rotate-mobile
Cronaca

10 dicembre 1944: settant'anni dopo la cronaca completa della distruzione di San Biagio

Quella bomba tedesca ad altissimo potenziale non si limitò a disintegrare la basilica di San Biagio in San Girolamo, scrigno d'arte e cultura che l'intera nazione ci invidiava, ma annientò anche 20 povere vite, fra cui tre bimbi, un sacerdote e una monaca clarissa.

Quella bomba tedesca ad altissimo potenziale non si limitò a disintegrare la basilica di San Biagio in San Girolamo, scrigno d’arte e cultura che l’intera nazione ci invidiava, ma annientò anche 20 povere vite, fra cui tre bimbi, un sacerdote e una monaca clarissa. Domenica 10 dicembre 1944,  Forlì era già libera da un mese. La città si sentiva fuori dalla guerra e molti abitanti stavano rientrando dai luoghi in cui erano sfollati l’indomani dei primi bombardamenti, nel maggio di quell’anno. Il clima di ritrovata sicurezza aveva indotto le autorità a riportare in San Biagio la straordinaria tela dell’Immacolata Concezione dipinta da Guido Reni, dopo i mesi di cattività nelle cantine e nella canonica della parrocchia San Giorgio, in via Zampeschi, assieme ad altri capolavori cittadini affidati in custodia al coraggioso parroco don Carlo Zoli. Nessuno avrebbe mai pensato di poter perdere in un colpo solo altre 20 vite (senza contare i 66 morti di corso Diaz) e un capolavoro del calibro della cappella Feo, affrescata da Melozzo e da Palmezzano. “Alle 17,15 precise – anticipa Antonio Mambelli nei suoi Diari - alcuni aerei tedeschi compaiono improvvisamente sui cieli”.

“Si tratta – dichiara Giuseppe Della Valle, ingegnere forlivese esperto di balistica, che ha reso pubblica la sua ricerca nel 2011 - di quattro “Focke-Wulf 190 F8”, dotati ognuno di una sola bomba “Grossladungsbombe SB 1000” ad altissimo potenziale, munita di spoletta “AZ 55 A” per farla esplodere prima dell'impatto col suolo”. La squadriglia era partita dall’avio superficie militare di Verona ed aveva viaggiato quasi a volo radente per non farsi scoprire dai radar.

San Biagio antica e nuova

“Giunti su Forlì – precisa della Valle - gli aerei sganciano il loro carico da 2.200 kg su San Biagio e in Corso Diaz. Le ultime due bombe non scoppiano”. L’esplosione annienta la basilica quattrocentesca e 20 povere vite, fra cui tre bimbi, il sacerdote salesiano 59enne don Agostino Desirello che aveva appena detto messa, l’ultima della sua vita, e una monaca clarissa, suor Giovanna Zaccheroni. Alla distruzione della chiesa scampa giusto un pugno di opere d’arte: il Trittico di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, l’Immacolata Concezione di Guido Reni (molto rovinata ma restaurata a dovere nel dopoguerra), una preziosa acquasantiera in marmo bianco e il sepolcro funebre di Barbara Manfredi, oggi custodito in San Mercuriale. La bomba in corso Diaz crea invece il vuoto dal cortile di palazzo Prati fino a via Caterina Sforza: in tutto muoiono 40 persone solo fra i militari inglesi, più 26 civili fra cui un intero nucleo familiare di 7 persone.

“La bomba Grossladungsbombe SB 1000” con sviluppo esplosivo orizzontale anziché “a imbuto” (mancanza del cratere) – continua Giuseppe Della Valle - viene sperimentata per la prima volta proprio a Forlì e a Cesena, con effetti devastanti”. Il 10 dicembre è anche il venerdì santo dell’Opera salesiana in Forlì.

“Quasi tutti i fedeli – scrive l’allora direttore dell’oratorio don Marco Perego – erano usciti dalla chiesa. Si era a cento passi dal portone quando si sentì la contraerea e si vide un aereo nemico sganciare. Ci buttammo sotto il portico fra i camion inglesi. Fu un attimo: un colpo non tanto forte, un cascare di macerie, un polverone che ci soffocava, dissolto il quale San Biagio non c’era più”. Il muro più alto rimasto in piedi, in corrispondenza dell’abside, non superava i due metri: tutto amputato e dissolto. Per il finale di quella tragica giornata ci affidiamo nuovamente ad Antonio Mambelli: “Avendo due sole bombe prodotto un così immenso disastro, grava nell’animo dei cittadini l’atroce dubbio che città non sia destinata alla distruzione totale”. La parrocchia di San Biagio viene trasferita al Buon Pastore, dove rimarrà sino al 1952, l’anno dell’inaugurazione della nuova chiesa.

“In un primo momento – dichiara lo storico Franco d’Emilio – si era pensato di erigere un edificio completamente nuovo, visto che del vecchio non rimaneva nulla (giusto le campane, poi montate sul campanile del Duomo ricostrutito, n.d.r). Questo perché l’antica basilica, sebbene impreziosita dalla Cappella Feo, era semplice e di fattura povera, nel tipico stile francescano osservante. Poi s’impose Cesare Valle, il grande architetto razionalista molto compromesso col regime fascista ma autorità indiscussa anche nel dopoguerra repubblicano”. Valle, esaminando il progetto in qualità di componente della Commissione ministeriale per la ricostruzione, pretese un progetto di pregio.

E così fu. La rievocazione della distruzione dell’antica basilica proseguirà mercoledì 10 dicembre con la messa solenne delle 18 in suffragio delle vittime del bombardamento, presieduta dal vescovo monsignor Lino Pizzi. Alle 21 seguirà l’incontro pubblico “Guerra di ieri, guerre di oggi”, riflessione sull’impegno contro la violenza della guerra e le ingiustizie, documentata dall’esperienza di don Ferdinando Colombo, direttore dell’Opera Salesiana del Sacro Cuore di Bologna, di Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio e dell’assessore comunale con delega alla pace Raoul Mosconi.

“La nuova San Biagio - dichiara Paolo Poponessi – è un edificio imponente ed elegante, riprova eloquente della tenacia con cui i Salesiani e la città intera perseguirono coralmente l’opera di ricostruzione, in un clima di pace e di concordia ritrovata”. In attesa degli ultimi eventi celebrativi di quel tragico 10 dicembre 1944, è ancora forte in San Biagio Nuova la commozione per le testimonianze di alcuni sopravvissuti al bombardamento rese in chiesa la sera di lunedì 8 dicembre 2014.

“Ero un ragazzino di 10 anni – racconta Aurelio Angelucci, in arte teatrale “Tugnaz” – quando stavo tornando a casa dopo una passeggiata in bicicletta. Alzo gli occhi e vedo l’apparecchio che sgancia la bomba su San Biagio. Invece di rientrare volli andare a vedere che cosa era successo: era la prima volta che vedevo una chiesa completamente distrutta da una sola bomba”. Edelweis Gagliardi, 88 anni splendidamente portati, si commuove ancora al ricordo della giornata: “Quel bombardamento, giunto improvviso ed impensato, sconvolse la vita della parrocchia, dell’oratorio e di tutta la città per l’uccisione di tante persone cresciute con noi nella famiglia salesiana”. Gagliardi riporta anche le riflessioni del primo parroco salesiano don Pietro Garbin, che, col senno di poi, constatò nella dinamica della tragedia un preciso intervento della Madonna: “Come si sono salvati i Salesiani e i 500 devoti che alle 17 erano ancora in chiesa?”.

Dopo la messa, don Garbin doveva tenere un discorsetto al rifugio Paolucci, in via Maroncelli, mentre i giovani andavano dietro don Marco per partecipare al funerale di Annunziata, un’anziana parrocchiana morta in via Dei Mille. “Allo scoppio della bomba erano tutti vicini alle mura o sotto quella porzione di porticato che rimase intatta”. Dopo la disperazione di quell’istante, il fondatore scriverà nella sua cronaca: “Fiat voluta Dei”. Un altro testimone oculare che insiste sull’aspetto provvidenziale è Romeo Rosetti, ex segretario generale del Comune di Forlì: “Anche il porticato davanti alla chiesa, composto da ben 16 arcate, venne distrutto quasi completamente. Il quasi è fondamentale: dovete sapere che ne rimasero in piedi solo cinque, proprio quelle sotto cui ci siamo salvati mia mamma, mia sorella ed io”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

10 dicembre 1944: settant'anni dopo la cronaca completa della distruzione di San Biagio

ForlìToday è in caricamento