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Cronaca

Rifiuti, la stangata delle tariffe

Una famiglia con un'abitazione di circa 100 metri quadri a Rimini paga 248 euro di tariffa dei rifiuti, contro i 227 che si pagano a Forlì e a Cesena e i 223 a Ravenna

Una famiglia con un'abitazione di circa 100 metri quadri e 3 componenti del nucleo a Rimini paga 248 euro di tariffa dei rifiuti, contro i 227 che si pagano a Forlì e a Cesena e i 223 a Ravenna. I dati emergono dall'articolato Dossier Rifiuti dell'Osservatorio “Prezzi e tariffe” di Cittadinanza Attiva. Il costo è nella media italiana: il territorio romagnolo, infatti, si trova a circa metà classifica sul costo per le famiglie dello smaltimento dei rifiuti.

Lo studio analizza in particolare l'incremento dei costi per la tariffa rifiuti, che, sebbene il periodo di crisi, continuano a salire e ad aumentare il carico delle utenze sulla famiglia. In Romagna l'incremento annuale più consistente è da registrare a Ravenna, con uno scostamento del 7% tra il 2011 e il 2012, seguito da Cesena (+4%) Forlì (+3%) e Rimini (+1%). Tuttavia, se guardiamo il lungo periodo, vale a dire il quinquennio 2007-2012 viene fuori che proprio la provincia di Forlì-Cesena ha pagato il conto più salato: per i rifiuti le tariffe sono aumentate del 25%, mentre a Ravenna e a Rimini del 18%.

In generale in Italia la gestione del ciclo dei rifiuti è emblematica delle tante contraddizioni di cui è vittima il nostro Paese: il servizio non migliora mentre i costi sopportati dalle famiglie sono sempre maggiori. In particolare, le tariffe aumentano di più nelle zone del Paese a più basso reddito: per esempio negli ultimi 5 anni (dal 2007 al 2012) sono aumentate mediamente del 48,5% in Campania. In effetti, da Sud a Nord, gli incrementi si registrano ovunque (superano il 20% in Calabria, Molise, Umbria e Liguria) a dimostrazione della mancanza di una politica nazionale della gestione dei rifiuti, capace di legare gli elementi di costo ad elementi di qualità del servizio, a tutto vantaggio di chi continua ad operare in assoluta assenza di trasparenza.

La conseguenza di tutto ciò è che in Italia più del 50% dei rifiuti va ancora a finire in discarica, la raccolta differenziata stenta al Centro e al Sud e il coinvolgimento dei cittadini nella valutazione del servizio, previsto dal 2008, è ancora un’utopia. La nuova direttiva europea sui rifiuti (2008/98/CE), recepita in Italia nell’aprile 2010 (D.L.vo 3 dicembre 2012, N. 205), supera il concetto di raccolta differenziata per dare spazio a quello di recupero della materia. L’attenzione, dunque, non dovrebbe essere più rivolta tanto alla modalità di raccolta dei rifiuti in sé e alle percentuali di rifiuti raccolti in maniera differenziata, quanto piuttosto all’effettivo riciclaggio della materia raccolta. In pratica, è come se si desse per scontato che gli obiettivi di raccolta differenziata stabiliti dalla normativa  precedente siano ormai raggiunti, e quindi si può guardare oltre, concentrandosi sulle modalità di recupero di quanto viene raccolto in termini di materia e di energia. Purtroppo, non è così.

In Italia solo il 34% dei rifiuti urbani viene recuperato, rispetto alla media europea del 40%; dopo di noi solo due Paesi della “vecchia Europa”: il Portogallo (19%) e la Grecia (18%). La metà dei rifiuti prodotti finisce in discarica, ben 15 milioni di tonnellate ogni anno, mentre in Europa viene mediamente conferito in discarica il 38% dei rifiuti. I Paesi più virtuosi risultano essere Austria, Germania, Belgio e l’Olanda che dai rifiuti urbani recuperano rispettivamente il 69, il 62 e il 61% della materia prima, con un conferimento in discarica quasi inesistente.

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