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Cronaca

Fosse Ardeatine, Forlì ricorda il medico e patriota Luigi Pierantoni

Dopo l'intitolazione del centro sanatoriale di Vecchiazzano a Luigi Pierantoni, il padre Amedeo si battè affinché venisse eretto al suo interno un busto bronzeo in ricordo del figlio. La battaglia fu poi proseguita da Salvatore Aulizio e dal figlio Francesco

Medico, patriota, martire. Tutto questo era Luigi Pierantoni, trucidato dai nazisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, insieme ad altri 334 sventurati. Nel 70° anniversario dell’uccisione del medico cui è co-intitolato l’ospedale cittadino, il Comune e l’Ausl di Forlì hanno deciso di celebrarne la memoria con la deposizione di una corona ai piedi del busto bronzeo  a lui dedicato, collocato lungo il viale che conduce al padiglione Vallisneri. Alla cerimonia, lunedì pomeriggio, erano presenti il sindaco di Forlì, Roberto Balzani, il presidente del consiglio comunale, Palo Ragazzini e rappresentanti dell'Ausl di Forlì.

LUIGI PIERANTONI - Il nome di Luigi Pierantoni è legato a Forlì non solo per la decisione della Direzione generale dell’Inps, il 17 luglio 1946, di intitolare al martire delle Fosse Ardeatine il centro sanatoriale di Vecchiazzano – con la seguente motivazione: “Luigi Pierantoni (1905-1944) Medico del Servizio Sanitario dell’Inps, vittima della furia nazi-fascista, morto alle Ardeatine il 24 marzo 1944” – ma anche per una ragione profonda ma meno conosciuta. Luigi Pierantoni diresse infatti, fra il 1937 e il 1938, lo stabilimento termale della Fratta e, fuori dal periodo stagionale, si trasferiva spesso a Vecchiazzano, presidio per la lotta alle malattie tubercolari.

Nato il 2 dicembre 1905 a Intra, vicino a Ivrea, da Amedeo Pierantoni e Giuseppina Soffredini, si laureava in medicina nel 1928, non ancora ventitreenne. Nei tre anni successivi, ricoprì il posto di medico assistente agli Ospedali Riuniti di Roma, poi, specializzatosi in Tisiologia, diresse per tre anni il sanatorio privato “Villa Roma” di Arco di Trento. Quindi, vinto il concorso per medico di sede provinciale della Previdenza Sociale, fu destinato prima ad Ancona e infine a Roma. Allo scoppio della guerra, venne esonerato per un deficit visivo dal servizio militare ma volle ugualmente iscriversi alla Croce Rossa come ufficiale medico. In tale veste venne nominato direttore del XIV Ospedaletto da campo di Tor Fiorenza della Cri. Proveniente da una famiglia antifascista – il padre Amedeo era stato, nel 1921, fra i fondatori del Partito Comunista d’Italia – Pierantoni si era iscritto al Partito d’Azione clandestino e usava la sua casa-ambulatorio in piazza Leandro, nel quartiere Trieste di Roma, come base per l’attività politica. Il suo ruolo nella lotta contro gli occupanti nazisti e i loro alleati fascisti fu di primo piano: divenne capo settore dei quartieri Salario e Nomentano, si dedicò alla raccolta e distribuzione di armi, e partecipò a frequenti azioni di sabotaggio, ponendo personalmente delle mine sotto il ponte della Magliana. Simile impegno non poteva restare a lungo inosservato. La sera del 7 gennaio 1944, mentre era di guardia nel suo ospedaletto di Tor Fiorenza, un ufficiale delle SS lo fece chiamare all’ingresso dove, ancora in camice bianco, fu riconosciuto da un delatore italiano. Subito fu condotto in via Tasso e sottoposto a duri interrogatori, senza tuttavia rivelare mai nomi o fatti che avrebbero potuto compromettere il movimento di Resistenza.

Dopo 17 giorni, venne tradotto nel III° braccio del carcere di Regina Coeli. Qui, gli fu data l’opportunità di rendersi utile professionalmente, improvvisando un’infermeria e permettendogli di prodigarsi nell’attività di medico a favore dei reclusi. In questo modo, il Pierantoni riuscì a reinserirsi anche nel movimento clandestino: occupandosi dei detenuti politici, apprendeva da loro gli esiti degli interrogatori e li trasmetteva all’esterno, prevenendo altri arresti. In poco tempo, tale impegno gli valse nuova popolarità nel mondo partigiano, al punto che i patrioti, prima di intraprendere un’azione rischiosa, si rincuoravano l’uno l’altro dicendo: «Sta tranquillo: accada quel che vuole, a Regina Coeli c’è il Dott. Pierantoni che pensa ad aiutarci». Dal momento che nel carcere mancavano i medici, il Pierantoni fu chiamato a prendersi cura anche dei prigionieri non politici, fuori dal III° braccio. In diverse occasioni, venne incaricato dal Comando tedesco di accompagnare delle prigioniere al carcere delle Mantellate. Ogni volta, avrebbe potuto tentare la fuga, visto che il gruppo procedeva a piedi, scortato solo da un sottoufficiale. Invece, volle sempre rientrare in carcere. «… pensa che, se volessi, con un po’ di preparazione potrei scappare senza tanti rischi – scriveva alla moglie Lea – ma stai tranquilla, non lo farò. Per ora sono più utile qui che fuori… ». In carcere, infatti, era impegnato in una triplice attività: politica, militare, e di soccorso.

Tutto ebbe fine il 24 marzo 1944. Il giorno prima, una colonna di tedeschi era stata vittima, in via Rasella, di un attentato ad opera di un Gap della capitale. Per rappresaglia, il colonello Herbert Kappler, su indicazione dello stesso Adolf Hitler, ordinò di fucilare 10 italiani per ogni tedesco ucciso, individuandoli fra detenuti politici ed ebrei. Il 24 marzo, dunque, due agenti della feld polizei, con l’elenco in mano, si recarono a prelevare il dottor Pierantoni, intento, in quel momento, a praticare un’iniezione. Al medico non fu concesso nemmeno di terminare la propria opera, ma venne trascinato via e caricato su un camion, per essere trasportato alle Fosse Ardeatine. Luigi Pierantoni fu una delle prime vittime della rappresaglia nazista, tant’è vero che quando le salme furono recuperate, a quella del medico antifascista, riportata fra le ultime in superficie, venne assegnato il numero 334.

Dopo l’intitolazione del centro sanatoriale di Vecchiazzano a Luigi Pierantoni, il padre Amedeo si battè affinché venisse eretto al suo interno un busto bronzeo in ricordo del figlio. La battaglia fu poi proseguita da Salvatore Aulizio e dal figlio Francesco, arrivando, infine, il 9 luglio 1988, all’inaugurazione di un busto bronzeo dedicato a Luigi Pierantoni, collocato nel viale che conduce al padiglione Vallisneri. In quell’occasione, fu anche aperto il cantiere dei lavori per la “Piastra” e tenuta a battesimo la nuova cappella. Intanto, nel 1973, l’ospedale “G.B. Morgagni” di Forlì e il centro sanatoriale “L.Pierantoni” erano stati fusi in un nuovo ente ospedaliero denominato, appunto “G.B. Morgagni – L. Pierantoni”. Oggi, il nome del medico azionista è quindi legato indossolubilmente al complesso ospedaliero forlivese, divenuto un modello a livello italiano ed europeo. Nato da un atto amministrativo, il binomio Morgagni-Pierantoni rappresenta ugualmente una scelta quanto mai azzeccata: da un lato, infatti, il grande anatomo-patologo ricorda la via dello studio e del progresso scientifico, dall’altro il martire delle Fosse Ardeatine indica le vie del progresso morale e civile che, quando i tempi lo richiedono, si devono perseguire anche a costo della propria vita. Due figure diverse, dunque, ma che convergono l’una verso l’altra in quanto chiari esempi di medici benemeriti della società di ogni tempo. 

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