uno sguardo attento e stupito sul creato: la passione accompagna la classificazione. E i colori? Se sentiva di ritrarre all'improvviso li traeva dalle medicine che masticava, dal cinabro e da altre materie che allora per le mani aveva. Nella Biblioteca forlivese sono conservati suoi lavori importantissimi, la gran parte inediti. Tra essi l'opera Plantarum Collectio Iuxta Linnaeum Systema, forse il più imponente lavoro scientifico sull'argomento che il suo tempo abbia prodotto

Cesare Majoli, dal cognome con quella deliziosa j intervocalica che il grigiore della semplicità contemporanea avrebbe condannato all'obsolescenza, è uno dei forlivesi più dimenticati della storia. Una specie di Leonardo romagnolo, senza velleità inventive - forse - ma con un'ingente dose di capacità nell'osservazione naturale: piante, animali, tutto ciò che vive lo interessava. Pertanto merita ben più di una strada in centro storico. I suoi studi sono famosi in tutta Europa, e come spesso tristemente capita all'ennesima potenza in quel di Forlì suona verissimo l'adagio: nemo propheta in Patria. Il suo studio certosino ha lasciato la somma testimonianza scientifica e artistica della botanica tra Sette e Ottocento. I forlivesi lo sanno? Grazie a lui, si può dire, fu incentivata la Biblioteca Comunale di Forlì (che di Majoli, però, non prende il nome), ampliò il numero dei volumi presenti in essa e ci mise del suo. Forse nella storia locale non è mai stato ai vertici della simpatia perché, durante l'invasione dei francesi di Napoleone, rimase fedele al Papa. Nonostante questo suo essere controcorrente rispetto al pensiero dominante, non gli fu impedito di proseguire i suoi studi. 

Era, infatti, un trattatista dal multiforme ingegno; i lavori scientifici del sacerdote romagnolo erano consultati nelle più rinomate Accademie, dai Filergiti di Forlì a quelle di Oxford. I suoi studi su entomologia, ittiologia, ornitologia e, soprattutto, la sua monumentale opera botanica, lo resero celebre in tutta Europa. Dopo il breve periodo presso la Corte napoletana della regina Carolina, dove diede alla luce le Praelectiones Phisico-Mathematicae de Luce (1783), rientrò a Roma per l'insegnamento della teologia, senza per questo trascurare le occupazioni di naturalista. Padre Majoli, nel convento di Sant'Onofrio al Gianicolo approfondiva gli studi grazie a libri e novità, incontrò studiosi e frequentava antiquari, viaggiatori, in particolare inglesi, di cui conosceva bene la lingua. 
Qui, considerato “padre delle arti”, affinò poi l'arte dell'acquerello e dell'incisione su rame e si distinse quale traduttore di un volume che John Hill aveva pubblicato a Londra nel 1773, in italiano Decade di alberi curiosi ed eleganti piante, mettendoci del suo, integrandolo secondo la sua esperienza. Sempre nella Capitale, si cimentò in un'Introduzione all'Entomologia, e a una Pescaria di Roma, testo a quanto pare perduto. Fece rientro nel convento di San Michele a Forlì nel 1790 (cioè in via dei Mille), a seguito della nomina a maestro degli elementi di geometria. 40 scudi all'anno, questo lo stipendio promesso per tale mansione, accettato volentieri: la vista, nel frattempo, andava scemando a poco a poco. 
Furono anni agrodolci quelli del ritorno in patria: da un lato dovette accettare amarezze seguite all'avvento di Napoleone, come la soppressione del suo ordine e del suo convento, nonché il ritorno improvviso allo stato laicale, e poi si dimise dalla cattedra perché si era rifiutato di giurare fedeltà al nuovo governo francese. Come si suol dire, non tutto il male viene per nuocere: ciò consentì al già sacerdote di dedicarsi a tempo pieno alla sua attività prediletta, ai suoi studi. 

A Forlì, infatti, prese forma la sua Plantarum Collectio, probabilmente terminata nel 1810. Scritta in latino per renderla universale, è il risultato di un lavoro annoso e minuzioso: una raccolta di vegetali nella Romagna e nelle Marche, raffigurati sin nelle minime parti nel migliore dei modi, fiori, frutti, radici, cauli, accompagnati da usi officinali, luoghi di raccolta e proprietà. Ora l'opera, composta in una ventina di grossi volumi, è conservata nella Biblioteca comunale forlivese. In città fu visitato da grandi studiosi e naturalisti e, nonostante gli acciacchi, proseguì a costruire strumenti scientifici. Nel 1811 raccolse oltre seimila libri, molti dei quali provenienti dai conventi soppressi, per istituire la pubblica Biblioteca forlivese. Il totale della produzione di padre Majoli, come indicato da Pietro Zangheri, è di 75 manoscritti, soli 5 editi: circa 20 mila pagine e almeno 5 mila tavole. Tra le sue opere anche i tre volumi chiamati I mesi vegetabili dell'Anno delle Mura e Fosse della Città di Forlì, oppure l'Ornitologia del Rubicone. Majoli, in un suo scritto, precisò che i suoi studi non hanno già per iscopo la semplice curiosità, ma bensì il pubblico vantaggio. Si nota, nella sua produzione, l'assenza di un metodo costante ma un approfondito studio sul creato: accanto a Linneo e ai suoi schemi associava la sua quotidianità, le sue scoperte, allontanandosi dalle fredde classificazioni scientifiche per lasciarsi andare ad appassionate (e colorite) descrizioni narrative. Stupito perennemente dalla natura, non si stancava di annotare le sue emozioni, le sue esperienze, le sue scoperte. E curò soprattutto la grafica: l'arte, per Majoli, non è solo sfondo, ma un tutt'uno con la scienza, con essa la natura viene nominata e quindi conosciuta. Morì nella sua città dopo aver dedicato migliaia di illustrazioni a piante, uccelli, insetti, pesci e uova: un'opera immensa che rimase segreta, o quasi, anche per la  religiosa modestia dell'autore.

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