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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Melandri vuole rivoluzionare la cultura a Forlì: "No al pensiero unico". La Barcaccia? "Va messa in discussione"

Professore universitario, esperto di economia no-profit e di fund raising, Valerio Melandri è figlio di Leonardo Melandri, senatore forlivese morto nel 2005 e di fatto il promotore instancabile dell'insediamento dell'Università a Forlì

Intende rivoluzionare la cultura a Forlì, mettendo l'ente comunale nel ruolo di cerniera delle varie iniziative delle associazioni culturali e mettendo in rete il patrimonio artistico cittadino. Quindi meno attività organizzate direttamente e più spazio alla società civile: “Il Comune non deve definire il tuo gusto, ma deve darti gli strumenti per farti sviluppare il tuo gusto. Non sono per il pensiero unico”, premette Valerio Melandri. 

Professore universitario, esperto di economia no-profit e di fund raising, Valerio Melandri è figlio di Leonardo Melandri, senatore forlivese morto nel 2005 e di fatto il promotore instancabile dell'insediamento dell'Università a Forlì, un campus che oggi conta circa 7.000 studenti. Nel suo sito internet Valerio Melandri, oltre alla sua attività accademica, ha inserito una sezione apposita 'Assessore', dove inserisce la sua agenda, con tutte le persone che incontra di giorno in giorno, all'insegna della trasparenza.

VIDEO - Intervista a Melandri: San Domenico, Casa Saffi, università, cosa cambia

Assessore Melandri, come vede il panorama della cultura a Forlì?
“A Forlì ci sono musei, monumenti e associazioni culturali. Non manca niente, ma è una realtà spezzettata, molecolare, che non riesce a fare sistema. Oggi chi esce dal San Domenico non viene indirizzato a Palazzo Romagnoli. Non c'è niente da inventare, ma c'è da integrare. Il Comune deve pensare all'hardware, sono le associazioni che ci mettono il software”.

Parliamo di hardware, cioè di contenitori, che progetti ha in mente?
“A Forlì manca una sala della musica, il San Giacomo è troppo grande e con un'acustica non buona. Per questa finalità si può pensare invece al recupero dell'ex cinema Odeon, un luogo ideato per gli spettacoli e con un'acustica naturale eccellente”.

Odeon, ex Gil, quartiere razionalista.
“Dobbiamo ulteriormente valorizzare l'architettura di qualità della nostra città, sulla scia del progetto Atrium. Viale della Libertà è pensata come una Cinecittà, va riqualificato e deve tornare alla sua immagine, con un'accoglienza turistica che parta dalla stazione. Nell'ex collegio aeronautico ci sono mosaici unici, devono essere accessibili dal loro portone principale, quello sotto Icaro, e non aperti su richiesta e con l'assistenza di una bidella, ma pienamente fruibili. Ovviamente vanno spiegati nel modo giusto...”

Appunto... questi mosaici esaltano la “grandezza del fascismo”
“Il razionalismo va narrato e spiegato nel suo contesto storico, va spiegato bene. Non temo accuse di nostalgia, chi conosce la biografia di mio padre sa bene che mio zio, sotto il fascismo, veniva messo in galera tre giorni prima ogni volta che arrivava Mussolini in città e ne usciva tre giorni dopo. Lo mettevano in carcere per motivi di sicurezza e mia zia se lo vedeva uscire ogni volta accompagnato da due carabinieri. Ma prima di tutto questo manca un progetto a monte”.

Quale?
“Forlì è priva di un piano di marketing territoriale, l'ho cercato dappertutto da quando mi sono insediato, ma non esiste. Forlì è una città universitaria con 7mila studenti ma non si promuove come città universitaria, ha decine di migliaia di visitatori al San Domenico ma non si promuove come città della cultura. Bisogna avere il coraggio di dire che siamo l'unica città in Italia con l'accento, che siamo gente con l'accento. Pavese definiva i romagnoli 'italiani all'eccesso', dobbiamo esserne orgogliosi. Tutti i grandi festival portano il nome della loro città nel titolo: Venezia, Mantova, Trento, Santarcangelo e moltissimi altri. A Forlì non esiste praticamente un festival che reca il nome di Forlì, anche quelli finanziati per decine di migliaia di euro dal Comune”

Forse perché si ritiene che mettendo il nome di Forlì si renda l'iniziativa provinciale.
“Infatti il Festival di Sanremo che si tiene a Sanremo è un festival provinciale...”

Altri progetti?
“Un vero polo risorgimentale a Villa Saffi, portando qui il museo del Risorgimento e ipotizzando, in certi periodi dell'anno, una navetta gratuita che parta dal San Domenico. Gli spazi espositivi di Palazzo Romagnoli sono da riorganizzare. Sulla Rocca di Ravaldino, il Comune ha deciso di finanziare lavori per 200mila euro e speriamo entro la fine dell'anno prossimo di riaprirla al pubblico. Ci sono tante belle cose da collegare al San Domenico”

Parliamo del San Domenico allora
“Continueremo col quarto stralcio, il progetto di chiusura del chiostro, già finanziato. In quel nuovo edificio metteremo aule didattiche, spazi per congressi, ristorazione, un bookshop come si deve, lo vorrei veder realizzato entro la fine del mandato. Anche la Pinacoteca va ripensata: nel XXI secolo i musei devono diventare mostre. Presto presenteremo un'associazione 'Amici dei musei', che a Forlì mancava, e una volta al mese prenderemo i capolavori come la 'Fiasca Fiorita' per citarne uno e ci costruiremo uno story-telling diverso, isolando l'opera usando sale come il San Giacomo o il Refettorio del San Domenico, per spiegarla e raccontarla diversamente”.

In quel progetto del quarto stralcio ci sono anche i Giardini del San Domenico, per la riqualificazione dell'area antistante, convertendola in verde pubblico da parcheggio, ma preservando la Barcaccia semi-interrata.
“Bene i giardini, ma il mantenimento della Barcaccia va messo in discussione”

Demolirla?
“Va messa in discussione”

Lei è anche assessore all'università, raccoglie le redini ideali di suo padre, che di fatto l'Università l'ha portata a Forlì e a cui è intitolato il padiglione d'ingresso,  quello dell'ex ospedale. Sente un peso particolare?
“La mia scelta di impegno politico è civica, non sono iscritto ad alcuni partito e se mi avessero chiesto di iscrivermi avrei rifiutato l'incarico di assessore. Aggiungo che avrei accettato una richiesta di diventare amministratore se mi fosse arrivata anche da qualcun'altro, ma nessuno lo ha mai fatto. Sono orgoglioso di poter completare l'opera di mio padre. L'arrivo di medicina a Forlì, che non è merito mio e che ci sarà quasi sicuramente, è il completamento di un ciclo iniziato da mio padre, quello che ha portato a realizzare un campus che funziona bene”.

Meglio università autonoma della Romagna o rimanere multicampus di Bologna?
“Bologna senza dubbio, quando vai all'estero e dici 'Università di Bologna', la risposta di tutti è 'Ah, l'università più antica del mondo'. Poi casomai c'è da discutere di una maggiore autonomia organizzativa e finanziaria, ma non lo spezzettamento. Grazie a Bologna abbiamo una didattica straordinaria, in un luogo straordinario qual è il teaching hub (la nuova struttura che si trova su viale Corridoni, ndr)”.

Progetti per l'università?
“Diversi per portare la città a vivere gli spazi dell'università. Perché non mettere a disposizione delle associazioni, per i loro incontri e attività sociali, il teaching hub il sabato e la domenica? Il Palazzo del Merenda, poi, deve diventare l'ingresso all'università su corso della Repubblica, sfondando il passaggio verso il retro dove si trova il giardino che porta alla mensa, che vorrei diventasse ristorante e sala studio aperte fino a mezzanotte, e infine il teaching hub. Un'area viva e vissuta la sera, dagli universitari e dai forlivesi. Questo è possibile con lo spostamento della Biblioteca Moderna all'ex Santarelli, un progetto già finanziato. L'ex Santarelli a sua volta deve diventare un supermarket della conoscenza, con sedute comode, spazi moderni e multimediali, aree in cui si può parlare. Il modello è la Sala Borsa di Bologna”.

'Supermarket della conoscenza' farà storcere il naso.
“L'idea di una cultura alta, fredda, da fruire in silenzio è sopraggiunta nell'Ottocento, che ha imposto perfino che andasse fruita solo se vestiti elegantemente. Almeno sui vestiti è migliorata, ma dove sta scritto che va fruita senza parlare, ovviamente senza disturbare? Nel teatro di Shakespeare il pubblico commentava, rideva, interagiva. Ora la cultura fa paura alla gente: vedi una mostra e non ti è piaciuta, ma non lo dici perché fai la figura di chi non l'ha capita o è ignorante. I luoghi della cultura invece possono essere luoghi di grande integrazione sociale, dove si trovano assieme il ricco e chi le scarpe rotte. Sono spazi da vivere, nei musei intesi in modo tradizionale non ci vuole andare più nessuno”. 
 

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