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Venerdì, 19 Aprile 2024
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In anteprima i segreti della nuova mostra sul Novecento

Presentata in anteprima lunedì sera a Milano Marittima "Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre". La mostra comprende quasi un trentennio. Dalla fine del primo decennio del '900 alla seconda guerra mondiale

Presentata in anteprima lunedì sera a Milano Marittima la mostra "Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre". Dopo aver realizzato la mostra Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, in collaborazione col Comune di Forlì, intende approfondire un altro momento dell’arte del Novecento. La mostra comprende quasi un trentennio. Dalla fine del primo decennio del ’900 alla seconda guerra mondiale. Ma il fuoco è sugli anni ’20 e ’30.

Il “campo” offerto consente di mettere in luce tutte le tendenze, i movimenti, le avanguardie, i protagonisti, i temi, procedendo non secondo una sequenza cronologica, ma per polarità dominanti. Ne emerge uno spaccato di vita, di costume, che ben ritrae quegli anni, e che coinvolgerà anche le nuove arti: il cinema, la moda, le arti grafiche e decorative; così come prende nuova luce il confronto sull’istanza morale dell’arte, svolto soprattutto nel dibattito delle riviste. Ci si dedica, con i debiti confronti nazionali e internazionali (a partire da Picasso), alla pittura e alla scultura tra le due guerre: “Il nuovo Rinascimento italiano”, come lo chiamò Margherita Sarfatti, intendendo allora l’esperienza del gruppo “Novecento”. Ma oggi quella stessa espressione può forse raccogliere l’insieme, seppur disomogeneo, di tutte quelle linee di tendenza che si confrontarono, si giustapposero e si susseguirono all’ombra del regime, segnando una profonda fase di rinnovamento delle arti in Italia. Si tratta infatti di un periodo che presenta al proprio interno diversi movimenti: dalla pittura metafisica di “Valori plastici”, al cosiddetto “Ritorno all’ordine”, al Realismo razionale, all’arte celebrativa del regime. I nomi sono quelli di Boccioni, Balla, Sironi, Soffici, Prampolini, Carrà, Severini, Savinio, De Chirico, De Pisis, Morandi, Casorati, Funi, Campigli, Donghi, Martini, Rosai, fino a Pirandello, Maccari, Mafai, Manzù, Guttuso.

Da un lato la mostra intende rievocare le principali occasioni in cui gli artisti, pensiamo all’architettura pubblica, alla pittura murale e alla scultura monumentale, si prestarono a celebrare l’ideologia e i miti proposti dal Fascismo. Apposite sezioni rievocheranno la I (1926) e la II (1929) Mostra del Novecento Italiano, organizzate da Margherita Sarfatti; la grande Mostra della Rivoluzione Fascista allestita a Roma nel 1932-1933 in occasione del decennale della marcia su Roma; la V Triennale di Milano che ha visto la consacrazione della pittura murale vista come un’arte nazional-popolare che faceva rivivere una tradizione illustre; la rassegna dell’E42 a Roma che ha segnato una profonda trasformazione nell’urbanistica e nell’immagine stessa della capitale. Mentre ancora la pittura murale e la scultura monumentale vengono indagate all’interno dei cantieri pubblici, come i Palazzi di Giustizia, le Poste, le Università. La considerazione delle più impegnative realizzazioni urbanistiche, come la piazza della Vittoria a Brescia o la nuova città di Littoria, consente di capire quanto è stato realizzato a Forlì.

La mostra affronta anche il legame culturale e formale con la prospettiva razionalista e il dibattito sul classicismo in architettura e nell’urbanistica. Nella razionalizzazione dei vecchi centri storici, nel ripensamento dei rapporti tra città e campagna, nella fondazione di città nuove si manifesta una visione plurale che tenta una sintesi nuova tra monumentalità e modernità. L’architettura ne è la protagonista e la pittura, con la ripresa della dimensione murale e del mosaico, il partner privilegiato. “Edificare senza aggettivi, scrivere a pareti lisce”, l’ammonimento di Bontempelli, la norma. La mostra presenta un percorso suddiviso in quattordici sezioni che toccano i temi affrontati nel Ventennio dagli artisti che hanno aderito alle direttive del regime, partecipando al concorso e accettando le commissioni pubbliche, e quelli che hanno partecipato a quel clima, alla ricerca di un nuovo rapporto tra le esigenze della contemporaneità e la tradizione, tra l’arte e il pubblico. Fino ad arrivare alla crisi di quel rapporto, nella più ampia tragedia nella quale venne trascinato il paese. Ancora una volta il percorso espositivo si articolerà all’interno delle grandi sale che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico e nelle stanze del piano terra dove si sono tenute le sette precedenti mostre.

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