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Cronaca

Cura dei tumori del seno, la campagna di Natale Ior sostiene il Progetto Arthe

Ad oggi l’approccio terapeutico a questo tipo di neoplasia, che rappresenta comunque il 30% delle lesioni mammarie tumorali complessive, è quello classico dell’intervento chirurgico e radioterapia complementare

Al via la campagna di raccolta fondi natalizia dell’Istituto Oncologico Romagnolo. Quest’anno, il progetto di ricerca scelto dalla Onlus nata nel 1979 è Arthe, sperimentazione portata avanti all'Irst Irccs dall’equipe del professor Giovanni Paganelli, direttore dei dipartimenti di Medicina Nucleare, Medicina Nucleare Diagnostica e Medicina Radiometabolica dell’Irst Irccs di Meldola. Ex borsista Ior, autentico pioniere della lotta al carcinoma mammario, Paganelli ha collaborato per anni con il compianto professor Umberto Veronesi, contribuendo in maniera decisiva alle varie scoperte in tema di tumore del seno verso terapie sempre più conservative: dalla quadrantectomia all’identificazione del Linfonodo Sentinella, fino alla tecnica Roll. “Il Progetto Arthe è un ulteriore passo avanti in questo percorso - illustra l’esperto - un percorso che deve portarci a mostrare un rispetto sempre maggiore verso le nostre donne, le nostre figlie, le nostre madri. Con questa sperimentazione miriamo alla creazione di una tecnica sperimentale per il trattamento del tumore del seno non palpabile, che non si riesce cioè ad individuare col tatto”.

Ad oggi l’approccio terapeutico a questo tipo di neoplasia, che rappresenta comunque il 30% delle lesioni mammarie tumorali complessive, è quello classico dell’intervento chirurgico e radioterapia complementare. “Se questa tecnica rivoluzionaria confermasse la sua efficacia - prosegue Paganelli - potremmo curare queste pazienti evitando loro l’intervento chirurgico”. Si entra quindi nel merito di Arthe, acronimo di Avidination for Radionuclide Therapy. “Di norma, le lesioni mammarie non palpabili vengono identificate nell’ambito di uno screening oncologico e confermate come maligne attraverso una biopsia: in parole povere, si estrae un piccolo pezzo di neoplasia e lo si studia per capirne la natura. Questo esame lascia ovviamente un piccolo buco all’interno della massa tumorale, nel punto in cui è avvenuta la biopsia: l’idea alla base di questa nuova tecnica è di introdurre al suo interno una sostanza chiamata avidina, una proteina presente in natura, ad esempio nell’albume delle uova. L’avidina in questo modo si diffonde nel sito dell’iniezione dove si trovano ancora le cellule malate. Dopo pochi minuti si inietta in vena la biotina: una semplice vitamina (H), che noi trasformiamo in laboratorio in una sostanza debolmente radioattiva”.

“L’avidina è così denominata proprio per la particolare avidità con cui si lega alla biotina - chiarisce Paganelli - che entrando nell’organismo della paziente riconosce l’avidina precedentemente iniettata nella sede tumorale e va a legarsi con essa, concentrandosi nel sito della biopsia. A quel punto rilascia le radiazioni specificatamente in quella zona, andando a distruggere le cellule tumorali ancora presenti. Insomma: con questa tecnica saremo in grado di circoscrivere le radiazioni solo ed esclusivamente dove la malattia si è presentata. Una sorta di bomba intelligente contro i piccoli tumori”. La sperimentazione ha già dato ottimi risultati, dimostrandosi sicura, su circa 35 pazienti nella sua prima fase: durante la seconda verrà quindi testata su 120 donne, che si sono offerte volontarie. “Non esistono rischi per queste donne - afferma Paganelli - poiché proseguiranno con il classico iter terapeutico: l’unica differenza sarà che, nel periodo d’attesa tra la diagnosi e l’intervento chirurgico, andremo ad intervenire con il metodo sopra descritto. La speranza è che, quando sarà il momento di andare sotto i ferri, avidina e biotina abbiano rimosso qualsiasi residuo tumorale, per rendere appunto l’intervento superfluo e far dimenticare questa brutta avventura alle pazienti senza alcuna rimozione, totale o parziale, della mammella”.

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