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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

I protagonisti: Simon Pietro Felice, il manager del decimo più grande marchio di vino al mondo

Due lauree, ingegneria ed economia, con il massimo dei voti, entrambe conseguite al mitico Massachusetts Institute of Tecnology di Boston, diamante della istruzione americana

Caviro oggi è un gigante, ma negli anni Sessanta era solo un’idea. Quella di due cantine cooperative, una di Forlì, una di Faenza, chiamate a fare di necessità virtù. Il mercato del vino s’andava allargando, servivano menti agili e gambe robuste. Le menti non mancavano, le gambe, trattandosi di produttori piccoli e piccolissimi, rischiavano di non bastare. Le cantine si fusero e le idee si aguzzarono. Come nella tradizione cooperativa, dal bisogno nacque l’impresa. Il resto è un mix tra storia e cronaca, Caviro è il primo produttore italiano. La confezione in brik è leggenda studiata nel mondo ma non esaurisce la produzione, commercializzata soprattutto in bottiglia.

Dal 2017 il direttore e amministratore delegato di Caviro è Simon Pietro Felice, manager cosmopolita ma romagnolo doc, tanto per rimanere nel linguaggio del vino. Poco dopo la sua nomina gli chiesi di partecipare a Salotto blu, scoprì un giovane uomo di profonda educazione, non corroso dal ruolo, serio ma divertente e divertito. Mi convinse la scelta di Caviro: affidare la guida di un azienda il cui prodotto è storia identitaria ad un romagnolo è intelligenza di visione. Mi colpì, invece, il percorso di studi di Felice: due lauree, ingegneria ed economia, con il massimo dei voti, entrambe conseguite al mitico Massachusetts Institute of Tecnology di Boston, diamante della istruzione americana. Lui ne parla con leggerezza, come di tutto. Lui e la compagna hanno due figli, di sedici e tredici anni. Per questa conversazione l’ho sentito la telefono giovedì scorso.

Direttore, da dove viene?
Da Cesena, ove sono nato nel 1969. Mio padre era commissario di polizia, mia mamma maestra  elementare. 

Il nome di battesimo Simon Pietro?
Una storia divertente. Nella famiglia di mio padre, a far data dal 1652, il primo figlio maschio si è sempre chiamato Pietro, non mi chieda perché. Alla mia nascita la mamma non gradiva chiamarmi Pietro, non era nome dolce. Mio nonno paterno, Pietro, uomo di garbo, propose una mediazione riferendosi al Nuovo Testamento. Mia mamma acconsentì e nessuno chiese il mio parere. 

Come c’arriva il figlio di un commissario cesenate al M.I.T.?
A Cesena frequentavo il liceo scientifico. Ad uno studente di quarta si proponeva la possibilità di trascorrere quell’anno negli Stati Uniti. Fui prescelto e andai. Quando mi trovai là sentii parlare dell’Istituto, mi riproposi di fare l’Università lì e, al termine della quinta liceo, vissuta a Cesena, proposi la mia candidatura. Fui ammesso a Boston, a Ingegneria, cominciò l’avventura.

Quella opportunità esisteva anche al liceo scientifico di Forlì. Due miei cari amici, Antonietta e Fabrizio, ebbero la chance di stare un anno, il quarto, negli Stati Uniti. Erano studenti eccezionali, la individuazione veniva dagli insegnanti.
Si sceglievano ragazzi particolari perché al loro ritorno, per la quinta, dovevano essere in grado di riprendere il percorso liceale senza traumi. In America si faceva grande esperienza ma, di fatto, si perdeva un anno fondamentale di scuola italiana.

Il che spiega la prima laurea ma non la seconda.
Per i miei non fu facile vedermi partire. Mia mamma mi lasciò andare a vivere lontano ottenendo la promessa che mi sarei laureato in ingegneria, considerando che mi avrebbe aperto strade. Mantenni la promessa, ma ho sempre voluto fare il manager. Appena conseguita la laurea in ingegneria mi iscrissi a economia. Ecco spiegato tutto.

Vuol dire qualcosa di Caviro? 
Che sono profondamente onorato d’esserci. E’ la prima cantina vinicola italiana, ad Aprile il Tavernello compirà quarant’anni. Per diffusione è il primo marchio italiano, il decimo al mondo. Caviro commercializza il 5% del vino italiano. Diffondiamo in 80 Paesi, 81 con le Maldive, terra avvistata qualche mese fa. In un anno escono dai nostri stabilimenti, e sono venduti, 232 milioni di pezzi, includendo bottiglie e altri contenitori. E calcoli che il vino non si può portare negli aeroporti, non lo possiamo tenere in valigia.

Altrimenti chi sa dove arrivereste…
Il vino va spedito, poi serve presentarlo, che è attività impegnativa. Ce la caviamo. Calcolando che la media estensione delle aziende nostre socie è di tre ettari, mi paiono risultati davvero importanti. E’ un enorme patrimonio di lavoro e professionalità che ho trovato al mio arrivo, nel 2017. Conto e spero di risultare utile, mi impegno al massimo.

Bello degustare vino alle Maldive. 
Lo abbiamo portato noi, da quelle parti non ci sono vigneti, come è noto. Passa il principio del life style, spediamo sangiovese e trebbiano,  per il momento lo bevono soprattutto nei resort. Gli ospiti e il personale di servizio ma, piano piano, l’abitudine si diffonderà. Siamo abituati a confrontarci con le abitudini locali. Mi trovai ad una degustazione dei nostri vini in Cina che, ovviamente, è mercato importante. Servimmo un bianco eccellente, fresco. Vidi perplessità nei volti. Mi resi conto che lo preferiscono a temperatura ambiente. Lo proponemmo a quel modo e chiudemmo il contratto. 

Poi c’è l’economia circolare.
Da tempo Caviro si impegna nell’estrarre prodotti nobili dallo scarto del vino. Ad esempio l’acido tartarico, conservante naturale che va nel pane, nello jogurt, nella frutta. Un cristallo che, aggiunto in piccola quantità, permette di conservare il cibo. Lo produciamo e lo commercializziamo, nostro cliente importante è Barilla, tra gli altri.

Detta così sembra facile, la scoperta dell’acqua calda.
Dietro processi del genere c’è tanta ricerca. Con un acino d’uva si possono fare tante cose. Siamo orgogliosi di partecipare in modo significativo all’economia circolare. Al processo serve l’utilizzo delle nuove tecnologie, ad esempio quelle digitali. Abbiamo a lungo ragionato su questa questione da ingegneri, ma in seguito abbiamo imparato a raccontarci. Quel tipo di processo era elemento d’azienda acquisito. Per presentarlo alle comunità abbiamo studiato quanto sia utile e lo abbiamo dimostrato con numeri e parole.

Le do una brutta notizia: in Europa spira il vento del nord che vuole fermare la produzione di vino. In futuro le toccherà diventare manager della Coca Cola...
Lei scherza, ma l’argomento è serio. Quello che chiama vento del nord è la richiesta di alcuni Paesi della Comunità di bloccare o limitare la circolazione del vino. Nasce in Paesi dove l’alcolismo è il problema principale ma la verità è che da quelle parti di vino se ne beve ben poco. Paesi ove non esiste dieta mediterranea, il clima è ostile, fa buio presto e ci si chiude in casa o al pub a mangiare patatine e a bere super alcolici. La mia non è critica, è constatazione. Il vino è falso problema.

Anche qualche medico italiano, ultimamente, batte quel tasto.
E’ anche modo per cercare pubblicità gratuita. Da che mondo è mondo giusta alimentazione, stile di vita e un bicchiere di vino sono garanzia di benessere. Non c’è simposio medico che non lo confermi. In Italia, Francia e Spagna, ove esiste cultura del vino, si vive più a lungo. All’estero lo chiamano paradosso italiano o paradosso francese. Il vino è cultura, gioia, allegria, condivisione. Non ci si può mettere alla stregua di chi fa wodka da canna da zucchero, lo dico con rispetto per usi e tradizioni diversi dai nostri. 

La cosa la fa arrabbiare.
Soprattutto mi stupisce. Lei sa che tanti,  singolarmente o in delegazione, anche in rappresentanza di ambienti economici, politici, sociali, vengono da noi per studiare il nostro stile di vita, che ammirano. Poi tornano a casa e non trovano di meglio, per risolvere problemi di casa loro che sono  ambientali e culturali, di proporre all’Europa di limitare la circolazione del vino.

A proposito: lei si muove in tutto il mondo. Cosa si dice, in giro, dell’Italia e della Romagna? 
 Dipende a dove si va. Nei paesi occidentali a maggiore sviluppo l’Italia è conosciutissima ed è il paradiso terrestre ove tutti vorrebbero vivere.  In paesi lontani, dove ci conoscono poco, siamo invece assimilati ad altri paesi europei. Il brand Italia non è conosciuto quanto pensiamo e andrebbe sviluppato. Per fare un esempio, in Nuova Zelanda molti non saprebbero indicare nella cartina  geografica l’Italia. 

La Romagna?
Globalmente non  se ne ha percezione. La gente, quasi ovunque, conosce solo Bologna e Rimini, quantomeno sa dell’esistenza di queste due città. Il brand Romagna è tutto da costruire. Servirebbe un gran lavoro, che darebbe risultati, ne sono certo. A cominciare dal vino e non lo dico per interesse di bottega ma per convinzione. Il vino potrebbe essere ambasciatore della Romagna, terra di formidabili attrattive, purtroppo poco conosciute.

Da un po' batto il tasto del salario dei dipendenti, mediamente basso nella pur ricca Romagna.
Un tema reale, da affrontare con serietà. Noi, in Caviro, ci sentiamo a buon punto. Per due anni consecutivi, 2021 e 2022,  abbiamo ricevuto il Top Job italiano, riconoscimento che si dà ad aziende che, secondo interviste indipendenti, godono di particolare fiducia da parte del personale. Ma siamo consci di una inflazione che galoppa oltre il dieci per cento, occorre adeguare i salari di conseguenza.  Complessivamente, però, le singole aziende possono quel che possono, in un tema del genere. Servono politiche, di governo e non solo, anche fiscali, diverse dalle attuali. 

Come ci immagina tra dieci anni?
Se giocheremo bene le nostre ottime carte, la nostra terra progredirà. L’Emilia Romagna è potenzialmente Food valley, Wellness valley,  Motor valley, Vacation valley. Quale altro territorio può avere altrettante vocazioni? Abbiamo tanti assi in mano ma nulla è scontato, dipende da noi. Il rischio di un depauperamento c’è. I fondi europei su cui si fa affidamento possono non risultare ricetta esclusiva e vincente, non risolvono tutto. Una cosa che dobbiamo imparare è fare sistema. Non serve lo dica io, è noto.

Ringrazio Simon Pietro Felice. Buona domenica, alla prossima. 

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