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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Istigazione al suicidio della figlia, la difesa: "Una parola fa la differenza tra vita e morte"

Se da una parte la Procura della Repubblica chiede condanne fino a sei anni di carcere per istigazione al suicidio, dall'altra l'avvocato della difesa Marco Martines chiede l'assoluzione

Se da una parte la Procura della Repubblica chiede condanne fino a sei anni di carcere per istigazione al suicidio, dall'altra l'avvocato della difesa Marco Martines chiede l'assoluzione per entrambi i genitori finiti a processo per la morte della loro figlia Rosita Raffoni. Davanti al collegio giudicante della Corte d'Assise del Tribunale di Forlì (presidente Giovanni Treré) l'avvocato della difesa ha parlato per  circa 7 ore, analizzando prova per prova, mettendo in fila le testimonianze delle amiche e degli educatori, email, temi d'infanzia, messaggi telefonici e biglietti alla madre per dare un'altra versione di Rosita, in sostanza quella una sedicenne intelligente e acuta che però viveva una fase di ribellione adolescenziale difficilmente contenibile dai genitori.

A processo per questa morte c'è il padre Roberto Raffoni (il pm Sara Posa chiede per lui sei anni di carcere per maltrattamenti e istigazione al suicidio) e la madre Rosita Cenni (due anni e mezzo di reclusione per i maltrattamenti). Il caso riguarda la morte di Rosita Raffoni, la giovane di Fratta terme che si suicidò ad appena 16 anni il 17 giugno 2014, gettandosi dal tetto del Liceo Classico 'Morgagni' di Forlì e lasciando un video girato prima del suo lancio mortale. Nel video lancia accuse ai genitori e chiede che "sia fatta giustizia" dopo la sua morte. 

Dramma al Liceo Classico (foto Frasca)

Secondo la Procura della Repubblica i genitori non posero alcun tentativo di soluzione alle sofferenze adolescenziali della ragazza, ma anzi lo acuirono con umiliazioni, isolamento dalle coetanee, privazioni e assenza d'affetto. Fino all'ultima provocazione, la sfida fatta dal padre alla figlia di concretizzare i propositi suicidi resi noti alcuni giorni prima al termine dell'ennesima, aspra, lite. Nei giorni precedenti, infatti, venne scoperto in famiglia la sottrazione di un telefono cellulare da parte di Rosita e la punizione ventilata, se non proprio stabilita, era che la giovane avrebbe saltato un viaggio di studio in Cina. Questo avrebbe innescato la spirale degli ultimi giorni che avrebbe poi portato al plateale suicidio. il procuratore reggente Filippo Santangelo in una sua breve introduzione aveva parlato di “processo difficoltoso” e “non usuale”, posto su “tematiche che possono essere considerate sfuggenti” come lo sono i rapporti tra genitori e figli, in particolare nella loro età dell'adolescenza. Ma “quattro magistrati della Procura che hanno lavorato su questo caso hanno però sempre concordato che fosse necessario che questo processo si facesse”, aveva chiosato Santangelo.

VIDEO - La Procura chiede la condanna dei genitori 

L'arringa della difesa

Lunga parte delle requisitorie finali, sia di accusa che di difesa, si sono dilungate a scandagliare l'animo di Rosita, la sua indubbia sofferenza interiore accompagnata però anche da intelligenza, profondità e sete di rapporti non superficiali. Ed entrambe però sono poi giunte al punto di isolarsi dal contesto per individuare il concretizzarsi di eventuali reati. La Procura ha parlato di una violenza continuata psicologica come causa o concausa essenziale del suicidio di Rosita Raffoni. Ben diversa è stata la versione ricostruita dall'avvocato Martines che ha rifiutato in toto l'idea che "come prospettato dalla Procura ci siano i maltrattamenti posti in essere addirittura dalla nascita di Rosita".

Martines è partito spiegando di non essersi mai trovato così "commosso" in un processo e ha parlato di "assoluta eccezionalità della vicenda di cui trattiamo". Ha anche detto di essersi "innamorato della sensibilità, dell'acutezza, dell'intelligenza di Rosita", ma poi ha puntato al fatto che "non dobbiamo discutere di niente di diverso dall'accertamento delle responsabilità". I genitori? Avevano scelto di vivere "nella discrezione, nella riservatezza, nella parsimonia, nella selettività", e per questo "non facevano gli amiconi del vicino Tizio o del vicino Caio".

Mentre Rosita, in sostanza, da alcuni mesi prima della morte viveva in una situazione di evidente antagonismo con il padre e la madre "presa tra una voglia di trasgressione e il sentimento di non voler deludere o genitori". Ed ancora: "Non possiamo fingere che non esistesse odio che a un certo punto trasfigura". Chiosa Martines: "Niente come in questo processo la differenza tra la vita e la morte si misura in una parola o nella mancanza di una parola, in un tragitto costellato di tante occasioni perdute".

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