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Cronaca

L'asilo Santarelli riscopre gli affreschi di Francesco Olivucci

Lunedì all'Asilo Santarelli di via Caterina Sforza, partono i lavori di cosiddetto "carotaggio" , per individuare - se ancora esistenti - gli affreschi eseguiti sulle pareti dall'artista Francesco Olivucci

Lunedì all’Asilo Santarelli di via Caterina Sforza,  partono i lavori di cosiddetto “carotaggio” ,  per individuare -  se ancora esistenti – gli affreschi eseguiti sulle pareti dall'artista Francesco Olivucci, durante il periodo di costruzione dell’edificio, dal 1934 al 1937, e successivamente coperti al termine della seconda guerra mondiale, in quanto aventi tematiche fasciste. Di tali affreschi, eseguiti nel refettorio, nelle aule e nella palestra, e così maldestramente condannati alla damnatio memoriae , permangono, ad oggi,  testimonianze in fotografie risalenti a prima della guerra.

L'asilo Santarelli riscopre gli affreschi di Francesco Olivucci

Nell’aula dedicata a Rosa Maltoni Mussolini - la madre del Duce , che era stata una maestra elementare - Olivucci aveva dipinto un trittico con i luoghi della liturgia dell’ “uomo Mussolini” : al centro Predappio e la Rocca delle Caminate, la casa natale del Duce, il cimitero e la Chiesa di San Cassiano, e con il faro delle Caminate che illuminava ai due lati opposti la dura fatica di un fabbro (in riferimento al mestiere del padre del Duce). Inoltre, su una parete del refettorio, Olivucci aveva rappresentato le quattro fasi fondamentali del ciclo del grano: l’aratura, la semina, la mietitura e la panificazione. L’epica del lavoro dei campi, della conquista della terra alla palude, la “Battaglia del Grano” sono una costante della comunicazione fascista, che cercava il consenso di un’Italia per la maggior parte ancora rurale. E alla tematica e alla dimensione della vita agreste , cantata da tutti i piu’ grandi artisti novecentisti, è dedicata un’intera sezione della mostra “Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre” , dal titolo “Le Opere e i giorni” .Infine, nelle pareti delle aule e della palestra Olivucci aveva dato sfogo alla sua inesauribile fantasia, rappresentando, sotto un rassicurante cielo sempre azzurro,  le tematiche della casa, del gioco, della vita animale e vegetale- anche marina - della famiglia e dello sport, tematiche, queste ultime,  cardine della propaganda fascista , e documentate nella mostra sul Novecento nelle rispettive sezioni “La maternità” e “Giovinezza, Giovinezza…Il culto del corpo e l’ideologia dello sport”.

Tuttora visibili e ben conservati sono, invece, gli affreschi eseguiti da Olivucci nella Cappella dell’Asilo Santarelli: una delicata rappresentazione del Redentore bambino,  in atto benedicente, al centro di una croce di luce,  e circondato da una teoria di angeli-bambini, cinque dei quali musicanti, che fanno come un girotondo intorno a lui. La scena trasmette un senso di levità , candore, giocosità ,  propri dell’infanzia qui  cantata dall’artista, che ha attinto, proprio secondo i dettami del “Ritorno all’ordine”,  all’arte del Quattrocento, per la precisione al  Quattrocento Forlivese. Infatti, egli potè studiare dal vivo i cori angelici delle Pale di Marco Palmezzano - come, ad esempio quelli della tavola in San Mercuriale con l’Immacolata e i Santi – e quelli del suo maestro Melozzo Degli Ambrogi ,  a quei tempi ancora ammirabili nella volta della cupola della Cappella Feo, nella Chiesa di San Biagio in San Girolamo,  che verrà poi completamente distrutta da un bombardamento tedesco la sera del 10 dicembre 1944 . (Oggi di quegli affreschi restano solo vecchie foto in bianco e nero , opera dello studio fotografico dei Fratelli Alinari di Firenze) .   Com’era prassi nel Ventennio, per la costruzione dell’Asilo Santarelli fu bandito un concorso, d’intesa con il Sindacato degli Ingegneri-Architetti della Provincia di Forlì , che vide vincitore il progetto contraddistinto dal motto “Comite Fortuna” dell’Ingener Guido Savini, scelto direttamente da Benito Mussolini, su consiglio dell’Ingegner Arnaldo Fuzzi.

L'importanza attribuita all'Istituto è ulteriormente testimoniata dal rilievo che ebbe la sua inaugurazione, avvenuta ben due volte, prima alla presenza di Rachele Mussolini, nel novembre del 1937  e poi alla presenza della Regina d'Italia Elena, nell’ottobre del 1938, di cui resta la documentazione fotografica, conservata nell’Archivio dell’asilo. Così il Popolo di Romagna, settimanale fascista, registra :  “S.E. Donna Rachele Mussolini , con materna ed affettuosa sollecitudine, inaugura l’Asilo Santarelli, magnifica e splendente Casa dell’infanzia forlivese”. L’Asilo Santarelli è una delle tante testimonianze dell’architettura del Ventennio , e di come nei cantieri di allora si usassero materiali pregiati e cura nei dettagli, nell’ ambito di un’ architettura “instrumentum regni” in una Forlì “Città del Duce”, “Nuova Roma”, come ben spiega nei suoi scritti  il Professor Ulisse Tramonti  , ordinario di Progettazione Architettonica e direttore del Dipartimento di Architettura-DSP dell'Università degli Studi di Firenze, che ha curato la sezione della mostra sul Novecento “Arte Pubblica. I grandi cantieri tra monumentalismo e razionalismo”.   Il Novecento ha cambiato il volto della città di Forlì e del suo territorio più di quanto non avessero fatto i secoli precedenti. La modernizzazione intravista alla fine del Settecento e avviata lungo l’Ottocento, anche grazie al processo di unificazione nazionale e di industrializzazione nel periodo post unitario, esplode nel Novecento. Forlì diviene città novecentesca soprattutto nel periodo tra le due guerre con l’avvio dei piani regolatori: gli interventi sulla struttura urbana antica (le piazze); i grandi manufatti di edilizia pubblica (gli uffici statali, le poste, il tribunale, le scuole, gli asili); la sistemazione dell’asse urbano tra la nuova stazione ferroviaria e Piazzale della Vittoria. Recentemente, nell’ambito del progetto biennale della Fondazione  sul Novecento - inaugurato a gennaio 2012 dalla grande mostra dedicata a  Wildt - a partire dallo scorso autunno presso il Palazzo di  Residenza della Fondazione si sono susseguite tre retrospettive dedicate ai protagonisti della produzione artistica a Forlì della prima metà del Novecento- ora è la volta di Marchini-  e correlate quindi all’atrettanto  grande mostra “ Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre”. Dopo Bernardino Boifava, il Palazzo del Monte di Pietà ha ospitato un altro esponente del Cenacolo Artistico Forlivese degli Anni Venti, Francesco Olivucci , pittore, incisore, xilografo e acquafortista, maestro restauratore e  scultore  , un homo faber del Novecento.

Un altro genius loci dimenticato e sconosciuto alla maggior parte dei Forlivesi, Francesco Olivucci (1899-1985) ha attraversato il Secolo Breve , lasciando importanti testimonianze della sua eclettica produzione artistica  in tutta la nostra città e non solo. Nella grande mostra sul Novecento , all’interno della Sezione “Arte Pubblica. Pittura Murale e Scultura” è presente un lavoro di Francesco Olivucci: un cartone preparatorio, intitolato “Scienze aeronautiche e navali”,  eseguito per la realizzazione del ciclo di affreschi che avrebbe dovuto decorare il  Salone d’Onore del Palazzo del Governo di Forlì, di cui fu dato incarico all’artista. Dal 1938 al 1941 ben centocinquanta metri quadrati di superficie muraria furono da lui egregiamente dipinti, ma, poiché celebravano i Trionfi del Fascismo – La Marcia su Roma, La Promulgazione della Carta del Lavoro, La Conquista dell’Impero, Le Forze Armate – furono nell’immediato dopoguerra completamente ricoperti da intonaco, una damnatio memoriae, che amareggiò molto l’artista. Di quest’opera muraria è rimasta la documentazione fotografica, risalente al 1941,  che ne  ha permesso lo studio. E proprio da parte degli studiosi sarebbe  auspicabile una verifica che accertasse se i dipinti sono ancora presenti ad di sotto della stesura dell’intonaco “censore”: in caso affermativo  il  recupero di questi costituirebbe un’importante acquisizione “culturale” per Forlì e non solo. A partire dalla metà degli Anni Venti l’impulso dato dal Regime all’arte pubblica, monumentale, per creare un’arte nazionale, “instrumentum regni”, che celebrasse cioè l’ideologia fascista e ne veicolasse la propaganda, offriva comunque agli artisti l’opportunità di cimentarsi in grandi opere, che parlassero a tutti, al contrario della pittura “da cavalletto” , considerata espressione della cultura borghese, e legata al mercato . “Per ridare all’arte tutta la sua purezza e nello stesso tempo il suo contenuto sarebbe meglio risalire dalla pittura da cavalletto alla pittura murale” scriveva nel 1926 Gino Severini in “Pittura decorativa e Pittura da cavalletto”.  Nel 1933 Corrado Cagli nel manifesto “Muri ai pittori”, apparso sul primo numero di Quadrante , la rivista diretta da Bardi e Bontempelli, sosteneva che “quanto si fa in pittura oggi al di fuori dell’aspirazione murale ( che ha mutato persino lo spirito della pittura da cavalletto influenzandone l’impianto e la materia) è fatica minore e storicamente vana.

A convogliare gli sforzi della pittura contemporanea occorrono i muri, le pareti.”.  Nel maggio del 1933, la prima grande manifestazione pubblica della “nuova” pittura murale, e sua consacrazione,  è la V Triennale di Milano, i cui protagonisti, Sironi, Funi, Campigli saranno  anche i firmatari del “Manifesto della Pittura Murale ”, pubblicato nel dicembre dello stesso anno da Sironi sulla rivista Colonna . La pittura murale , divenuta un tutt’uno con l’architettura,  di committenza pubblica, assurge ad un prestigioso ruolo educativo, identitario e celebrativo ed è volta a far rivivere i fasti di un passato glorioso.  Infatti , questo superamento della pittura da cavalletto per recuperare il rapporto tra pittura e architettura significò il grande ritorno ai maestri dell’affresco italiano, da Giotto ai protagonisti del Quattrocento Italiano,  Masaccio, Piero della Francesca e Mantegna  sopra tutti.  Ovunque in Italia è un fervore di cantieri per la nascita di nuovi edifici pubblici : palazzi postali, scuole, asili,  case del Fascio, palazzi di giustizia, stazioni ferroviarie, università. I lavori di carotaggio all’Asilo Santarelli saranno preceduti dalla lezione su "Stratigrafia e decorazioni murarie" che la  dottoressa Silvia Massari, formatasi all'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, terrà agli studenti della Facoltà di Architettura dell’Università di Cesena, presenti all’evento. Saranno presenti, inoltre i funzionari della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del nostro territorio.
In base all’esito dei lavori di carotaggio,  al parere e della Soprintendenza , (il Santarelli è riconosciuto come bene storico),  e alle eventuali stime relative, si deciderà il da farsi, nella speranza di trovare i finanziamenti del caso, senza i quali non si può andare da nessuna parte.  “Tutta la struttura del Santarelli necessita lavori di ristrutturazione ” - commenta l’avvocato Mangione, presidente dell’ ASP O.A.S.I., che ricorda che alla fine di dicembre 2012  è stato pubblicato un bando “per concorso di idee” , per la concessione dell’immobile (consultabile nel sito del Comune di Forlì) che così recita : “ La destinazione prioritaria della concessione deve rientrare nel campo didattico, culturale, ricreativo, sportivo, universitario e/o ricettivo, somministrazione e commercio, e comunque rivolto ai giovani. Il recupero dell'immobile sarà a totale carico del proponente aggiudicatario.”  La scadenza del bando  è prevista per prossimo il 30 aprile 2013.  La speranza é di trovare il modo di valorizzare un altro tassello dimenticato del patrimonio culturale di Forlì, che altrimenti rischia il degrado nell'indifferenza generale.

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