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Caro benzina, Imu e compagnia bella. Imprese sempre più allo stremo

Per il vicesegretario di Confartigianato Forlì, Marco Valenti, occorre un cambio di passo “la necessità di raggiungere il pareggio di bilancio ha imposto tagli e nuove tasse"

Mentre i lavoratori italiani fanno i conti con una busta paga sempre più leggera, gli imprenditori lottano per non soccombere al fisco. L’Italia è, infatti, il primo Paese in Europa e il 13° al mondo per il peso della pressione fiscale sulle imprese. Le imposte e le tasse pagate dalle aziende sui profitti lordi, il cosiddetto total tax rate, raggiungono la percentuale del 68,5%.

Un vero e proprio record negativo, che non ha eguali in Europa, quello rilevato dall’Ufficio studi di Confartigianato. Nella classifica dei Paesi europei con il maggiore prelievo fiscale sull’attività d’impresa dietro l’Italia c’è la Francia con il 65,7%, seguita a distanza dalla Germania con il 46,7%, dalla Spagna con il 38,7% e dal Regno Unito con il 37,3%.

Il confronto con la tassazione sulle imprese negli altri Paesi europei diventa tanto più impietoso se applicato agli Stati che confinano con il nostro. Lo studio evidenzia che, se si varcano le nostre frontiere, la situazione per gli imprenditori cambia e di molto. In Svizzera, per esempio, la tassazione sull’impresa corrisponde alla metà di quella italiana: 30,1%. Un salto in Slovenia e le tasse per gli imprenditori arrivano al 34,7%. Salgono in Austria, con il 53,1%, ma restano pur sempre di 15 punti inferiori rispetto al nostro Paese.

Per il vicesegretario di Confartigianato Forlì, Marco Valenti, occorre un cambio di passo “la necessità di raggiungere il pareggio di bilancio ha imposto tagli e nuove tasse, tuttavia le imprese non possono continuare a pagare lo scotto più alto della crisi. Le piccole aziende sono allo stremo, senza dimenticare che la realtà peggiora se si considerano i tributi aggiuntivi come l'Iva sui consumi, le accise sui carburanti e sull’energia elettrica, l’IMU, l'Irpef e i contributi sociali del dipendente a carico del datore di lavoro, l’Irap. Voci che fanno lievitare all’86,4% il prelievo di risorse per gli imprenditori.”

E, per converso, mentre le imprese italiane sopportano questo salasso, una larga parte dell’economia sfugge a qualsiasi tassazione e prospera indisturbata. Conclude Valenti “le attività sommerse generano un valore aggiunto che oscilla tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3% e al 17,5% del PIL. Chiediamo al governo di non accanirsi su coloro che operano nel rispetto delle complesse e numerosissime norme che regolano l’imprenditoria, ma di intervenire per portare alla luce le attività illegali che falsano il mercato.”

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