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Crisi, Santolini (Cgil): "Il lavoro nel futuro del nostro territorio"

La crisi economica/finanziaria internazionale, il fallimento di un modello di sviluppo basato sulla liberalizzazione del mercato e finanziarizzazione dell’economia,

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ForlìToday

La crisi economica/finanziaria internazionale, il fallimento di un modello di sviluppo basato sulla liberalizzazione del mercato e finanziarizzazione dell’economia, il cambiamento globale della geografia economica e sociale, la peculiarità e la gravità della situazione economica e sociale (aggiungerei anche democratica) del nostro Paese, ci pone di fronte alla esigenza di avere nuovi elementi valoriali da porre al centro del confronto di quale futuro.

A ciò non sfugge anche il nostro territorio che anzi presenta peculiarità che evidenziano più criticità che valore, come nei dati riferiti all’andamento occupazionale o all’utilizzo degli ammortizzatori sociali o alla diffusione della precarietà, alla capitalizzazione e dimensionamento del nostro sistema delle imprese e dalla loro radicalizzazione nel territorio, ecc. (i rapporti della Camera di Commercio ne danno una buona dimensione).

Certo, in una fase come questa, non basta  traccheggiare o aspettare, occorre agire, avere idee, coraggio, forza per mettersi in discussione; è quindi giusto pensare sia alla contingenza (che rischia di divenire permanente) dei morsi della crisi, sia ad una idea che prefigura la Forlì e il suo territorio del futuro, appunto del 2030.

Penso purtroppo non basti individuare nuove e vecchie vocazioni (giusto); rilanciare eccellenze (fondamentale); puntare su innovazione, ricerca, trasferibilità (indispensabile); valorizzare territorio, cultura, tradizioni (nuova frontiera); assumere l’ambiente e la sostenibilità come pregiudiziale allo sviluppo (inevitabile); ritengo però occorra fare qualcosa in più, pensare a quale società vogliamo creare per il 2030.

Nella discussione del Convegno di lunedì è mancato un tema: il lavoro, la sua qualità, il suo valore, il suo riconoscimento come elemento fondamentale della qualità dello sviluppo, garanzia di tenuta sociale e salvaguardia istituzionale e costituzionale.

Il nostro è un territorio nel quale oltre il 90% delle assunzioni sono precarie e ciò non è giustificato da nessuna motivazione organizzativa o di mercato, o da timori per la crisi o per il futuro dell’impresa (il trend è pre crisi), ma solo dall’esigenza di modificare i rapporti fra lavoro e impresa e rendere i lavoratori più vulnerabili, più ricattabili, più deboli (occorrerebbe smetterla di richiamasi in continuazione alla Costituzione e poi dimenticare l’art. 1); il diritto ad un lavoro dignitoso, ad una retribuzione equa, ad una vecchiaia sicura, alla salute, ecc. rendono i cittadini liberi e consapevoli.


A quei giovani che oggi hanno 20 anni e che nel 2030 ne avranno 40, quale futuro gli proponiamo anche per il 2050 se assieme al precariato diffuso offriamo retribuzioni al ribasso, riduzione di diritti e riduzione di tutele sociali a partire da pensione, sanità, sociale, trasporto, ecc.

E se ci viene costantemente ricordato (anche nelle relazioni della Camera di Commercio) la scarsa responsabilità sociale delle imprese del nostro territorio, quale valore diamo alla coesione sociale, e sempre da questo punto di vista, come il sistema finanziario ne è promotore, e ancora come le istituzioni la rendono credibile in un momento in cui la scellerata politica del Governo gli toglie risorse fondamentali, e come l’esigenza di una nuova architettura istituzionale diventa valore aggiunto di una capacità politica e istituzionale di essere protagonisti e auto riformarsi.

Ripeto Lunedì non ho sentito parlare di lavoro se non come astratta conseguenza di uno sviluppo che forse verrà; non ho sentito parlare di come si intendono dare maggiore capacità economica alle famiglie, di come i consumi interni diventano elemento di sviluppo territoriale; ho poco sentito parlare su come il welfare diventa strategico come fattore di sviluppo economico oltre che di affermazione di nuovi e vecchi diritti di cittadinanza.

I temi di confronto ci sono, creiamo le opportunità per farlo, ma facciamolo con disponibilità e convinzione e soprattutto evitiamo accordi di facciata (già troppi ne abbiamo visti sia con le Istituzioni che con il sistema della imprese che con il sistema bancario, magari applichiamo quelli che ci sono) che possono salvarci la coscienza ma non incidono nella qualità del territorio, nelle condizioni delle persone, nello sviluppo economico del territorio; ed allora ripartiamo anche dal lavoro e dal fare impresa; sono certo che riusciremo a guardare al futuro con più dignità e maggiori possibilità di successo.
 

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