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Salute

Pronto soccorso, più di 50mila accessi all'anno: "Sovraffollati perchè mancano alternative. I medici che lasciano? Si sentono impotenti"

L'APPROFONDIMENTO - Questa l'analisi di Andrea Fabbri, direttore dell'Unità Operativa di Pronto Soccorso, Medicina d'Urgenza e 118 dell'ospedale di Forlì e direttore del Centro Studi Simeu

"Pronto soccorsi presi d’assalto e surplus di pazienti". Il sindacato Nursing Up nei giorni scorsi ha rimarcato "il quadro desolante di un sistema sanitario in profonda crisi". "Che il Servizio Sanitario Nazionale viva una crisi senza precedenti è evidente agli occhi di tutti sia professionisti che cittadini - ammette Andrea Fabbri, direttore dell'Unità Operativa di Pronto Soccorso, Medicina d'Urgenza e 118 dell'ospedale di Forlì e direttore del Centro Studi Simeu (Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza) -. In particolare la qualità dei servizi e i tempi di erogazione delle prestazioni, dopo due anni di pandemia, sono sempre più a macchia di leopardo. In questo scenario sempre più spesso i cittadini ricorrono al Pronto Soccorso per mancanza di soluzioni alternative in particolare per la cura delle malattie croniche, pur senza complicanze acute dal punto di vista clinico. La prova sta nel dato che 70 su 100 che accedono in Pronto Soccorso sono casi sono a bassa priorità clinica e bassa criticità".

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Dottor Fabbri, specificatamente per il "Morgagni-Pierantoni", quante persone si recano annualmente al Pronto soccorso?
"Sono circa 50mila, ma registriamo un incremento di qualche punto percentuale. Più che il numero degli eccessi, è la complessità della casistica che vede un incremento progressivo di soggetti sempre più anziani, con elevato numero di patologie croniche e necessità assistenziali e sociali".

Quanti codici bianchi e verdi, ovvero i casi non urgenti, vengono trattati?
"Il 57% sono stati i codici verdi e 17% circa i codici bianchi".

In alcuni casi si presentano quindi pazienti che non sono riusciti ad esempio a recarsi dal proprio medico di base, già logorato da troppi appuntamenti...
"Una parte di questi pur non presentando sintomi importanti, nonostante consapevoli di non avere un problema grave, anche consapevoli di dovere attendere mole ore per la visita medica, preferiscono rivolgersi al Pronto Soccorso. I lunghi tempi di attesa alla visita e al ricovero nei reparti dell’ospedale, i problemi di sovraffollamento sono le conseguenze di un eccessivo ricorso al percorso dell’emergenza, per malattie croniche e problemi socio assistenziali che non trovano risposte altrove".  

Tra i pazienti ci sono anche molti bambini?
"Sono circa 8mila all’anno, ma grazie alla collaborazione con i Colleghi della Pediatria il percorso di gestione dei bambini è generalmente rapido ed efficiente".

E anche le festività, complice picco di influenza e covid, le avete vissute in trincea...
"Le grandi festività, spesso in sequenza di più giornate, sono sempre state una prova difficilissima per l’intera organizzazione ospedale. Da tenere presente che in quelle giornate i servizi sia ospedalieri che territoriali riducono la loro attività". 

Avete dovuto riorganizzare i turni, rivedendo anche il calendario delle ferie?
"Certo che sì: essendo il nostro un servizio essenziale, forse l’unico del servizio sanitario nazionale ad accesso diretto da parte dei cittadini 24/24 ore sette giorni su sette, la carenza di medici ci ha costretto a moltiplicare il numero di turni di servizio per ricavare qualche giorno di ferie".  

Com'è la situazione a livello di personale?
"Manca circa il 40% dei dirigenti medici specialisti dell’emergenza Urgenza, e grazie alla collaborazione di specialisti di altre discipline del presidio (anestesisti-rianimatori, internisti, geriatri, chirurghi, pneumologi e ortopedici), unitamente a medici in formazione specialistica (specializzandi) riusciamo a garantire una copertura del servizio, seppure con grande difficoltà organizzativa".

Perchè non si trovano professionisti?
"Per un medico è generalmente considerata una professione affascinante, qualcuno dice addirittura la più bella, ma il disagio, l’insoddisfazione del non riuscire a curare i pazienti per come si vorrebbe, la sensazione d’impotenza in molte situazioni, le difficoltà sia fisiche che psicologiche la rendono alle condizioni di lavoro odierne una professione per nulla attrattiva, in molto casi inaccettabile. Impiegare i professionisti dell’emergenza-urgenza in Pronto Soccorso per la maggior parte del loro tempo per pazienti con malattie croniche e problemi di natura sociale e assistenziale senza poi fornire loro soluzioni organizzative li porta ad abbandonare l’incarico".

E quali possono essere le soluzioni?
"La soluzione sta nel far fare a medici e infermieri la professione che hanno scelto, cioè la medicina d’emergenza-urgenza, fornendo loro risorse e soluzioni organizzative per curare nel migliore dei modi i pazienti: sarebbe sufficiente".

A suo giudizio il mondo della politica non ha fatto tesoro della dura lezione del Covid?
"Passata la paura iniziale, messo a margine il problema: è un tipico atteggiamento del nostro Paese, ci si preoccupa solo quando si è nei guai".

Un consiglio che vuole rivolgere invece a chi lamenta di lunghe ore di attesa al pronto soccorso?
"I cittadini sono le vittime assieme ai professionisti di questa situazione di difficoltà e se si rivolgono al Pronto Soccorso è perché non hanno alternative, purtroppo queste dinamiche paralizzano l’organizzazione interferendo sui percorsi anche dei casi che l’emergenza ce l’hanno davvero".

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