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Cronaca

Il fiume Montone in secca restituisce i resti murari del Ponte Rupte

In questi giorni di secca basta scendere da viale Salinatore sull’argine del Montone alla base della Torre del Giglio, per scorgere i resti murari del Ponte Rupte

Il fiume Montone restituisce i resti del Ponte Rupte. Non è una certezza, ma è molto suggestivo pensarlo. In questi giorni post ferragostani con il corso d’acqua praticamente in secca, basta scendere da viale Salinatore sull’argine alla base della Torre dei Quadri o del Giglio, per scorgere (non succedeva da anni) quelli che potrebbero essere i resti murari del Ponte Rupte.

Il fiume Montone restituisce i resti del Ponte Rupte, foto diAlberto Castellini

Secondo gli scrittori e i cronisti antichi, collegava la via Battuti Verdi ai Romiti passando dalla Porta Valeriana. Scrive Ettore Casadei nella celeberrima "Guida di Forlì e Dintorni": "Detta anche Porta Liviense o San Varano in Livia, guidava al Castello di Livia dov’era il Torrione o la Torre dei Quadri, di cui anche oggi si vedono le tracce. Prese il nome dall’antico Borgo Valeriano (da San Valeriano martire, patrono della città), che cominciava dalla Torre dei Quadri e si estendeva fino a San Varano prima che nel 1461fosse fatto il taglio per le acque del fiume Montone, il quale allora correva ad una certa distanza e probabilmente girava fra il Molino del Serraglio e la Chiesa dei Romiti".

Dalla Porta Liviense o Valeriana il 1° maggio del 1282 entrò in città Guido da Montefeltro diretto al Campo dell’Abate, l’attuale piazza Saffi, per completare la vittoriosa battaglia di Calendimaggio col “sanguinoso mucchio” a danno dei Francesi alleati del Papa, declamata dal “Divin Poeta” Dante Alighieri al canto XXVII dell’Inferno (Divina Commedia). Se il Ponte Rupte era in pietra e quasi sicuramente risaliva all’età romana, la Torre dei Quadri è l’unica rimasta, anche se mutila, delle 46 guardiole che ornavano le antiche mura difensive della città. “Secondo gli storici - scrive Umberto Pasqui nel Blog di Forlì Today “Il Foro di Livio” - sarebbe ciò che avanza della Porta Liviense, già obsoleta nel Trecento. A quel tempo, infatti, tra la Porta Merlonia (all'altezza dell'omonima via su corso Diaz) e Porta Schiavonia c'era un altro ingresso urbano, denominato in più modi: Porta Liviense, Porta Valeriana, Porta della Rotta e (forse) Porta Fresca”. Ritornando al Casadei, "la Porta Valeriana fu fatta chiudere da Francesco Ordelaffi nell’assedio del 1335".

La Torre dei Quadri era parte integrante dei gloriosi bastioni rinascimentali che hanno cinto la città fino al 1905. Quasi tutti i cronisti d’epoca parlano di quelle pietre, baluardi di una dimensione umana durata quasi cinque secoli. Giovanni di Mastro Pedrino fece di più: sovrintese alla loro costruzione, avviata nel 1438 per volontà di Pino III Ordelaffi e completata verso il 1493 da Caterina Sforza. Alla distruzione, disposta dall’amministrazione comunale dopo l’abolizione dei dazi di consumo, sono sopravvissuti giusto pochi lacerti. Il tratto più lungo, in via del Portonaccio, è stato restaurato una decina di anni fa dal Comune (sarebbe il caso di ripulirli). Ma resiste qualcosa anche all’imbocco di viale Corridoni, luogo oggi adibito a parcheggio ma fino ai primi anni del Novecento sferisterio per il gioco del pallone a bracciale, mentre da via Pelacano, dietro al mulino omonimo, si può osservare un avanzo di rocchetta inglobato in un edificio privato.

In viale Salinatore resta la base della “nostra” torre dei Quadri, così chiamata dai grandi blocchi marmorei del piedistallo, d’origine romana. Era detta anche del Giglio, per via della soprastante celletta della Madonna, che a sua volta aveva preso il nome da monsignor Marc’Antonio del Giglio, vescovo di Forlì dal 1578 al 1580. Nel momento in cui anche la celletta del Giglio dovette soccombere al piccone devastatore, l’immagine che vi si venerava fu portata nella chiesa di Schiavonia. Negli anni Cinquanta del XX secolo, qualcuno pensò bene di aprire sul mozzicone della torre il bar Giglio, il primo a Forlì a sfornare la pizza.

Foto di Alberto Castellini

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